Sweven

The Eternal Resonance

2020 (Van)
prog-metal

Deliver me from it all
I reek of desolation and despair
Balancing on a tightrope
as the rats are lead to kick their chairs
This walk seems eternal,
yet ephemeral in relation to the whole
I empty the glass in which the toxin dissolved

I Morbus Chron sono stati una band svedese che, partendo dal death-metal, ha integrato importanti dosi psych-rock sul secondo e ultimo album, "Sweven" (2014). Dopo ben sei anni, il principale autore di quell'estremismo meticcio, Robert Andersson, ritorna con un nuovo progetto che si chiama proprio come quel curioso secondo disco, Sweven, e un lavoro dal titolo altisonante, "The Eternal Resonance". Otto brani stipati in sessanta minuti, seguendo una scansione prog-metal che ben si palesa anche all'ascolto.

L'acustica apertura di "The Spark" tradisce una ricercatezza barocca, che non viene contraddetta neanche dall'abbrivio onirico di "By Virtue Of A Promise" (nove minuti), cullata da rintocchi d'inconsolabile malinconia Esoteric-a. Quando il growl sopraggiunge, non scardina la struttura del brano, ma esalta la componente emotiva e drammatica di quella che si rivela come una elaborata fantasia melodica, al confine fra prog-rock e prog-metal, più Haken che Entombed.
In pieno prog-rock apre "Reduced To An Amber", confermando la ricercatezza negli arrangiamenti e nelle melodie, con desolanti accenni jazz e intarsi folk. Se "The Sole Importance" fonde i tardi Death con un abbandono alla cupidigia, il suo apice espressivo è più una questione di emozione che di sincretismo stilistico: un lungo assolo ansiogeno di chitarra.

La strategia tensiva di "Mycelia" chiama in causa persino i Tool e la lunga, struggente "Solemn Retreat" riecheggia lo sludge atmosferico dei Neurosis, ma anche in questi maestosi esercizi compositivi trionfa soprattutto il trasposto straziante, il dolore lacerante che viene urlato da un'anima in pena, intenta a elaborare i propri lutti. È il manto infame dell'abbandonarsi alla malinconia che flette la rabbia delle composizioni, facendo filtrare una lontana e tragica tristezza di melodie sognanti. Una lotta intestina che solo "Visceral Blight" trasmette con un linguaggio più tipicamente death-metal, a compensare il più toccante commiato quasi-strumentale di "Sanctum Sanctorum", fra climax post-metal e una coda liturgica che prega la pace dell'anima.

Preso come scandaglio emotivo del suo autore, l'album si esalta nelle apparenti contraddizioni. Il pur ragguardevole intreccio di ispirazioni e deviazioni stilistiche non predomina sull'emozione, vera protagonista e bussola dei lunghi brani. Sempre rimanendo nei confini del verbo progressivo, si concede comunque poco all'istrionismo tecnico e allo spettacolo assordante e magniloquente, preferendo volumi più contenuti e arrangiamenti che dosano gli istrionismi. Ne emerge un lavoro che trova il suo motivo d'essere in una esperienza d'ascolto profonda e tridimensionale, che richiede grande attenzione, ma ripaga in termini di abbondanza di spunti e idee, nonché di emozioni. Non esattamente il più immediato lavoro prog-metal dell'anno, ma uno di quelli che potrebbe resistere meglio ai futuri riascolti.

30/03/2020

Tracklist

  1. The Spark
  2. By Virtue of a Promise
  3. Reduced to an Ember
  4. The Sole Importance
  5. Mycelia
  6. Solemn Retreat
  7. Visceral Blight
  8. Sanctum Sanctorum