E’ cresciuto ascoltando Dire Straits e Fairport Convention, ha assimilato dal padre e anche dal patrigno la passione per la musica, ha imparato a suonare la batteria a soli dieci anni nonostante una grave disprassia (una condizione in cui il cervello ha difficoltà a pianificare e coordinare i movimenti del corpo), sviluppando pian piano un interesse anche per altri strumenti, ed è poi rimasto folgorato dall’incredibile muro del suono delle voci dei Beach Boys. Lui è Oliver Spalding, cantautore inglese ventitreenne, il cui esordio “Novemberism” vede luce in questi giorni su Monotreme.
La voce eterea e sognante e le sonorità vicine al pop-rock elettronico anni 80 la dicono lunga sul target dell’autore. Le undici tracce scorrono con un cliché abbastanza prevedibile, dietro il quale si intravede una scrittura ancora acerba e derivativa.
Riff alla U2 su tempi disco (la title track) o inseriti in ballate malinconiche e spensierate (“Xanax”), voce modulata con toni in falsetto e autotune (“Her Crescent”) e qualche buona intuizione melodica (“Unreal”, “Athamé”) mettono insieme un puzzle sonoro abbastanza gradevole, ma ancora troppo impersonale e maturo.
“Novemberism” è il classico album pop innocuo e inoffensivo, che rischia di assurgere al successo nelle classifiche, solo incrociando fortuite sinergie con il mondo della pubblicità o del serial tv. Non disdicevole, ma ben lontano dalle premesse e promesse con le quali è stato annunciato dai comunicati stampa e da alcune frettolose recensioni.
10/12/2019