Vasco Brondi

Paesaggio dopo la battaglia

2021 (Sony)
songwriter

Purtroppo Vasco Brondi in questo primo lavoro firmato col suo nome perde energia, e finisce per restare un po' invischiato nei meandri di una musica spalmata, che poi è la trappola in cui cascano tanti cantautori, soprattutto italiani, quando le produzioni diventano più ricche.
Il rischio è sempre quello di perdere il mordente e finire per omologarsi a quella cosa pericolosa che va sotto il nome di orecchiabilità. Mentre prima, pur soffrendo di arrangiamenti quasi inesistenti, Brondi affascinava per il modo originalissimo di trattare i testi, e scovare poesia dappertutto, dando voce allo smarrimento di una generazione, qui finisce nell'estremo opposto. Le canzoni funzionano ma si assomigliano, e ci sono troppi filtri fra il cuore di chi scrive e l'orecchio di chi ascolta.
Le rime combaciano, e musica e parole stanno troppo bene insieme. Manca quel modo di scrivere sbrigliato che non stava nei margini e che c'era per esempio in quel capolavoro che è stato "Costellazioni". E manca l'equilibrio di "Terra", anche se già in quel disco cominciava a palesarsi una patina di troppo, qualche levigatura in più, determinata probabilmente dalle tante revisioni al computer.

Si salva per la melodia gradevole il pezzo che apre l'album, "26.000 giorni", ma poi si precipita subito in un banale arrangiamento disco con la successiva "Ci abbracciamo" che restituisce un senso di musica gratuita.
Resta sempre comunque, in "Paesaggio dopo la battaglia", quel modo di scrivere epistolare, come se i testi fossero lettere, che ha sempre rappresentato il segno originale delle opere di Brondi, come se nelle canzoni parlasse a qualcuno con cui si confida rendendo pubblica un'intimità. Ma è come se quelle storie non fossero più le sue, come se mancasse sangue. In "Chitarra nera" addirittura questo stile si esaspera, e si finisce per perdere il filo generale del discorso, tanto che non capiamo più cosa voglia dire l'autore, che nello scrivere non sembra più tanto seguire un'ispirazione, quanto piuttosto applicare un metodo.

Probabilmente la vita dell'artista ferrarese è cambiata con il successo, e ora si trova a fare i conti col fatto che, per parlare dei disagi di un gruppo (in questo caso, di una generazione), bisogna farne parte, condividerne le angosce. Non bastano buone rime. Quella che esce è musica pulita, troppo plasmata, troppo pensata per piacere.
Forse "Adriatico" esce un po' dal calderone, per l'ironia del testo, ma null'altro. Il resto sono parole d'amore più o meno già sentite. E immagini meno convincenti di quelle così metropolitane e potenti che restituivano storie di cuori sepolti fra il cemento delle città a cui ci aveva abituato.

Se negli esiti migliori, diciamo fino a "Le costellazioni", si sentiva l'influenza del primissimo De Gregori per l'utilizzo minimale di chitarra e voce e per il coraggio di non dover rendere conto a nessuno, qui semmai si sente l'eco di Jovanotti.

01/06/2021

Tracklist

  1. 26000 giorni
  2. Ci abbracciamo
  3. Città aperta
  4. Paesaggio dopo la battaglia
  5. Mezza nuda
  6. Due animali in una stanza
  7. Adriatico
  8. Luna crescente
  9. Chitarra nera
  10. Il sentiero degli dei

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