Lin-Manuel Miranda/Germaine Franco

Encanto

2021 (Walt Disney Records)
musical, latin pop

In cima alla classifica statunitense dei singoli più ascoltati, questa settimana c’è un pezzo inatteso. “We Don’t Talk About Bruno”, tratto dalla colonna sonora di “Encanto”, è il primo brano tratto da un film di animazione Disney a conquistare la prima posizione della Billboard Chart dai tempi di “A Whole New World”. Allora l’anno era il 1993, nel pieno dell’era Disney Renaissance: il film era “Aladdin” e l’alfiere del rinnovamento musicale era Alan Menken. Oggi il nuovo paladino del musical in veste animata è il quartantaduenne Lin-Manuel Miranda, già creatore per Disney delle canzoni di “Oceania” e, soprattutto, autore e protagonista del musical da record “Hamilton”, narrazione in chiave hip-hop delle vicende dei padri fondatori americani.

Il successo di “Bruno” è virale, e passa da tonnellate di utilizzi su TikTok: come nota l’Atlantic, tuttavia, una caratteristica peculiare dei suoi rimbalzi social è l’assenza di una parte enormemente più memizzata delle altre - persone diverse legano con sezioni diverse della canzone. D’altra parte, il brano è, tra quelli del musical, uno dei più trafficati in fatto di personaggi coinvolti, e i versi di ciascun partecipante sono radicalmente diversi per stile, atmosfere e temi.
Il boom di “Bruno” sta trainando gli streaming di “Encanto”, ed è oggi l’inevitabile porta d’accesso alla musica di Miranda per chi ancora non avesse familiarità col suo nome. Benissimo così: è pienamente rappresentativa dell’eccezionalità della sua penna, quindi sfruttiamola pure come punto di partenza.
Stile musicale: il pezzo combina immediatezza pop, costruzioni tipiche del musical e un’impostazione ritmica di chiara matrice afro-cubana. Tecnicamente parlando, lo schema base è quello della guajira, che, per i profani, è l’impianto inconfondibile dell’evergreen “Guantanamera” e di celebri brani di Santana e Buena Vista Social Club. Su questo fondamento, le voci di ben sette personaggi (tolte le comparse) si alternano ognuna su un filo melodico diverso, per poi convergere sul finale in un intreccio polifonico che già di per sé è un colpo da maestro. Estrapolando: le composizioni di Lin-Manuel Miranda sono radicate nei fondamenti del musical - ricchezza armonica, associazione fra temi e personaggi, frequenti stratificazioni e scambi vocali - ma decisamente up-to-date in fatto di efficacia pop. Ossessionato dagli elementi ritmici, Miranda pesca qui e in tutto “Encanto” dalle tradizioni caraibiche ma non rinuncia alle sue influenze urban e hip-hop.

Testi: la scrittura di Miranda è quella di un nerd. La cosa è palese a chiunque lo abbia visto in “Hamilton”, ma traspare anche dalla scelta delle parole in “Bruno”: mette al centro i suoni delle parole e il loro effetto ritmico, ma raramente si preoccupa della loro naturalezza. “I associate him with the sound of falling sand” non è un verso granché credibile, ma piazzato dov’è, in un passaggio semisussurrato tutto sibili e allitterazioni, è semplicemente perfetto.
Tutto “Encanto”, comunque sia, si distingue da altri lavori precedenti come assai più diretto ed evocativo nelle scelte verbali, ed è lontano dal didascalismo che un po’ minava i suoi pezzi in “Oceania”. Qualche volta sconfina nel kitsch, ma, ehi, è la Disney: l’asticella della glicemia va ritarata nell’istante in cui si preme il tasto play.
Temi: la canzone è la presentazione dell’antagonista (o presunto tale), e ne mostra il ruolo distruttivo per la comunità a cui appartiene; dietro alla facciata di villain song in contumacia (Bruno è fra i pochissimi personaggi assenti), tuttavia, si cela un numero dedicato alla diversità mentale e alle dinamiche di esclusione. La caleidoscopicità dei personaggi e delle melodie è perfetta per mettere in mostra la propria identità in duetti social, ma l’elemento pro-inclusione che fa da sfondo al pezzo è senz’altro fra le chiavi che lo rendono così agilmente sbandierabile.


Sarebbe un grande errore, però, fermarsi all’aspetto novelty song di questa inaspettata hit e trascurare le altre canzoni del film. A ben vedere, “Bruno” non è nemmeno il pezzo più dirompente della tracklist. Interamente giocata sulla commistione di ritmi latini, mainstream pop e classicismo Broadway, la sequenza di numeri inanellata da Miranda ha in “Waiting On A Miracle” e “Surface Pressure” due momenti cruciali. La prima, classica want song disneyana, esprime le speranze di rivalsa della protagonista attraverso una sagace rielaborazione del bambuco colombiano: come da tradizione, la base è un poliritmo tre-contro-quattro, in cui Miranda intuisce la capacità di rendere al meglio l’essere “fuori tempo” della protagonista rispetto ai suoi familiari. Altra prova di destrezza celata nel pezzo è la fluidità armonica, che calza a pennello sui passaggi clou del testo: dopo “I will stand on the side” gli accordi escono dalla tonalità principale, “All I need is a change” anticipa un cambio di tonalità, e il termine chiave “miracle” è sistematicamente accompagnato da uno dei trucchi di magia più ammalianti della valigetta del buon songwriter, il passaggio dall’accordo di quarta minore (chiedere a McCartney, Lynne e Radiohead per qualche lezione accelerata).

È almeno da “La Sirenetta” in poi che il genere “protagonista che si sente estranea al mondo in cui vive e sogna di potersi finalmente realizzare” è codificato musicalmente da canzoni ascensionali e liberatorie; Miranda non riscopre l’acqua calda, si inserisce in una continuità. Lo fa però con piena padronanza dei mezzi e qualche innegabile tocco di classe: i cambi di tonalità davvero stealth e l’utilizzo dello stesso accordo (Si maggiore) come ponte fra tutte le scale impiegate. Aiuta a non fare del pezzo un puro trastullo compositivo la voce brillante e colloquiale dell’argentina Stephanie Beatriz, a suo agio completo sia coll’inglese che con lo spagnolo, sia coi toni medi che con gli acuti lambiti dal finale. Di tutt’altra pasta è fatta la successiva “Surface Pressure”, un energico reggaeton che rappresenta un netto stacco stilistico con le consuetudini di casa Disney.

Sfruttando la versatilità vocale della contralto Jessica Darrow, il pezzo parte granitico per poi aprirsi e lasciar spazio alla fantasia ritmica dell’incorreggibile Miranda: uno spostamento di accenti dal terzo al quarto beat per rendere irresistibilmente sinuosa la strofa; sul ritornello, un arrangiamento completamente svuotato (e in chiaro debito con “Drop It Like It’s Hot”); poi finalmente in territori latini nella nuova strofa, che mette l’anima hip-hop di Miranda più che mai in evidenza con una sensazionale raffica di assonanze ("Under the surface/ I hide my nerves and it worsens, I worry somethin' is gonna hurt us/ Under the surface/ The ship doesn't swerve as it heard how big the iceberg is"). Per non farsi mancar nulla, nell’immaginare la via d’uscita dall’ansia da prestazione che schiaccia la sorella della protagonista il bridge gioca in campo quintessenzialmente Broadway con una bella planata su un letto di accordi estesi.


Molto difficile trovare brani deboli nel resto della tracklist. Il vallenato iniziale “The Family Madrigal” introduce con leggerezza il ricchissimo cast di personaggi, semina alcuni dei temi melodici portanti e permette a Beatriz e Miranda di darci dentro da subito coi fuochi d’artificio rap. “What Else Can I Do?” fa incontrare il contagioso tresillo (qualcuno ha detto “Despacito”?) col bubblegum pop alla “Call Me Maybe” e un pizzico di rock. “Dos Orguitas”, cantata dal cantautore colombiano Sebastián Yatra, è il primo pezzo scritto da Miranda direttamente in spagnolo, con uno stile ispirato a Antônio Carlos Jobim e Joan Manuel Serrat nel tentativo - piuttosto riuscito - di comporre “un classico che suonasse come se fosse sempre esistito”.
“All Of You” chiude in bellezza l’arco narrativo, riprendendo i temi principali, introducendone uno nuovo di zecca e aprendo all’ennesimo slancio hip-hop. Sui titoli di coda, "Colombia Mi Encanto" vede la partecipazione della leggenda del pop colombiano Carlos Vives per un numero decisamente raggiante.

Eppure, qualche commentatore su Internet storce il naso: le canzoni suonano artificiose, il film pare assemblato da un comitato, nei rimandi alle musiche tradizionali c’è ben poca autenticità e molto, troppo calcolo. Procediamo con ordine. Tolti coloro che, noncuranti della rigogliosità degli arrangiamenti, dalla colonna sonora di un film per famiglie pretenderebbero la ruvidezza di un disco dei Nirvana, il tono di chi accusa Miranda di eccessivo bizantinismo pare coincidere con quello dei detrattori di “Hamilton”: se i tuoi testi sembrano quelli di un criminale di strada tutto ok, se però adotti uno stile un po’ più imborghesito, ecco che o sei Shakespeare o è meglio se stai zitto. I testi di “Encanto” sono brillanti e ricchi di sorprese; il divertimento e la passione dell’autore si percepiscono in ogni verso e in particolare in tutte le sequenze più tirate; se anche qua e là pecca di leziosità o ridondanza, le ragioni per scegliere di prendere restano comunque superiori e di gran lunga a quelle per lasciare.

E l’approccio alle tradizioni? È davvero così cinico e “turistico” come qualcuno sostiene, arrivando ad additare Miranda come artista che sfrutta le sue origini latine, per perpetrare un saccheggio culturale a uso e consumo della falsa coscienza statunitense? Che i brani di “Encanto” non si pongano in una relazione filologica coi loro riferimenti tradizionali è più che evidente: d’altra parte, per mettere in scena la Colombia del primo Novecento le canzoni pescano da un’area che va da Cuba al Brasile e da generi cronologicamente distanti come bambuco e reggaeton. Innegabile è anche che la Disney ponderi con grande attenzione ambientazioni e roster di personaggi dei suoi film. È almeno dal 2017 di “Coco” (realizzato da Pixar) che è chiaro un disegno di avvicinamento ai mercati di lingua spagnola e alle enormi minoranze latine degli Stati Uniti; prestando orecchio alle canzoni qui in "Encanto", sembra inoltre di poter notare una particolare enfasi sulle parole che per differenza dall'inglese e fonetica suonano più iconicamente ispianiche: mariposa, madrugada, Madrigal, ... Una mossa astuta per soddisfare la sete di cosmopolitismo di un paese in cui lo spagnolo è, per molti madrelingua inglesi, seconda lingua studiata fin dai primi anni del percorso scolastico. Ma è anche palese come l’enfasi sulle diversità che rendono unica ogni persona (qui abbinate a un “dono” pressoché supereroico) vada a braccetto con le ideologie liberal-individualiste che spopolano presso gli spettatori potenziali del film.

Un colosso industriale come Walt Disney Animation Studios d'altronde questo fa, per missione: vende al pubblico i sogni che questo già possiede, mutandoli in mitologia grazie a un nucleo fiabesco che con continuità si reinventa da “Biancaneve e i sette nani” in poi. Lin-Manuel Miranda è l’uomo giusto al momento giusto e non gli andrebbero addossate le ombre del mercato multimilionario che in questo momento lo ha assunto come campione: piuttosto, c’è da domandarsi se è credibile come nuova stella di quel connubio musica/immagini che ha fatto la storia dell’animazione Disney con Alan Menken e Randy Newman, con Phil Collins e i fratelli Sherman. La risposta non può che essere sì.

Qualche parola anche sullo score di Germaine Franco, che compare nella maggior parte delle edizioni disponibili in streaming (assieme alle tracce karaoke dei pezzi di Miranda). Decisamente meno appariscenti delle canzoni che aprono la tracklist, le partiture della compositrice svolgono egregiamente il loro ruolo di raccordo e rinforzo per le varie scene del film. Se è facile, nel seguire il filo della narrazione, non prestare attenzione ai colori evocati dalle parti strumentali, l’ascolto isolato evidenzia ne alcuni aspetti peculiari: l’abbondanza di ritmi e strumenti tradizionali (a corda: tiple, bandola, cuatro, arpa llanera; a fiato: gaita, flauti; a percussione: tambora, cununo, guacharaca), l’utilizzo avvolgente dei cori, e soprattutto una ripresa delle soluzioni elaborate da Saint-Saëns per ricreare atmosfere dense di magia. Germaine Franco, la prima compositrice latina a divenire membro della Hollywood Academy, afferma di essersi ispirata fortemente agli autori del realismo magico sudamericano - su tutti García Márquez - e non c’è dubbio che il mix di tradizione, luce e mistero tipico della corrente letteraria faccia parte del mood di buona parte delle partiture.

È di poche ore fa la notizia che il lavoro di Germaine Franco sia valso a “Encanto” una delle due nomination ricevute per gli Academy Awards: oltre a “Best Original Score”, il film è in lizza anche per “Best Animated Feature Film” e “Best Original Song”. Ad essere selezionata per la competizione con Billie Eilish e Van Morrison è, un po’ a sorpresa, la splendida “Dos Oruguitas”. Apparentemente, “We Don’t Talk About Bruno” è stata presa in parola.

10/02/2022

Tracklist

  1. The Family Madrigal
  2. Waiting On A Miracle
  3. Surface Pressure
  4. We Don't Talk About Bruno
  5. What Else Can I Do?
  6. Dos oruguitas
  7. All Of You
  8. ¡Hola Casita!
  9. Colombia, mi encanto
  10. Two oruguitas
  11. Abre los ojos
  12. Meet la Familia
  13. I Need You
  14. Antonio's Voice
  15. El baile Madrigal
  16. The Cracks Emerge
  17. Tenacious Mirabel
  18. Breakfast Questions
  19. Bruno's Tower
  20. Mirabel's Discovery
  21. The Dysfunctional Tango
  22. Chasing The Past
  23. Family Allies
  24. The Ultimate Vision
  25. Isabela la perfecta
  26. Las hermanas pelean
  27. The House Knows
  28. La candela
  29. El rio
  30. It Was Me
  31. El camino de Mirabel
  32. Mirabel's Cumbia
  33. The Rat's Lair
  34. Tio Bruno
  35. Impresiones del encanto
  36. La cumbia de Mirabel




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