Scarcity

Aveilut

2022 (The Flenser)
atmospheric black metal, totalismo

Piombato in una dolorosissima crisi esistenziale, causata dall’esperienza del lutto e accentuata dalle restrizioni messe in atto dal governo americano per contrastare la pandemia di Covid-19, il chitarrista e compositore newyorkese Brendon Randall-Myers trovò nella musica un’ancora di salvezza. Il risultato, una volta assoldato il cantante Doug Moore dei deathster Pyrrhon, fu il varo del progetto Scarcity, di recente giunto all'esordio con il convincente “Aveilut” (dall’ebraico אֲבֵלוּת, “rimpianto”), disco che assomiglia a una vera e propria terapia, muovendosi in un territorio al confine tra black-metal atmosferico, drone-doom, sperimentazione microtonale (Jute Gyte, per farsi un'idea) e il Totalismo di Glenn Branca (non è un caso che lo stesso Randall-Myers sia, tra le altre cose, il conduttore dell’ensemble che prende il nome del grande “padre” dei Sonic Youth).

 

Strutturata come una lunga composizione di quarantacinque minuti, qui suddivisa in cinque sezioni, “Aveilut” si materializza da sinfoniche distanze, evocate da sintetizzatori tremolanti. Dunque, i tamburi cominciano a pestare in circolo, mentre la chitarra emette accordi fatti di pura trascendenza. È il black metal filtrato dalla lezione massimalista che fu di “Ascension”, ma se non ci fosse lo scream malefico di Moore a ricordarcelo, allora potremmo pensare a una raffinata forma di minimalismo post-metal. Nel secondo movimento, il livello di intensità aumenta e tra le parole di Moore s’insinua la luce della speranza:

Be without fear
When your lungs fail to draw air
Be without grief.

La musica degli Scarcity prova a trasformare il black-metal in un ipnotico farmaco contro l’angoscia che accompagna l’uomo come sua fondamentale dimensione esistenziale. La liberazione dall’opprimente vortice della quotidianità (il luogo in cui si sperimenta l’impermanenza e la transitorietà: “Meditate on impermanence”) passa, in questi solchi, attraverso l’abbandono al flusso stordente di una musica che mira all’estasi del drone o, che è lo stesso, a quell'“oblio sonoro” così ben delineato da Harry Sword nel suo ultimo libro.
Con passo incalzante e ottundente, "III" ci trascina dentro una tempesta di geometrico splendore, che nel successivo movimento assume le fattezze di una magniloquente cerimonia doom, tutta giocata sulla meditazione di quella “presenza in assenza” nascosta dietro il “vuoto” che ogni morte si lascia alle spalle:

They are never truly gone
Those who have shed their forms
Their shadows linger on
Presence in absence
Their promised resolved
The world cannot rush in to fill their void

Perché, in fin dei conti, la lezione che Randall-Myers ha fatto sua dopo aver camminato nel buio più accecante è che la morte e la vita vivono una dentro l’altra, con la seconda a sigillare la prima, a “perfezionarla”, come Moore canta nell’ultimo movimento, tredici minuti “ascendenti” e perfetti per chiudere il cerchio di un disco veramente catartico.

Endless potentials collapse
As your arc finds its true form
Your entirety archived in motion
Your borrowed shape never truly gone
Sempiternal, perfected
Forever, your shadow lingers on

03/11/2022

Tracklist

  1. I
  2. II
  3. III
  4. IV
  5. V

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