Mai baciati dal successo e per molti versi anche dalla notorietà nei circuiti
underground, i
Monochrome Set rappresentano la più elegante anomalia dell’era post-punk. Anche ora che la band di Ganesh Seshadri, meglio conosciuto come Bid, ha raggiunto i quarantacinque anni d’attività, non si segnalano rivalutazioni critiche o encomi. Colpa forse di un aristocratico aplomb che ha sempre caratterizzato sia i testi che le sonorità dei nostri, troppo distaccati dalla futilità del quotidiano per poter far colpo tra i fan degli
Smiths, poco avvezzi alla semplificazione pop per importunare la fama dei
Divine Comedy, privi del
fashion-look dei
Pulp, nello stesso tempo eclettici e imprevedibili al punto da far sembrare
Richard Hawley un noioso
crooner.
Dopo un periodo di silenzio, anche i Monochrome Set hanno trovato asilo in una di quelle realtà discografiche attente a gruppi cult del ricco sottobosco post-punk e
new wave, in questo caso la Tapete, autrice di altri importanti recuperi come i
Jazz Butcher, i
Telescopes,
Louis Philippe e i
Lilac Time.
Pur meritevoli, i precedenti quattro album, realizzati dai Monochrome Set per la casa tedesca, hanno ripristinato solo in parte la genialità e l’esuberanza della band. Con “Allhallowtide”, Bid e il fedele compagno di ventura Andy Warren catturano la magia degli esordi, grazie a una solida scrittura, ricca di fantasiose intuizioni e a un più convincente livello delle prestazioni vocali, merito anche della
new entry Athen Ayren, tastierista e
backing vocalist che ha ulteriormente rifinito le sfumature
sophisti-pop della band.
L’eleganza elettroacustica di “My Deep Shoreline” e il travolgente climax pop-surf di “Hello, Save Me” sono tra le pagine migliori della band da vent’anni a questa parte, altresì le complesse trame folk-jazz di “In A Chapel Of Personal Design” e “I Servant”, nonché l’intensa poetica
noir di “Box Of Sorrow” certificano l’attuale stato di grazia di Bid e allontanano ulteriormente il sospetto di un’operazione puramente nostalgica.
Disinvolti, perfettamente a loro agio in questa nuova formazione in trio, i Monochrome Set riescono nel difficile compito di apparire freschi e motivati come degli esordienti (“Really In The Wrong Town”).
Sarà merito del perfetto equilibrio tra melodia e complessità delle composizioni, evidente già dalla sontuosa
title track che apre l’album, sarà per la capacità di creare
riff accattivanti senza cedere alla banalità indie-pop (“Ballad Of The Flaming Man”) o per l’inattesa leggiadria della cupa e misteriosa “Resplendent In A Darkness”, con “Allhallowtide" i Monochrome Set consegnano una delle pagine più riuscite della loro lunga carriera, abilmente sigillata dalla breve chiusura per piano e gocce di pioggia di “Parapluie”.