Partiamo senza troppi ambagi: l’ultima fatica dei britannici The 1975 riesce a combinare il peggio e il meglio della band britannica. Tra gli aspetti positivi, sicuramente la durata: “Being Funny In A Foreign Language” è il loro disco più breve, snello e compatto e le sfilacciature concesse all’ego di Matt Healy sono limitate entro un perimetro artistico accettabile, laddove nel
lavoro precedente le sbrodolature e le lungaggini velleitarie richiedevano un’eccessiva attenzione all’ascoltatore. Il miracolo è sicuramente opera di Jack Antonoff, che ha inoltre ammantato ogni singola
traccia-polaroid di una filigrana vintage in grado di creare un
fil-rouge anche tra i brani più confusionari; d’altro canto, però, occorre segnalare che spesso il mix delle tracce vocali risulta basso rispetto agli strumenti, il che spinge alcuni brani verso una discrasia tra l’immediatezza della scrittura originaria e una patina sovrascritta che fa sembrare tutto meno sincero di quel che ci si aspetterebbe.
Facendo proprio l’ordine
nestoriano, non sorprende che “Being Funny In A Foreign Language” funzioni meglio nei due poli dell’album: la parte iniziale e quella finale. Nell’
opener “The 1975”, tra le migliori del lotto, Healy, pur se col consueto piglio autoreferenziale (“Whimsical, political/ Liberal, with young people as collateral”) volge il suo sguardo di trentatreenne alle generazioni più giovani, come d’altronde aveva già fatto nel lavoro precedente, che si apriva con uno
spoken-word di Greta Thunberg.
Funzionano anche l’appiccicosa “Happiness”, “Looking For Somebody (To Love)”, venata da reminescenze 80's e incentrata sulla mascolinità tossica - tema da sempre caro a Healy - e “Part Of The Band”, che raccoglie da
Bleachers e
Bon Iver, mentre il testo oscilla tra ottimi guizzi (“Or am I just some post-coke, average, skinny bloke/ Calling his ego imagination?”) e momenti meno convincenti (“Cumming to her lookalikes/ I can't get the language right”).
La parte centrale, come s’è detto, è quella in cui l’album scricchiola. “I’m In Love With You” è così smaccatamente orecchiabile da diventare, all’ennesima ripetizione di ritornello, finanche urticante. Un altro grosso
vulnus è che nelle strofe si può agilmente rintracciare “If You’re Too Shy (Let Me Know)”, singolo del precedente disco.
“Being Funny In A Foreign Language” non è scevro della consueta pretenziosità della band britannica, riscontrabile soprattutto nelle due ballate centrali ivi presenti: sia “All I Need To Hear” che “Human Too” fiancheggiano pericolosamente soul e jazz e, tra uno stereotipo e l’altro su fama e solitudine e un po’ di sano romanticismo spicciolo, perdono un’occasione preziosa per arricchire il
sound design del disco. In “Human Too”, Healy sfoggia invero un ottimo falsetto ma, con un’impalcatura ritmica così esile, il rischio di sembrare un James Morrison poco ispirato è ancora alto.
Sorprende, piuttosto, sul finale, “About You”, che spezza il didascalismo dei brani precedenti per abbracciare un delizioso abbrivo
dream-pop frutto del duetto con Carly Holt e, soprattutto, dell’arrangiamento di
Warren Ellis, partner storico di
Nick Cave.
Nel complesso “Being Funny In A Foreign Language”, tra momenti ispirati e solite paraculate, è un disco che vuole dire qualcosa e che potrebbe fungere da spartiacque nella carriera, fin qui non troppo incisiva, della band britannica. I presupposti ci sono, ancora una volta, tutti, ma un ulteriore sforzo è necessario.