Alexandra Savior

The Archer

2020 (30th Century)
vintage-pop, psych-pop

È tutto semplice, nell'universo sonoro di Alexandra Savior, al punto da rasentare l'irritante. Dai riferimenti sonori ai temi affrontati, passando per umore interpretativo, abito strumentale e paragoni più o meno soffocanti, ogni elemento è bello che sbandierato sin da subito, annullando ogni alone di mistero. In effetti, sarebbe stato ben poco necessario ritrovarne, nella mezz'ora di “The Archer”, album che fa del suo malinconico vintagismo, tutto cartoline dalla West Coast e fotografie dalla Valle della Morte, un prepotente biglietto da visita. Letteralmente immersasi nel canzoniere statunitense anni Settanta, la giovane musicista dall'Oregon firma, in occasione del suo secondo album, una snella collezione di motivi agili, svelti, tanto cinematici quanto amaramente intimisti, espliciti nel manifestare la loro riflessiva nostalgia. Tutto al suo posto, se non fosse che l'elemento principale della ricetta, la personalità, evapora come acqua nel deserto.

È evidente la professionalità che circonda il disco, dal calore produttivo (courtesy of Sam Cohen, già al lavoro con Kevin Morby) alla pulizia delle linee melodiche, scritte con la chiarezza di un manuale, una perfetta rievocazione di un decennio anagraficamente fin troppo distante, partecipato però con evidente serietà, tale da trascendere la mera fascinazione estetica. In quest'ottica, il disco sfrutta bene le sue carte, muovendosi tra pop da camera, tentazioni psichedeliche, vaghe increspature sintetiche (“The Phantom”, quasi un rimpasto in chiave Americana delle modulazioni space-pop di Jane Weaver) con un diffuso alone di malinconia, che non disdegna contrite iperboli (i profumi desert-rock di “Crying All The Time”) o giocare la carta di una disperata solitudine, sorretta da ambiziosi disegni orchestrali (“But You”).

È però un gioco che svela le forti limitazioni della Savior interprete, di un carattere che fatica a far suo quanto racconta, e che quando ci riesce rasenta la parodia, ora della Weyes Blood meno drammatica (“Soft Currents”), soprattutto però di Lana Del Rey, di cui spesso pare riprendere le stesse rapide discese sulle vocali e il generale tono sedato. Non vi sono però personaggi da interpretare, il tono non si appropria mai della scena con fare cinematografico, rimanendo in bilico, tra una riflessività che pare pienamente consapevole e una sua estroversione ancora abbozzata.
Indubbiamente il materiale su cui lavorare non manca, e Alexandra Savior ha dalla sua un più che dignitoso fiuto compositivo: ci vorrà però parecchio lavoro per tramutare il suo bagaglio di pregevoli quanto anodine canzoni in qualcosa di realmente eccitante.

20/02/2020

Tracklist

  1. Soft Currents
  2. Saving Grace
  3. Crying All The Time
  4. Howl
  5. Send Her Back
  6. Can't Help Myself
  7. The Phantom
  8. Bad Disease
  9. But You
  10. The Archer




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