Joji

Nectar

2020 (88rising)
alt-r&b, lo-fi hip hop, trap

La vicenda privata e professionale di George Kusunoki Miller potrebbe quasi fungere da case study sociologico per la definizione della generazione "millennial". In primo luogo per il cosmopolitismo delle sue origini: il classe 1992 non soltanto ha un codice genetico meticcio (padre australiano e madre giapponese), ma la sua stessa formazione umana è stata forgiata da continenti e realtà estremamente diverse. Dopo aver vissuto in Giappone sino al compimento dei 18 anni, come molti coetanei dotati delle necessarie disponibilità economiche, decide di arricchire il suo bagaglio d’esperienze misurandosi con gli studi al college in quella che ancora oggi rimane la più grande terra delle opportunità in questo senso, gli Stati Uniti. Ed è qui che avviene la svolta, per quanto non nel senso in cui forse lo stesso ragazzo si era prefissato. O forse sì?
Nel 2008, quando ancora si trova a Osaka, Miller apre un canale YouTube, con in mente sin da subito un obiettivo: quello di promuovere la propria musica, vera e grande passione da sempre. Se però the medium is the message, spesso risulta necessario piegarsi alle regole del mezzo se si vuole ambire a far sentire la propria voce e conseguire un riconoscimento su scala più o meno vasta. È così che negli anni del college crea il canale YouTube TVFilthyFrank, postribolo ripieno di trash e goliardie tipiche dell’umorismo internettiano più demenziale. I risultati però arrivano, eccome: basti pensare che è proprio Miller, nei panni del suo folle alter ego Pink Guy, a creare il balletto tormentone "Harlem Shake", capace di generare momenti di isteria collettiva in ogni festa giovanile a tutte le latitudini del globo.

Pink Guy non è solo questo, ma anche il primo pseudonimo grazie al quale il giovane pubblica colonne sonore per i suoi video, mantenendone la natura nonsense e disimpegnata. Raccolte di questi brani e mixtape gli permettono di firmare per l’etichetta indipendente 88rising e apparire nella top 200 di Billboard.
Fino a questo punto il cinismo imprenditoriale che ha contraddistinto spesso l’ascesa di molti musicisti contemporanei, approdati alla professione artistica dopo aver bazzicato quella dell’intrattenimento leggero quando non proprio populista, è stato abbracciato da Miller senza troppe remore. Nel 2017, tuttavia, resosi conto di essersi rinchiuso da solo in un recinto indesiderato, il venticinquenne si lascia alle spalle scherzi e grezzate per poter, finalmente, fare musica "normale", come lui stesso ha spiegato.
Nel giro di un anno vengono pubblicati l’Ep “In Tongues” e l’album “Ballads 1”, entrambi con il moniker Joji, ovvero il modo in cui, storpiandone involontariamente la pronuncia, i giapponesi dicono il nome “George”. In particolare l’album di debutto ottiene un grosso successo, arrivando al numero 3 di Billboard e rimanendo in classifica per oltre un anno. La musica è decisamente cambiata rispetto al passato, focalizzandosi per lo più (come da titolo) su ballate malinconiche e dal sapore r&b. Nel complesso la proposta è forse un po’ monocorde e non sempre troppo originale, ma su tutto si staglia la bellezza eterea di “Slow Dancing In The Dark”: il gentile pizzicato di arpa sintetica fa da contorno a una melodia romantica, capace di vibranti cambi di dinamica.

Queste sono le premesse che anticipano “Nectar”, uscito il 25 settembre di quest’anno bissando il piazzamento nelle chart del debutto e prova del nove circa la reale statura artistica del personaggio.
A scorrere tracklist e crediti si capisce come il musicista giapponese questa volta abbia voluto fare le cose in grande: molteplici featuring, co-autori e produttori si avvicendano nel corso delle 18 tracce, secondo la prassi di album extra-large molto in voga nell’era dello streaming. Si può idealmente dividere l’opera in due sezioni: la prima, che va da “Ew” a “Sanctuary”, è più pop ed è quasi esclusivamente composta da singoli, mentre la seconda comprende episodi dall’impatto meno immediato, più sperimentali, pur non perdendo il gusto per la melodia nella scrittura.

Le prime otto canzoni in scaletta scorrono l’una dopo l’altra come una sorta di flusso, e colpiscono l’ascoltatore per la classe e l’eclettismo messi in mostra. È raro infatti trovare in dischi di pop contemporaneo numeri come “Ew”, r&b alternativo dai delicati toni malinconici e attraversato da profondi bassi trap nel ritornello, “MODUS”, ovvero l’alternative soul decostruito di James Blake sconquassato da un incalzante flow trap rap e reso pop d’autore grazie a un ritornello d’alta scuola, o “Tick Tock”, che azzarda con la spavalderia di chi è sicuro dei propri mezzi un incrocio tra delicati incastri di chitarre quasi folktronici e cadenze da rap del ghetto.
La successiva sequenza di quattro singoli su cinque canzoni è forse ancora più sorprendente. In “Daylight” Joji unisce le forze con i superproduttori Diplo e Greg Kurstin (Lily Allen e Adele, tra gli altri) e dimostra di saper gestire anche le declinazioni rock dell’r&b: il basso in palm muting e i pesanti delay settati a 1/16 del tempo rimandano subito al capolavoro degli Arctic MonkeysAM”, mentre il drammatico mellotron nel ritornello fa da cornice allo strazio per la fine di una relazione dipinto nel testo.

Dopo un breve ma denso intermezzo per drum machine, piano jazzato e chitarre bossanova (“Upgrade”) è la volta di “Gimme Love”, quasi una microsuite divisa nettamente in due sezioni: la prima è notevolmente upbeat rispetto a tutto il resto del disco, e con differenti scelte di mixaggio la cassa elettronica potrebbe facilmente essere quella di un pezzo hardcore techno. Si preferisce, invece, mantenere il tono delicato adottato finora: poche tastiere, armonizzazioni vocali, batteria e basso sintetici sono la scarna base su cui si adagia lo spleen esistenziale del cantante. Dopo appena 1’42 tutto si interrompe e la canzone diventa improvvisamente un melanconico chamber pop, con sequenze ascendenti di archi memori di classici del pop tutto quali “Life On Mars?”. È in questa canzone che trova pieno compimento l’estrema sintesi e il desiderio di non disperdere nemmeno un minuto di musica che caratterizza l’urgenza espressiva di tutto il disco, le cui tracce raramente superano i tre minuti e mezzo.
Segue “Run”, secondo singolo estratto, in cui viene esplosa la vena rock di “Daylight” attraverso una canzone interamente basata su strumentazione non digitale. L’arpeggio di chitarra crunchy, la naturalezza e classicità della melodia, l’assolo finale notevolmente sporco e iconoclasta rispetto al pop occidentale degli ultimi due decenni, dove si grida all’eresia di fronte a ogni minima forma di virtuosismo, vanno a comporre un autentico inno, memore in parte di Lana Del Rey (non a caso c’è il suo storico collaboratore Justin Parker tra gli autori), in parte di Prince e del suo inconfondibile falsetto. A creare distensione dopo una sequenza ad alto tasso drammatico ci pensa la pimpante ma obliqua “Sanctuary”, primo singolo estratto dal disco.

Le restanti dieci tracce mostrano forse ancor di più le dichiarate ispirazioni musicali ed estetiche di Joji, trip-hop e hip-hop lo-fi, espresse comunque in mezzo a molto altro. Si possono notare infatti le chitarre acustiche pigre su “High Hopes”, le armonie orientaleggianti in “NITROUS” (prodotta da Clams Casino), gli interscambi tra electropop e synthwave in “777”, i sintetizzatori space nel featuring con Yves Tumor in “Reanimator”, i ritmi house in “Your Man”, il soul depresso di “Normal People”.
Come in ogni disco pop che si rispetti, l’attitudine, la personalità, è data in maniera definitiva dall’impostazione vocale dell’interprete. E Miller si rivela perfetto per i vari umori dell’album: lontano dagli eccessi di pathos di molto r&b contemporaneo, non necessita di autotune per poter esprimersi anche in contesti dove solitamente abbonda il ricorso a questo espediente. L’emissione vocale da lui utilizzata è pulita, diaframmatica, solitamente su levigati toni baritonali ma all’occorrenza capace di librarsi in falsetti angelici, altissimi. È su “Like you do”, piazzata a fondo scaletta, che il musicista fornisce la prova più sofisticata e completa, perfettamente in linea con una torch song per sintetizzatori e archi toccante, dolente di malinconia e rimpianto, gemma aliena in una scena contemporanea che troppo raramente riesce a toccare certe corde emotive con simile, estatica grazia.

28/11/2020

Tracklist

  1. Ew
  2. MODUS
  3. Tick Tock
  4. Daylight
  5. Upgrade
  6. Gimme Love
  7. Run
  8. Sanctuary
  9. High Hopes (feat. Omar Apollo)
  10. NITROUS
  11. Pretty Boy (feat. Lil Yachty)
  12. Normal People (feat. rei brown)
  13. Afterthought (Joji & BENEE)
  14. Mr. Hollywood
  15. 777
  16. Reanimator (feat. Yves Tumor)
  17. Like You Do
  18. Your Man