Era chiaro fin dalla scelta dello pseudonimo l’amore di Heimito Künst per la letteratura visionaria, e se l’omonimo esordio traeva linfa dall’opera di Roberto Bolaño, tocca adesso ad Antoine Volodine fornire il necessario substrato di questo nuovo immaginifico volume. I titoli ci dicono che nello specifico il riferimento è “l’universo allucinato, percorso dall’umorismo del disastro” descritto in “Terminus radioso” e ciò che il nostro misterioso autore propone è un’ideale traduzione aurale delle atmosfere distopiche del romanzo.
Synth, field recordings, nastri, vari strumenti e voci trasfigurate sono ancora gli elementi dell’ideale orchestra lo-fi a cui affidare la tessitura di trame elettroacustiche crepitanti, a tratti pesantemente distorte fino a trasformarsi in un segnale continuo profondamente sinistro (“Soloviei”).
Pur mantenendo l’attitudine ai cambi di rotta netti – uno degli elementi fondanti della psichedelia obliqua in odore kraut dell’esordio – questa opera seconda si contraddistingue per uno sviluppo più coeso e parzialmente meno vorticoso. Il tono tende a mantenersi sommesso virando persino verso paesaggi ambient luminosi (“Sovchoz Red Star”), ma l’impronta rimane comunque straniante, anche se l’incedere complessivo risulta qui meno ostico e frammentario.
Una sonorizzazione accattivante - composta e diretta con cura avvalendosi nuovamente dell’apporto sapiente di Simon Balestrazzi in cabina di regia – capace di creare un’efficace eco dell’arte visionaria e densa di inquietudine del maestro francese.
26/06/2022