Preso atto che gran parte della musica di questi ultimi anni non è altro che una repetita iuvant di forme e linguaggi già noti, viene da chiedersi il perché della loro fascinazione e suggestione, ovvero la ragion d’essere di gruppi neo-folk, neo-prog, neo-wave, neo dark, neo-blues, neo-reggae, neo-kraut o neo-techno. E’ in fondo solo una questione di punti di vista: è la prospettiva con la quale l’autore approccia la materia, l’elemento che può rendere avvincente e in parte innovativo un album o una performance.
Provenienti dal Kent, gli Hare And Hoofe si sono guadagnati la stima del pubblico e della critica inglese grazie a una presenza scenica notevole e alla insana visione musicale tra prog e folk-psych con la quale mettono in scena le sovversive misture di sonorità anni 60 e 70. E’ una prospettiva stravagante, quella che la band utilizza per mettere insieme questo primo doppio album: un’attitudine da garage-band anni 70, un profilo folk-prog che ricorda sia i King Crimson che gli Atomic Rooster (“White Blindness”), e un esuberante flusso lisergico che connette l’energia degli Hawkind alla bislacca genialità dei Soft Boys (“The Terror Of Melton”).
“The Hare And Hoofe” è un disco che ridona spessore al termine acid-rock, rigenerandone la natura naif, bizzarra e, soprattutto, non codificabile.
Pubblicato solo in formato doppio vinile, l’esordio della band è concettualmente diviso in due capitoli, un primo che raccoglie le prime incisioni realizzate tra il 2015 e il 2018: brani strutturalmente più affini al folk di Steeleye Span (“Voyager”) e Jethro Tull (“Appledore Fayre”), ma nello stesso tempo eccentrici e sgangherati come se a eseguirli fosse un gruppo di ubriaconi, trovatisi inopportunamente a far da menestrelli alla corte del re.
In altri episodi del primo album, le stralunate sonorità affidate a synth maltrattati, voci sgraziate, riff hard-rock e cambi di registro, smuovono le acque con risultati imprevedibili: il garage-rock’n’roll alla King Gizzard & The Lizard Wizard di “Lionel Mettle” e il suono da jam-session di “Lady Lovibonde/ Goodwin Pavane”.
Più ardito il secondo capitolo, “The Terror Of Melton”, concepito come una mini-suite alla Pretty Things in bilico tra fantasy e psichedelia (“Did I Dream? Pts. 1-4”), con una lieve concessione a un romanticismo tipicamente prog (“The Ballade Of Layser Manne”), o a trasgressioni elettroniche alla Gong (“Hanfare”), fino a chiudere il cerchio con una gustosa indolenza folk-hippie (“Cold Blows The Whistle, Lonely Night”).
Non mancano, anche in questa seconda parte, alcuni piacevoli imprevisti, come il discolo hard-rock “Chromium Dioxide And The Crazy Data”, la virata verso il glam dei Roxy Music (“I Was A Scientist (1892)”) e la geniale e grottesca messa in scena quasi da rock-opera della title track.
Tom Hodges-The Master, Kate Hodges-The Maide of Ken, Jim Hargreaves-The Hare, Peck Perry-The Hoofe e Jamie Owen–The Wanderer, ovvero i cinque membri degli Hare And Hoofe, hanno messo a frutto un ricco bagaglio musicale, risultato di una lunga e variegata esperienza live (alcuni membri hanno suonato con Heliocentrics, The Priscillas, Jail Cell Recipes, The Frank Sidebottom etc.), realizzando un esordio che non è soltanto uno dei più strambi e funambolici degli ultimi tempi, ma anche uno dei più divertenti e originali. Imperdibile.
26/10/2019