La giovane, come tutti, era giunta da altre vite vissute. Aveva attraversato nella semioscurità il lungo corridoio del sentiero universale, quello della coscienza pura. E durante questo stupefacente passaggio era stata cullata dalle melodie e dai canti tramandati da milioni di anni, a partire dal primordiale suono che segnò il principio della creazione suprema
Maila è luce. È voglia di raggiungere l'altro da sé, in rotta di collisione con l'umanità perduta. Maila è speranza. È una farfalla che ha lasciato il bozzolo di questa terra infame. Rifugge e batte le ali. Verso il sole e l'orizzonte. Maila è soprattutto il nome della protagonista del nuovo album di Amerigo Verardi. Un
concept totalizzante basato sul sogno, in cui il cantautore e polistrumentista brindisino continua a dimostrarsi fin dalle premesse un
unicum nel panorama musicale del nostro paese.
Cinque anni dopo "
Hippie Dixit", il polistrumentista e produttore è ancora una volta carico di meraviglie. Suona di tutto: chitarre acustiche ed elettriche, basso, percussioni, pianoforte, autoharp, xilofono, cetra, flauto, sitar. Piazza campionamenti e registrazioni d'ambiente. Canta e diffonde bellezza, abbracciando la natura alla stregua di un panteista nel bosco. Verardi è innamorato dell'esistenza, del tempo liberato. Dopotutto, "le leggi sono scritte negli alberi". Mentre si accendono i "desideri di una mano fra i capelli" e la necessità di liberarsi si espande: "Non peseranno più le parole dette tra noi, mio amore" ("Le parole non dette").
La rinascita su questo pianeta era stata ispirata da un sogno divino di bellezza e da un immenso, indefinibile sentimento di amore. E lei, bella lo era davvero. Ecco perché aveva preso il nome di Maila.
"Maila ti prende per mano e ti porterà le meraviglie d'oriente": il viaggio è figurato attraverso la contemplazione di una Dea. Una Diana immaginaria che caccia i demoni e frantuma le paure. Il tutto tra armonie celesti, sax che spuntano come giullari in festa, e fraseggi acustici che dondolano, prima di far scendere le lacrime "nella stanza degli specchi" ("Un'incredibile estate").
In questo susseguirsi di metafore esoteriche, troviamo anche momenti più terreni come "Gioco con i maschi, gioco con le femmine" e "La mia amica Stefania". Istanti in cui la narrazione assume una dimensione più fruibile, tra "frasi oscene", ricordi di un'altra vita, inferni e incendi nella testa.
L'altra metà del piatto indica ancora voglia di riparare in Oriente, con il sitar a fungere da collante tra un
riff e l'altro. In "Aiuto!", salta fuori anche un verso dei "Diari" di Sylvia Plath: "I natimorti idioti di domani". Verardi prosegue infine spedito verso la propria meta, puntando a un singolare incontro tra
Claudio Rocchi (citato in una strofa di "Amor Vincit Omnia"), i
Traffic,
Kevin Ayers e i
Gong. Dio (o chi per esso) benedica quindi il suo coraggio e la sua meravigliosa inclinazione.
Quando poi arrivano momenti come "La pace che sogni è nella mente", il mantra si "snocciola" in un amplesso cercato e ottenuto dal cantautore, mentre scende la pioggia e il desiderio muta in mistero. Verardi ammira la sua Maila in quella che resta la ballata più folcloristica del lotto. Un episodio in cui "sogno e bellezza si fondono", a rimarcare un'altra volta l'incantevole obiettivo a monte di un disco semplicemente bellissimo.
26/02/2021