Quanto può spingersi il concetto nel definire una proposta artistica? Quanto può sostituirsi al processo creativo, all'effettivo dato, materiale o sonoro che esso sia, e diventare esso stesso il fulcro della successiva ricezione e valutazione? Sono domande retoriche quanto si vuole, anche perché è evidente come non esista alcun limite a tal riguardo, è vero però che dà da riflettere come non siano rari i casi, specialmente nell'ambito di un'elettronica fluida, senza genere, prepotentemente queer, in cui l'idea alla base di un progetto quasi soppianta il suo contenuto, al punto che diventa difficile trovarne traccia durante l'ascolto vero e proprio. È un discorso che vale anche per un album come “NEVAEH”, primo lavoro sotto un'etichetta per MHYSA, artista concettuale di stanza nella trafficata New York, desiderosa di intercettare i desideri e le speranze delle donne afroamericane e di chi abbraccia la propria femminilità indipendentemente dal sesso e dal genere.
Un intento lodevole, che avvicina l'operato dell'artista a quello di tanti progetti che si muovono su tematiche intersezionali di analogo tenore: eppure, ben poco di quanto annunciato da simili affermazioni trova uno sbocco veramente chiaro nei solchi dell'album, in cui le riflessioni della sua ideatrice si perdono nelle (non-)costruzioni dei brani, motivi obliqui sospesi in un'aura indefinita, statica, talvolta sorretti soltanto dalla voce di MHYSA, spesso accompagnati da un'ambience spettrale o da sghembi pattern sintetici, vagamente reminiscenti di strutture club. In questa parata di sbilenchi costrutti urban (“Before The World Ends”, forse l'unico brano realmente esplicito nella sua cornice sessuale), momenti di pura contemplazione vocale, rumorismi assortiti (“Float”, le nebbie ambient-noise di “Sad Slutty Baby....”) il messaggio fatica a emergere con la forza necessaria. Spesso rimane nascosto tra indizi sparpagliati lungo la tracklist (il contesto urbano di “W_me Interlude”, i fraseggi sudisti di “Sanaa Latham”), talvolta si annida nelle pieghe di una voce costretta a seguire traiettorie surreali, interpretazioni fuori asse, circondate da un silenzio alieno, che neanche le rudimentali costruzioni sonore riescono ad estinguere del tutto.
Meglio fanno in tal senso la cover di “If I Ruled The World” di Nas (qui ribattezzata come “Breaker Of Chains”) e una riproposizione in due atti dello spiritual “When The Saints Go Marching In”, in una sorta di black-continuum che si allaccia alla contemporaneità senza rotture. Sono momenti che raccontano la fiducia (nonché la profonda vulnerabilità) insita nell'album, che contribuiscono a disvelare la progettualità dietro “NEVAEH”, nel complesso però troppo deboli per sorreggere l'intero insieme, un'impalcatura priva di un effettivo baricentro per rimanere in piedi.
Senza il supporto di un'etichetta, il precedente “fantasii” partiva da presupposti non molto lontani incanalandoli in un pacchetto di tracce ben più solido e focalizzato, per quanto ispirato da un approccio sempre disallineato e trasversale. Ricercare quella forza comunicativa, senza sacrificare l'estremo minimalismo introdotto col secondo full-length, potrebbe portare a nuove eccitanti riflessioni sonore. Di certo, il concetto da solo non aiuta a costruire un album.
14/03/2020