Baby Dave

Monkey Brain

2022 (autoprodotto)
synth-pop, songwriter

Acclamati in patria e un po' bistrattati (a torto?) dalle nostre parti, gli Slaves per certi versi hanno anticipato il movimento neo-post-punk (inutile fare i nomi principali, ormai fin troppo conosciuti da chiunque, complicato citare i vari epigoni che con fortune alterne stanno proliferando alacremente). In realtà il duo inglese si muove(va) in un ambito decisamente più punk che post, e comunque difficilmente potrebbe competere con band come gli Idles, pur condividendone l'approccio do it yourself e una rabbia convogliata in sfuriate aggressive. Se non altro hanno avuto il merito di riportare il punk ai piani alti delle chart britanniche appena prima che queste venissero assaltate dagli esponenti del nuovo post-punk.
Nel frattempo il gruppo è finito fuori dai radar (l'ultimo disco risale a quattro anni or sono) a causa di eventi dolorosi: dopo un tour trionfale nel 2018, l'anno successivo la compagna del chitarrista Laurie Vincent muore stroncata da un tumore alla giovane età di 32 anni e nello stesso periodo il batterista Isaac Holman è vittima di un grave esaurimento nervoso dopo un intenso e sregolato periodo on the road con la band che momentaneamente si è fermata. Holman, che nel frattempo è tornato a vivere coi propri genitori, inizia così a comporre con GarageBand quelle che sarebbero diventate le basi delle tracce poi trasformate in demo proposti a niente meno che Damon Albarn, il quale accetterà di buon grado la co-produzione di "Monkey Brain", debutto solista di Holman a nome Baby Dave.
 
Nato come attività terapeutica per cercare di affrontare un disagio psicologico, "Monkey Brain" non è un semplice capriccio artistico o divertissement, bensì un disco a metà tra la confessione e il self-help terapeutico, con un approccio che riprende il candore sincero Daniel Johnston e l'autoironia dei grandi eccentrici della musica britannica come Syd Barrett e Robyn Hitchcock, due che riuscivano a prendersi beffe perfino dei propri problemi psichici grazie al loro humor noir.
A testimoniare la stravaganza del progetto è la stessa copertina dell'album dove Holman viene fotografato al cospetto di una scimmia antropomorfa: doppelgänger grottesco, ombra junghiana al limite del demenziale o semplice interlocutore dei vaneggiamenti dell'autore, che apre il disco con le voci sovrapposte di "I Love Gardening", apparentemente uno scherzo umoristico, in realtà un vero e proprio omaggio al giardinaggio, lavoro amato e praticato nei momenti di pausa dall'attività musicale. L'espressione sonora arriva dopo questa intro e sorprende non poco, visto il passato punk dell'ex-Slaves, che ora armeggia con synth e drum machine, dando vita a un cabaret tecnologico surrealista, a partire dalla confessione imbarazzata di "Too Shy For Tennis", come se i Kinks (tono scanzonato, piano vaudeville e ironia seppur virata al grottesco) fossero trasfigurati da una lente deformante assurdamente elettronica e synth-pop. È il genere dominante nella prima parte del disco, con i suoni "giocattolosi" e le armonie twee di "Beautiful Princess" quasi in zona Magnetic Fields, ma soprattutto con "Washing Machine" rimaneggiamento  delle pulsazioni dei New Order ma con la resurrezione  nei primi due versi (“Cure The Headhache/ Cut Off The Head”) per intonazione melodica (non per timbro) dello spirito di Ian Curtis, riferimento non casuale, visto che si tratta del pezzo più efficace nell'esprimere l'alienazione causata dalla depressione, culminante nell'ipnotica  ossessione (la frase "I'll Be Watching My Whashing Machine" reiterata allo spasimo) mentre nel testo vi è una perfetta definizione del brano: "It's A Suicidal Party Song".

Sempre coadiuvati da strutture d'elettronica scarna e retrò, si alternano ai brani citati schegge hip-pop caratterizzate da ritmiche serrate e suoni strampalati ("29", iniettata da synth gorgoglianti) o dal groove ipnotico e un gusto più pop ("Clarences Dead Dad"), debitori della produzione di Albarn sponda Gorillaz.
Meno eccentrica nelle sonorità ma altrettanto inaspettata è la seconda parte dell'album, composta da una mezza dozzina di delicate ballate in cui emergono la sensibilità malinconica e la felice capacità di scrittura di Holman, che non teme di confrontarsi con autori del calibro di Jason Pierce e Peter Perrett ("Stupid  Mouth") o Mark O. Everett ("Robert"), finendo per abbordare senza timore reverenziale il lato selvaggio di Lou Reed con "Gen. Z. Baby", giocata tra il recitato metropolitano e la melodia killer della tastiera a guisa di refrain, o ammantare d'archi forbiti l'ennesima ossessione ("Don't Ever Change", forse il vertice enfatico), per poi concludere con la title track, bozzetto pop-folk affine al primo Badly Drawn Boy, in cui emerge una vulnerabilità non ostentata e filtra una tenue speranza di uscita dal tunnel oscuro del mal di vivere, nella speranza che il peggio per Holman sia ormai alle spalle.
 
Di non facile collocazione nel pur variegato panorama musicale attuale, questo curioso esordio, in virtù di un sorprendente songwriting, ingenuo ma paradossalmente maturo allo stesso tempo, permette al progetto Baby Dave di strappare in un sol colpo qualche sorriso grazie alla bizzarra (auto)ironia, inaspettati palpiti malinconici nei brani più emotivi e, in sede di valutazione, decisamente più che una semplice sufficienza: in attesa di una nuova avventura con gli Slaves, Holman si dimostra singolare autore da tenere d'occhio.

08/11/2022

Tracklist

  1. I Love Gardening
  2. Too Shy for Tennis
  3. Beautiful Princess
  4. 29
  5. Washing Machine
  6. Clarence's Dead Dad
  7. Stupid Mouth
  8. Robert
  9. Gen Z Baby
  10. ASMR
  11. Don't Ever Change
  12. Monkey Brain






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