Abel Selaocoe

Where Is Home (Hae Ke Kae)

2022 (Warner Classics)
barocca, musica sotho-tswana, folk-tanzaniano

Che portento, Abel Selaocoe. Dalla natia Sebokeng, alla periferia di Johannesburg, al Regno Unito e quindi ai palchi di tutto il mondo, la sua è una storia di quelle che non hanno bisogno di biopic strappalacrime per essere raccontate. Ci pensa già lui stesso, in compagnia del fido violoncello e di un approccio creativo tra i più coraggiosi in circolazione, a far parlare di sé e richiamare l'attenzione di un pubblico che segna il tutto esaurito ai suoi concerti.
Il suo segreto? Lasciare che la rigorosa formazione classica e l'amore per il groove e l'improvvisazione mutuato dai suoni della sua terra (e per estensione dell'Africa intera) non si escludano vicendevolmente, ma portino a una fruttuosa ed eccitante confluenza, quale forse non si era mai ascoltata prima d'ora.

 

Se è vero che i linguaggi classici hanno incrociato ripetutamente i loro percorsi con le più svariate influenze, quanto si propone in “Where Is Home (Hae Ke Kae)” concerne piuttosto il rilevare le reciproche affinità tra universi culturali lontanissimi, evidenziare i punti di convergenza e le reciproche possibilità di trasformazione. Oltraggio, lesa maestà? Niente affatto: nel peregrinare tra i secoli (qui si propongono esecuzioni di Giovanni Benedetto Platti e Johann Sebastian Bach) e comporre/improvvisare materiale di proprio pugno, il musicista/cantante/performer si muove sì con estrema spregiudicatezza, senza mai però scadere in eccessi virtuosistici o raffazzonati tentativi fusion. C'è troppa conoscenza di fondo perché si perda così il senso dell'orientamento.

Sono tali il carisma, la sicurezza che tracimano da ciascuna delle sedici tracce, che si fatica a riconoscere nell'album in questione un esordio discografico. Certo, dietro c'è un'attività concertistica e un'esperienza che non possono essere sottovalutate, rimane però vivida l'impressione di una consapevolezza che già dall'impressionante preludio, l'inno “Ibuyile l'Africa” (con tanto di partecipazione del leggendario Yo-Yo Ma), consente al violoncellista di imbastire il suo complesso sincretismo compositivo. Sincretismo che vede nell'attitudine al canto, nel trasporto corale, un punto di snodo focale: complice anche il forte sostegno fornito dai colleghi del Manchester Collective, il suo approccio sa attuare ancora più in profondità il processo di mutua trasformazione pensata per il disco.

 

Tra rapide pennellate in doppia corda (lo schizzo improvvisato “Dipolelo”) e omaggi a grandi figure della musica tanzaniana (“Zawose”, vibrante numero percussivo che prova a trasferire l'acutezza timbrica dello zeze nel violoncello), tale criterio meglio si evidenzia nei quattro movimenti della sonata per violoncello no. 7 di Platti. Suonata con la disciplina e la fermezza che le compete, viene comunque impreziosita dai contributi di un peculiare quartetto d'archi che vede nella kora, nella tiorba e nel contrabbasso le ulteriori tre estremità capaci di insinuarsi nelle pieghe della composizione e adornarla di brevi spunti all'impronta, talmente naturali da sembrare scritti sullo spartito.

 

Naturalezza, forse è proprio questo il vocabolo che meglio riassume l'andamento del disco: è impossibile scovare un momento nella scaletta che non abbia un senso specifico, difficile trovare discrepanze da un brano all'altro. Se è indubbio che i quattro momenti in lingua sesotho che aprono la seconda metà si accordano internamente grazie anche alla versatilità del canto di Selaocoe, capace di farsi ora innodico (“Qhawe”) ora più delicato e familiare (“Lerato”), non vi è alcuna rottura nel passaggio alla prima delle due Sarabande di Bach qui proposte. La contromelodia vocale che accompagna l'esecuzione del brano non solo omaggia la madre del musicista, che era solita unirsi con la voce durante le esercitazioni del figlio, ma innesta un contributo esterno che malgrado la distanza spazio-temporale non solo ha senso, ne complimenta totalmente lo sviluppo.

 

Approdare poco dopo all'esplosività battagliera, tutta groove e pienezza orchestrale, di una “Ka Bohaleng”, ode alla forza delle madri, è solo una conseguenza logica. Arrivati in fondo è semplicissimo ripartire da capo e ripetere il viaggio. Senza alcun timore di superare metodi operativi legati a una tradizione secolare, Abel Selaocoe illustra nuove possibilità, non migliori o più opportune, sicuramente però altrettanto valide. Seguirne le prossime mosse è solo un atto dovuto.

30/12/2022

Tracklist

1. Ibuyile l'Africa (Africa Is Back)
2. Dipolelo (Recite)
3. Zawose (for Hukwe Zawose)

Cello Sonata No. 7 In D Major, I. 84
4. Adagio
5. Allegro
6. Largo
7. Presto

8. Hlokomela (Take Care)
9. Qhawe (Hero)
10. Lerato (Love)
11. Seipone (Mirror)
12. Cello Suite No. 3 In C Major, BWV 1009: IV. Sarabande
13. Invocation
14. Ka Bohaleng (On The Sharp Side)
15. Cello Suite No. 5 In C Minor, BWV 1011: IV. Sarabande
16. Ancestral Affirmations


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