Bicep

Isles

2021 (Ninja Tune)
ambient-house, future-garage

L'intera industria musicale ha, come è ben noto, subito contraccolpi impressionanti. Nessun settore come quello della club-culture ha vissuto però sulla sua pelle la chiusura del suo contesto d'elezione, privandolo di fatto della possibilità di esprimersi: il drastico calo di uscite nell'ambito negli scorsi mesi (specialmente in materia di Ep e 12'') testimonia il declino – naturalmente del tutto provvisorio – di uno scenario che in mancanza della sua componente fisica, del sudore prodotto sulle piste da ballo, perde notevolmente di fascino.

Devono averlo capito anche i Bicep, da tempo ormai tra i principali mattatori dei dancefloor di mezzo mondo, che non era di certo il momento di banger euforici e dinamiche scuoti-platee, e che per l'ascolto domestico era indicato forse un approccio diverso. Nasce così un album quale “Isles”, versione ammansita di quello che vorrebbe essere un progetto ben più esplosivo, che vede il duo di Belfast approdare a una dimensione più raccolta, fumosa, che tanto prova a essere evocativa quanto ad avanzare comunque scansioni ritmiche di peso. Restare a metà del guado è un rischio che con scelte del genere si cela dietro l'angolo: spiace constatare che sia stato abbracciato senza esitazioni.
 
Non che dal punto di vista del sound il duo abbia apportato grosse modifiche rispetto al debutto del 2017, che già si abbeverava alla sorgente di house (quella più estatica, illuminata al neon) e future-garage, sicuramente però il mood appare molto più rilassato, pacato, anche in quei rari momenti in cui la gestione ritmica alza il tiro e si fiuta il tocco da grandi occasioni dei Bicep. Ma è proprio questo umore più trasognato, che anche i campionamenti vocali contribuiscono ad accentuare, a rendere l'ascolto ben più faticoso del previsto.

Se i minutaggi non risultano mai esagerati, il taglio monolitico dei timbri e delle composizioni, difficilmente provviste di dinamismo interno e un senso dell'evoluzione, finiscono col far risaltare l'esilità delle strutture, spesso troppo carenti anche solo di un sussulto per giustificare la propria durata. Così, belle idee sparpagliate qua e là finiscono diluite in un mare magnum di pattern “onirici” a buon mercato (il tocco jungle di “Cazenove” che figura quasi da comparsa tra i fugaci campioni vocali e i fiacchi ostinati timbrici), e anche quando la melodia assume contorni più definiti si fa ben poco per uscire da un torpore generalizzato, che sì avvolge, ma allo stesso tempo offusca, infiacchisce (“Saku”, e il suo ciondolante andamento in fascia Idm).
 
Non c'è proprio niente che riscatti la fiacchezza generale? Il tocco alla Burial di “Rever”, con Julia Kent a donare un senso di sfuggente sacralità allo scattante pattern future-garage di base, può essere la giusta risposta. E così “Sundial”, spingendo ulteriormente su un analogo incrocio stilistico, caldeggia incroci di peso tra la più urbana delle strutture e vecchi classici del cinema indiano, in un incontro culturale che fornisce nuovo slancio al brano. Troppo, davvero troppo poco, però, per riscattare un disco privo di scheletro, che a malapena lascia intravedere quanto potrebbe essere in potenza. Che le versioni live riescano a sciogliere i nostri dubbi? 

04/02/2021

Tracklist

  1. Atlas
  2. Cazenove
  3. Apricots
  4. Saku (ft. Clara La San)
  5. Lido
  6. X (ft. Clara La San)
  7. Rever (ft. Julia Kent)
  8. Sundial
  9. Fir
  10. Hawk (ft. Machìna)




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