Una relazione simbiotica tra vecchio e nuovo, un segnale retrò inviato nel futuro: ecco come vibra "Westend", l’album d’esordio dei Tausend Augen, dove l’estetica del suono è il risultato dell’incontro tra strumentazioni vintage e attuali tecniche di registrazione.
Le radici della band tedesca, formata da Alexander Schimetzky (batteria), Max Ludwig (basso, voce) e Oliver Becker (sintetizzatori, chitarra, voce), affondano in una sperimentazione senza barriere, combinata su variegate influenze che associano
post-punk, elettronica,
psichedelia, pulsazioni
motorik e noise a testi narrati in lingua madre, spesso incentrati su severe critiche, talvolta ironiche, rivolte alla società odierna.
Seguendo i percorsi tracciati dagli illustri maestri affiorati dalle terre teutoniche, come
Can,
Neu! e
Kraftwerk, la formazione di Saarbrücken ne elabora l’interpretazione con l’inserimento di suoni moderni, incrociando le espressioni proprie dei 70 con quelle degli 80 e dove le sonorità tipiche dei pionieri della
Neue Deutsche Welle (Abwärts, Grauzone,
Deutsch-Amerikanische Freundschaft) si uniscono sia a stoiche ritmiche
kraut-rock che a raffinate efferatezze soniche (vedi
Osees).
I brani contenuti nell’album sfilano dal
motorik screziato di sibilanti stoccate elettriche della
title track, alla triade di synth che divora "Silberne Maschinen", al disteso ritmo
à-la Talking Heads trafitto da chitarre e rumori gorgoglianti di “Mana Mana”, dalle distorte variazioni cerebrali di "Sonne", sostenute da una batteria martellante.
Nell’elegante frenesia di "White Noise" è il post-punk a prendere il sopravvento, con chitarre che saltano negli spazi vuoti; affascinano le note di organo poste a contrasto delle chitarre roventi di “Im Licht”, mentre "Geisterstadt" dissolve ogni tipo di frustrazione grazie a un progressivo rallentamento di cadenza, coadiuvato da bizzarre fiammate sintetiche, un cantato ansimante e oscure linee di basso.
I Tausend Augen stratificano le loro composizioni in modo intelligente e non stereotipato. Come in una torre Jenga, estraggono un blocco e lo rimettono in un'altra posizione, lo capovolgono o lo appoggiano su un lato, espandendo verso nuovi modelli lo spettro sonoro di ciò che appariva come idea embrionale.
Sette brani di post-punk elettronico crudi e concisi, psichedelici quanto basta, a dimostrazione di come risulti affascinante destreggiarsi tra leggendarie generazioni musicali per arricchirle di ispirazioni contemporanee.
14/03/2021