Con quindici anni di onorata carriera e un numero considerevole di uscite discografiche alle spalle, è incredibile come Jérôme Reuter, in arte Rome, riesca ancora a sorprendere centrando il bersaglio con lavori di assoluto spessore culturale. I suoi dischi riescono nel complesso tentativo di ridefinire il campo del neofolk senza aver paura di andare oltre i confini del genere. Il nuovo album del musicista lussemburghese, “The Lone Furrow”, è una lucida critica al mondo moderno, un vero e proprio atto di resistenza nell'era del Kali Yuga, ovvero quella che nella visione induista viene considerata un’età di conflitti, menzogna e declino spirituale.
Come ne “Le ceneri di Heliodoro”, assistiamo a un ritorno a quel neofolk dai tratti marziali che ricorda la trilogia di album (più l’Ep “Berlin”) che aveva lanciato brillantemente la carriera di Reuter attraverso la leggendaria label svedese Cold Meat Industry. Si tratta però di una sorta di “ripetizione differente”, che incorpora un mosaico di suggestioni e, in questo caso particolare, presenta anche una serie di collaborazioni eccellenti. Stilisticamente è un disco in puro stile Rome, ma con interessanti derive dovute alle molte voci ospiti che qui arricchiscono il suo sound senza mai snaturarlo.
Iniziamo subito dalla collaborazione con lo scrittore, musicista e regista finlandese Aki Cederberg. Tempo fa Cederberg scrisse un bellissimo libro, purtroppo ancora inedito in Italia, intitolato “Journeys in the Kali Yuga: A Pilgrimage from Esoteric India to Pagan Europe”, sorta di diario del suo viaggio/pellegrinaggio in India alla ricerca delle proprie radici “indoeuropee”, quella visione culturale che lega mitologia e religione indiana con quella europea e scandinava, sorta di antidoto spirituale per superare i vicoli ciechi della modernità. Sembra che libro sia piaciuto molto a Reuter ed è proprio la voce dell’artista finlandese ad aprire il disco con “Masters Of The Earth”, feroce invettiva contro una modernità che si nasconde dietro falsi miti di progresso per strangolare il mondo.
Dopo la bella “Tyriat Sig Tyrias”, presentata nelle note che accompagnano l'album con le parole del poeta Ezra Pound (“Out of all this beauty something must come”), è la volta di “Ächtung, Baby”, collaborazione d’eccellenza con Alan Averill, cantante della band black metal irlandese Primordial. Si tratta del primo singolo che anticipava l’uscita di “The Lone Furrow”. Il titolo gioca evidentemente con il nome dell’album degli U2, ma le similitudini con la band irlandese si fermano qui. Le parole del ritornello da sole valgono un’intera discografia neofolk:
We preserve the fire
We protect the flame
Our Gods eternal
Go by different names
Segue il breve recitato (ma non per questo meno acuto) di “Making Enemies In The New Age”, che si avvale della collaborazione di Joseph Rowland della band doom metal statunitense Pallbearer. Tra citazioni di Orwell e visioni distopiche tristemente realistiche e attuali, si crea così il perfetto preludio alla successiva “The Angry Cup”, che vede come ospite Adam Darski, meglio conosciuto come Nergal, musicista polacco frontman del gruppo black/death metal Behemoth. Di recente Nergal ha anche solcato inediti lidi folk/country con il suo progetto Me And That Man e qui respiriamo un po’ quell’aria polverosa, cupa e arrabbiata che ci ricorda non poco Nick Cave & The Bad Seeds (quelli dei tempi selvaggi di “The Firstborn Is Dead”, sia chiaro). Segue “The Twain”, traccia ispirata agli scritti di Rudyard Kipling, che guarda al Rome più cantautorale e solenne.
La prima parte del disco si conclude con “Kali Yuga Über Alles” secondo splendido singolo tratto dall’album. Tornano la voce e le parole di Aki Cederberg, qui supportate da quelle di Reuter e da pesanti e implacabili tamburi marziali. Il titolo è un riferimento ironico al celebre brano dei Dead Kennedys, “California Über Alles”, mentre il testo è ispirato in parte agli scritti di Ovidio. Assieme ad “Ächtung, Baby”, è uno dei vertici del lavoro. Due brani che sicuramente rimarranno impressi a fuoco nella discografia di Rome.
La seconda parte del disco si apre con “The Weight Of Light”, un recitato ispirato dalle riflessioni di Friedrich Nietzsche. Una traccia densa di visioni mistiche che si agitano su un tappeto ambient e poi sfumano sulle delicate note di piano di “The Lay Of Ira”, le cui parole emergono dalle suggestioni dello scrittore islandese Snorri Sturluson. Quest’ultima vede la partecipazione di J.J. (V. Wahntraum) cantante degli Harakiri for the Sky, qui a dar man forte al lussemburghese.
“On Albion’s Plan” s’immerge di nuovo nelle suggestioni irlandesi alla base delle melodie folk dell’album “The Dublin Session”, mentre “Palmyra” è, assieme ai due singoli, un altro pilastro portante del lavoro. La canzone, che vede la partecipazione di Laure le Prunenec (Igorrr/Rïcïnn), è dedicata al sito archeologico violato dai miliziani jihadisti nel vano tentativo di cancellare le tracce di un mondo antico e fieramente pagano/euroasiatico che aveva proprio in quelle zone una delle sue culle millenarie. Un modus operandi tristemente simile a certe aberrazioni della modernità che si scagliano contro le statue del passato per imporre il proprio pensiero unico e universalista sul mondo globale. La canzone è recitata in perfetto francese e riesce a creare un’atmosfera al tempo stesso triste ma solenne, come l’epitaffio di un mondo antico che risorge sempre dalle proprie ceneri e dalla polvere della storia.
Chiude il tutto “Obsidian”, un bell’omaggio a Ernst Jünger cantato in tedesco. Di recente Reuter ha realizzato "Gärten Und Strassen", un album stumentale di puro cut-up martial ambient, interamente dedicato all'esperienza francese dell'intelletuale tedesco durante il secondo conflitto mondiale. Segue “A Peak of One’s Own”, sorta di outro che riprende il tema del Kali Yuga, dell’età oscura in cui viviamo. È un tempo ciclico in cui contrappore al mare d’ignoranza, confusione e isteria un sorriso dall’alto, in piedi sulle rovine di questa modernità al tramonto.
Grazie Jérôme per questo solco profondo, corale più che solitario, da tracciare nella sabbia dei tempi.
31/08/2020