Un'immagine che buca lo schermo (copertina di questo suo debut intitolato “Pony”) e dice molto di sé, quella di Orville Peck. Cappello, camicie, gilet e camperos da cowboy indicano la chiara matrice outlaw country della sua opera (i primi miti di Orville sono Roy Orbison e Johnny Cash), la maschera di latex dalle lunghe frange che lasciano intravedere le sue labbra carnose e ammiccanti punta invece all’essenza queer dei suoi racconti. E non chiamatela novità, quella di un cowboy che canta di gender minorities: da dove credete che vengano tutti gli artisti queer che popolano i locali di New York, sottolinea Orville in numerose interviste, se non dalle badland centroamericane?
Anche la musica che fa da sfondo al vocione profondo e duttile di Peck è un miscuglio decisamente insolito – tanto da far apparire ovvio l’interesse di una label alternative come Sub Pop per il ragazzone di Toronto. Di certo a guidarla sono le guizzanti chitarre elettriche tipiche dell’alt-country, ma c’è anche tanto fumo lynchiano, torbidezza à-la Chris Isaak e, udite udite, insistenti riverberini shoegaze (la struggente e dolce “Turn To Hate” ne è un chiaro esempio). Questo quando Orville di punto in bianco, nel bel mezzo di “Winds Change”, non passa dall’intonazione country a una new wave che fa venire in mente Ian McCulloch.
Sono comunque della partita momenti più tradizionalmente country: la rampante “Buffalo Run” o la fischiettante e guascona “Take You Back (The Iron Hoof Cattle Call)”, animata da un basso croccante, o ancora l’invocazione di “Old River”. Il paesaggio più polveroso è sicuramente quello attraversato nei tre minuti e mezzo di “Kansas (Remembers Me Now)”, dove la voce cullante del Nostro e una slide guitar stanca sfrigolano tra la sabbia.
Molto vari sono dunque i toni della narrazione di “Pony”, che vanno dal quello goliardico della sopracitata “Take You Back (The Iron Hoof Cattle Call)” a quelli tragici di “Hope To Die” e del magnifico singolo “Dead Of Night”, alla dolcezza disarmante di “Roses Are Falling”.
Uno spirito libero e schietto, insomma, Orvile Peck. Del resto lo mette in chiaro molto bene nel singolo che lo ha portato al successo. È stato innamorato di un easy rider, di un pugile di combattimenti di illegali, finanche di un secondino… ma alla fine ha sempre scelto the wide open “Big Sky”.
01/04/2019