Gebhardt

Geb Heart

2022 (Apollon Records)
songwriter, indie-rock, alt-pop

La discografia dei Motorpsycho si staglia sul panorama del rock internazionale come un gigantesco e minaccioso monolite, un’entità con cui gli appassionati del genere non possono far a meno di fare i conti e le cui proprietà pantagrueliche sono acuite dalla relativamente recente svolta progressive, che probabilmente non tutti hanno apprezzato fino in fondo; in compenso i più avvezzi a uno stile maggiormente misurato, morbido e legato alla forma canzone (in particolare, i nostalgici del sottovalutato “Phanerothyme”) possono accostarsi senza indugio al disco di Hakon Gebhardt, batterista della band norvegese dagli esordi al 2005.

 

Giunto al terzo lavoro con questo “Geb Heart” (dopo i primi due a inizio anni 2000) l’ex-Motorpsycho si riscopre polistrumentista e autore capace di spaziare su larghi fronti di un cantautorato ad ampio raggio tra suggestioni psichedeliche, delicatezze folk, traiettorie sghembe, guizzi indie-rock e una vena arty sviluppata nel finale del disco, interamente composto e registrato a Firenze, con l'Italia diventata ormai seconda patria del musicista in seguito al matrimonio con Marì Simonelli che collabora alla stesura delle liriche e suonando il basso.

“Geb Heart” apre le danze in modalità aspra e ficcante con “Breakup Breakdown”, sbilenco rock d’autore a passo di rumba innaffiato d’alcol di marca Waits sullo stile borracho e latineggiante di un (super)gruppo non abbastanza ricordato come i Firewater. Un gancio raddoppiato da “That Day”, che scaraventa l’ascoltatore in un gorgo di spirali chitarristiche garage sfumate funk di rimando agli Eels più aggressivi di "Souljacker", due colpi ben assestati intervallati dalla delicata carezza power-(flower)-jangle-psych-pop “None Of This Is Mine”, squillante e lirica come un vecchio brano dei Byrds: già al terzo pezzo è immediata la dimostrazione dell’ampio perimetro stilistico dell’autore, capace di padroneggiare diversi registri con perizia.

A prevalere inaspettatamente sono le soluzioni più dolci, con Gebhardt a pescare ancora nei Sixties utilizzando tinte pastello nel bozzetto acustico quasi Simon And Garfunkel “Please Don’t Go Away”, o perfino a ricongiungere Lennon padre e figlio (la ballad “I Want To Know”, paradossalmente con melodie più Sean che John). Se a bilanciamento del tono zuccheroso vengono iniettate infiorescenze indie-neo-psych stile Flaming Lips anni 90 dall’elettricità granulosa e gusto acidulo (“Monkey Sivert”), troppo miele viene sparso in “Fixing Things”, con l’unico refrain oltre il tasso glicemico consentito, la sola pecca di un songwriting elettro-acustico dotato di cuore (riuscito il gioco di parole del titolo), gusto sopraffino, arrangiamenti misurati e sapienza armonica capace di lasciare il segno (“Distant Stars”).

Certificate le doti di abile autore di canzoni, Gebhardt si dimostra a fine corsa pregevole musicista a tutto tondo, grazie a brani strumentali nei quali convergono non solo la capacità di sperimentare nelle ritmiche (“Marimba Waltz”) e un surrealismo sonoro degno di Frank Zappa (le evoluzioni soniche della strampalata danza waitsiana “Marc The Riffer”), ma perfino un piglio cinematico nella caliginosa “March Of Tortoise”, al crocicchio tra desertiche folate western, suggestioni mediterranee da mafia-movie e il fascino del mistery, in un prisma che omaggia il maestro Morricone nelle sue varie sfaccettature.

 

Smarcatosi definitivamente dalla band madre e forte di un grande eclettismo, Hakon Gebhardt, pur non attuando particolari rivoluzioni, dà vita un album poliedrico e peculiare, che merita più del solito ascolto distratto in streaming.

19/03/2023

Tracklist

  1. Breakup Breakdown
  2. None of This is Mine
  3. That Day
  4. I Want to Know
  5. Monkey Sivert
  6. Beautiful Girl
  7. Fixing Things
  8. The Third Song
  9. Distant Stars
  10. Please Don't Go Away
  11. Marimba Waltz
  12. Marc the Riffer
  13. Title Track
  14. March of the Tortoise






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