Ståle Storløkken

The Haze Of Sleeplessness

2019 (Hubro)
electro/avant-jazz, sperimentale

Non è mai facile separarsi dal branco, specialmente se esso è in realtà una sorta di dream-team talmente solido e collaudato da non far sentire quasi mai l'esigenza di una completa autonomia. Si spiega così anche l'inesistenza (almeno sinora) di una produzione solista a firma di di Ståle Storløkken, alle tastiere nella leggendaria compagine free impro dei Supersilent la quale, seppur diminuita nel numero di componenti e “chetata” nel sound, dopo vent'anni di attività continua a rappresentare un faro illuminante per la scena sperimentale norvegese.

La maturità artistica, ovviamente, era già da tempo assodata: ma alle porte dei cinquant'anni d'età Storlokken deve aver considerato l'opportunità di una prova che ne appurasse anche le doti “progettuali”, in sostanza la capacità di dare forma a una visione autoriale e non più esclusivamente performativa, come è vero per le numerose collaborazioni selezionate nel corso di tre decenni. È anche curioso, ma ormai plausibile, che il tanto rimandato “esordio” non porti il marchio della fidata Rune Grammofon, bensì dell'ormai istituzionalizzata Hubro, assieme a Sofa l’attrice di maggior rilievo nella produzione indipendente scandinava.

“The Haze Of Sleeplessness” è un saggio di notevole eclettismo che pure conserva tutte le inflessioni e gli spessori del linguaggio di Storløkken, la cui tipica marca sonora è ben riconoscibile sin dal preludio, percorso da lenti fraseggi che imitano giochi col theremin, suggestione attraverso la quale i produttori cinematografici degli anni Settanta si immaginavano la musica degli alieni. Il sapore “retro-futuristico”, in ogni caso, non è che una delle tante declinazioni rintracciabili nella galassia immaginaria del tastierista, che in seguito accetta di smarrirsi in territori ben più insicuri, tra un vibrante limbo percussivo e un inquieto vuoto-spinto in cui le note sono quasi del tutto soffocate, mentre rimane il suono duro e martellante insito nella meccanica del pianoforte (“Reality Box”). In “Stranded At Red Ice Desert” il nostro va creandosi in autonomia dei fondali para-ritmici con sintetizzatori e coloriture digitali, cedendo poi a divagazioni che richiamano pallidamente i pensosi incipit di Mike Ratledge coi Soft Machine, sino agli effetti saturanti profusi nella lunga “Skyrocket Hotel”, quasi da chitarra elettrica in modalità fuzz.

Da ultimo, se prendiamo per buono l’abusato ma calzante concetto di film sonoro, gli otto minuti di “Nitro Valley” rappresentano un po’ il finale kubrickiano, un progressivo sfocamento dietro il quale si accumulano masse di colore informi e sfuggenti, prima che un ritmo elettronico sancisca il gran finale, lo Zarathustra al confine estremo della visione architettata da Storløkken, poggiante su fondamenta scientemente labili dalle quali originano sviluppi strutturali estrosi e imprevedibili. “Buona la prima”, per così dire, ma d’altronde era difficile che un tale veterano deludesse le aspettative.

05/04/2019

Tracklist

  1. Prelude To The Haze Of Sleeplessness
  2. Orange Drops
  3. Reality Box
  4. Stranded At Red Ice Desert. Remember You Loved Ones (In Memory Of My Dear Mother)
  5. Turbulence
  6. Skyrocket Hotel
  7. Nitro Valley

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