Caleidoscopico: quante volte questo termine ricorre nelle descrizioni di opere artistiche di varia fattura? Tantissime. Ed è buffo pensare che, spesso, chi usa o apprezza il richiamo estetico di tale aggettivo forse non ha mai visto un vero caleidoscopio. Peccato, perché avere tra le mani questo incantevole oggetto/giocattolo è un’esperienza unica. Non è facile, inoltre, immaginare le infinite possibilità date da un oggetto cilindrico con all’interno specchi e piccole parti colorate, né le trasfigurazioni digitali che possono catturare quella casualità infinita e non replicabile che lo contraddistingue.
Tutto questo cappelletto nasce per raccontarvi un album che, come un caleidoscopio, è più emozionante di qualsiasi descrizione possibile. Il progetto del cantante, chitarrista e flautista Nick Van Bakel, Bananagun è, infatti, uno degli esordi più esuberanti e sfaccettati pubblicati nel 2020. I colori che Van Bakel usa per il suo caleidoscopico esordio sono carpiti all’afrobeat, alla tropicália, all’indie-pop, al beat, all’exotica lounge, al garage-pop, al folk inglese, perfino al funk e all’hip-hop, con un perfetto dosaggio degli elementi che non può non rievocare le avventurose sonorità degli Os Mutantes.
“The True Story Of Bananagun” non si limita a un piacevole intruglio di citazioni: la band australiana fonde gli elementi in una jam session di quaranta minuti, dove ogni sfumatura di colore è perfettamente percepibile ma mai prevedibile, come in un caleidoscopio le fonti si mescolano senza regole prestabilite, in un vortice di creatività che è giocosamente contagioso.
I fremiti pop e beat di “Bong Go The Bongos” sono immersi in un fluido psych-rock che anticipa l’esplosione funk-rock-psychedelic alla Jimi Hendrix di “The Master”, scompigliando le carte di un progetto che è una continua fucina di sorprese.
La reinvenzione della tropicalia che anima “She Now” affonda le mani perfino nel blues, ed è incredibilmente lieve il beat-rock psichedelico di “Freak Machine”, che per un attimo richiama i conterranei King Gizzard & The Lizard Wizard.
Tocchi esotici ed etnici smuovono piacevolmente le trame di “The True Story Of Bananagun, mentre i novanta secondi di canto d’uccelli di “Bird Up!” e il groove afro-latino alla Fela Kuti di “People Talk Too Much” pescano in una visione della tropicalia maggiormente inclusiva; attitudine che trova radici nella cultura garage-rock del gruppo.
L’inesauribile creatività e versatilità permette alla band di passare dalle innocue frivolezze di “Out Of Reach” alla deflagrazione di riff hard-rock e melodie psych-pop di “Mushroom Bomb”, scaraventando nel mezzo citazioni lounge/exotica di “Perfect Stranger” e spensierate leggerezze ritmiche in “Taking The Present Day For Granted”. Ulteriori sfumature di colore di un esordio fulminante.
16/07/2020