I Surf Curse ce li eravamo completamente persi. Eppure, scrivere nel 2013 una canzone come “Freaks” avrebbe potuto creare tutti i presupposti per diventare dei veri e propri indie-heroes di ultima generazione. Un pezzo che incapsulava come pochi altri l’estetica e il mood dell’ultimo decennio; un inno pop di due minuti scarsi ricamato in un sound lo-fi, una linea di chitarra di quattro note che non esce più dalla testa, un andamento punk ballabile sostenuto da una struggente e profonda malinconia di fondo.
Non è un caso che il successo per i Surf Curse grazie a questo brano sia comunque arrivato, seppur con parecchi anni di ritardo; nel 2021, infatti, “Freaks” inizia a rimbalzare nelle dinamiche virali dei social network più frequentati dai giovanissimi, fino ad attirare l’attenzione di un manager dell’Atlantic, che decide di mettere sotto contratto la band e rilanciare la canzone, con tanto di versioni remix a corollario. Risultato? “Freaks” entra nelle classifiche (digitali) di mezzo mondo e su Spotify vengono superati i 500 milioni di ascolti.
Dopo questa grande sbornia, i ragazzi di Reno trapiantati a Los Angeles, capitanati dal carismatico batterista-cantante Nick Rattingan, si presentano a una nuova uscita discografica con un curriculum stravolto e (naturalmente) con aspettative ben diverse dal passato.
Il nuovo album “Magic Hour” non può che suonare quindi molto più ripulito, epurato dall’odore di garage dell’esordio “Buds” (che includeva, appunto, “Freaks”) e notevolmente più patinato anche rispetto alle uscite successive. Tuttavia, pur al netto del tocco marcatamente lo-fi e post-punk, i Surf Curse fanno propria questa nuova veste più affine all’indie-pop mainstream, senza rinunciare del tutto al proprio background, riuscendo a sfornare un disco estremamente piacevole e capace di non adagiarsi nello stagno di un filone ormai più che saturo nel 2022.
Sia chiaro, in “Magic Hour” non troviamo nulla di nuovo; seppur senza particolari spunti di originalità, le canzoni che lo compongono scorrono però efficaci e coinvolgenti e hanno il dono di una scrittura sincera e appassionata, che lascia viva la traccia della personalità con cui la band si è fatta conoscere. Anche qui troviamo infatti testimonianza del principale talento dei Surf Curse: imbastire irresistibili melodie indie-pop e sputarle fuori con uno scazzo sgangherato e sofferto. L’hanno fatto un po’ tutti negli anni della generazione hipster, sarebbe lecito dire. Giusto, ma loro riescono a farlo in maniera più accattivante e credibile.
Sin dalla traccia d’apertura “Arrow” si capisce come in “Magic Hour” la leggerezza indie-pop da primi Vampire Weekend vada a incrociarsi con chitarre e voci più sguaiate e frenetiche da far tornare alla mente i Libertines. L’interpretazione di Rattingan è carica di pathos e imprime spleen e intensità anche ai passaggi più pop (tra cui il singolo di sicuro impatto “Sugar”).
Ma è la seconda metà dell’album a riservare le sorprese migliori; i Surf Curse premono sull’acceleratore per le parentesi punk-pop di “TVI” e soprattutto per la strabiliante “Fear City”, traccia migliore del disco, che riesuma le fascinazioni post-punk che il gruppo non ha mai nascosto e incede tra strofe enfaticamente recitate ed esplosioni scomposte con tanto di accompagnamento di sax farneticanti. C’è spazio però anche per le movenze lente e suadenti di “No Tomorrows”, ballata vibrata che culmina in un accorato crescendo, e per il power-pop nevrotico della conclusiva “Randall Flagg”.
“Magic Hour” è il lavoro di una band alla ricerca di una conferma dell’acquisita popolarità, ma che allo stesso tempo esprime la chiara volontà di non abdicare alla propria identità; a conti fatti, i Surf Curse dimostrano di meritare una posizione di maggior rilievo nel panorama attuale, non fosse altro perché appaiono ancora capaci di offrire una vera dolce-amara freschezza in un trend ormai sul versante discendente della parabola. Un disco che comunque potrà entrare nelle bacheche di chi ama le atmosfere da file di lampadine sospese e soffusi colori pastello, ma sente anche un innato bisogno della tensione più elettrica e irrequieta di un indie che conservi ancora una connessione con forme rock veraci, imbrattate e dirette.
13/10/2022