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Sotto il sole nero del beach-punk

Ideatori del beach-punk, poi cantori di litanie urbane violente e desolate, i californiani X della "sacerdotessa punk" Exene Cervenka sono stati tra i gruppi più influenti della loro epoca

di Tommaso Franci

Quel povero cane che chiamò uno degli estremi lembi dell'Ovest americano "La città degli Angeli" non ebbe molto occhio; a meno che per lui "angelica" non fosse stata la voce (l'urlo) del "diavolo". Los Angeles, infatti, è stata senza dubbio, almeno dal punto di vista musicale, la città più violenta e pesante al mondo. A Los Angeles è nato l'hardcore (Germs, Circle Jerks) e si è sviluppato (Black Flag, Fear, Flipper, Minutemen, Adolescents, Descendents, Bad Religion, Social Distortion, T.S.O.L., Christian Death); a Los Angels è nato l'heavy metal (Metallica). Mille varianti e sfumature all'interno di una linea ideale che passa dall'hardcore puro (Germs) all'heavy-metal puro (Metallica): dark-punk (Christian Death, T.S.O.L.), college-punk (Descendents, Adolescents), american-underground (Black Flag, Fear, Flipper, Minutemen), hardrock-punk (Social distortion), hardcore-punk (Bad Religion). Maldestramente si è voluto ridurre ad anonimo "beach-punk" tutte queste che non sono sfumature o cavilli arbitrari, bensì definizioni atte a evidenziare le enormi differenze che intercorrono tra un gruppo e l'altro (differenze tali che pur nel giro di 4 anni, dal'78 all'82, e nella medesima città, fanno pensare ad anni luce di diversità nonché a continenti tra loro lontani).

In realtà il "beach-punk" (cioè il punk inglese risemantizzato nella California costiera dalle radici country, blues e rockabilly) è un'etichetta che calza bene e pienamente solo ad una delle principali band attive nella "Città degli Angeli" tra il 1978 ed il 1982: gli X.

Gli X hanno inventato il "beach-punk". Come nel '61 (quando i futuri componenti degli X avevano mediamente 5 anni) i Beach Boys avevano inventato il "beach-rock" (o "surf-music" che dir si voglia). Una cosa accomuna X e Beach Boys, e questa non è tanto la patria (la California), quanto il modo (nostalgico, melanconico, folk-western) di guardare e far guardare a questa patria (perduta almeno nella sua primitività). Modo che, a partire da un fondamento "naturale" simile, si è tanto più divaricato tra i due gruppi quanto le contingenze storico-sociali hanno lavorato nelle, e tra le, epoche che li vedono protagonisti.

L'epoca e la dimensione degli X è quella post-Sex Pistols e pienamente Joy Division. Dinanzi a questa "situation" due erano le alternative per continuare sopravvivendo (facendo musica): a) esasperare i principi Sex Pistols; b) deviarli e ricondurli ad altro. Dalla prima scelta nascerà l'hardcore (molto poco spesso "puro", molto spesso "non-ortodosso": una volta che Duchamps ha messo i baffi alla Gioconda è difficile continuarne l'opera); dalla seconda la miriade di varianti, ai due estremi delle quali vi è da una parte la new wave (Joy Division) e dall'altra il noise (Flipper). Gli X sono nel mezzo a questi due estremi. Fanno punk-new wave-noise immerso nella cultura beach. E l'attuale loro cultura beach era quella delle periferie di emarginati, disperati, degradati, ma pur sopravviventi: e quindi più rivoluzionari-vitali (rock-punk) che nichilisti-suicidi (hardcore).

La tragedia degli X è tutta terrena e lo è panicamente, per di più; da eccettuare picchi metafisici. La tragedia dell'hardcore sarà così oltre, così cosmica, da non interessarsi nemmeno più né alla vita, né alla morte, né al dolore. La new-wave è il traghetto in bilico tra le due sponde, ora approdando alla prima (Television), ora alla seconda (Joy Division).

 

All'interno di una qualità medio-alta di nessuno, o di pochissimi, musicisti rock sarebbe possibile realizzare un'opera antologica senza perdere il significato che il singolo brano acquistava all'interno del lavoro complessivo. Anzi, questo potrebbe anche essere un metodo per discernere quali sono i veri "musicisti" dai falsi spauracchi di un pezzo e via. Gli X fanno eccezione. Gli X hanno fatto dall'inizio alla fine sempre la stessa cosa, sempre la stessa nota; indistinguibile. Questa nota (il collage di punk, rock'n'roll, country, blues che è il "beach-punk") la inventarono nel 1980 e la portano avanti per 7 album, sino al loro scioglimento nel 1993. Questa nota era tuttavia (come si vede dalla varietà delle fonti a cui si ispira il "beach-punk") complessa: lasciava sempre il posto a raffinatissime frecciate/distorsioni noise alla Velvet Underground. Questa nota fu una delle tre principali adottate dai tre rispettivi leader dei Sonic Youth: Thurston Moore (Pere Ubu) Lee Ranaldo (Glenn Branca), Kim Gordon (X).

Gli X si sono formati nel 1977 ma hanno ed avranno sempre un suono anni 80; sono stati tra i primi a fondare questo suono: è l'alone new-wave, nel senso Joy Division del termine. Gli X (con la ricetta rumore+melodia) sono fra gli ispiratori del grunge tutto: quel movimento che fu un'opposizione all' "anni '80 (o Joy Division) sound" a mezzo dell' "anni '70 sound" solo a posteriori (Pearl Jam, Soundgarden, Alice in Chains): perché quando nacque (Mudhoney, Nirvana) non fu che una continuazione ed esacerbamento del suono noise metà 80 (Squirrel Bait, Dinosaur Jr, Pixies) già continuazione del noise inizio 80 (Flipper, Mission of Burma, Sonic Youth).

Gli X sono tra i primi e principali gruppi punk-rock ad annoverare una femme-fatale dark e ribelle: si chiamava Exene Cervenka, aveva il prototipo della voce-spleen (alienazione/ armonia/ seduzione/ tragedia/ apatia), e all'epoca faceva compagnia a Siouxsie Sioux, Kat Arthur dei punk-metal californiani Legal Weapon, Lydia Lunch e Wendy Williams dei Plasmatics (la prima voce femminile metal della storia). La mente del gruppo (che faceva della dimensione periferica, alternative-borghese, post-moderna, degradata, autoironica, stracciona, feticista, dissacratoria, il proprio pot-pourri esistenziale) era il bassista e voce maschile John Doe. La chitarra (che da Chuck Burry al noise arriverà, attraverso di lui e di pochi altri, direttamente ai Sonic Youth e ai Pixies) era il veterano Billy Zoom (di formazione rock'n'roll classica, con le sue raffinatissime distorsioni è la parte chiave dell'effetto complessivo imbandito dagli X). La batteria di D.J. Bonebrake era un roboante e velocissimo garage-rock asservibile ora al country ora al punk.

Los Angeles (Slash/Rhino, 1980) è tecnicamente uguale a Under The Big Black Sun (Elektra, 1982). Poi, sempre all'interno del beach-punk, il suono X si involverà sempre più verso il country, e non meriterà considerazione. Nei primi 3 anni e nei primi 3 album (che sono quelli "veri") bisogna tuttavia distinguere da ciò che è valido (non solo tecnicamente ma anche e soprattutto compositivamente, da ciò che non lo è). Los Angeles non è un album valido dal punto di vista compositivo: mancano "belle" canzoni. Ha il solo merito di fondare di sana pianta un nuovo genere: il beach-punk.

 

Wild gift (Slash/Rhino, 1981) contiene 13 pezzi (di cui 2 capolavori); dura 33 minuti. "The once over twice" è un rockabilly d'altri tempi, seviziato da quella che sarebbe dovuta essere la foce femminile Joy Division, se questi ne avessero avuta una.

"We're desperate" è il primo lavoro: uno strascicato (di blues) punk che cresce e cresce fino a ripiegarsi su se stesso: Doe fa talvolta il Joe Strummer, Exene Cervenka rende unico ogni particolare, con il suo insuperabile tono dark-punk. "Adult book" parte con un tappeto country blues seguito da riff surf, poi si innalza in un lamento irresisitibile, con Doe e Cervenka all'unisono dell'angoscia apatica. "Universal corner" riporta alla dimensione punk (pur sempre ad un livello rock-medio: Clash, no Sex Pistols): il rumore+melodia si presenta come asservito all'impianto classico della canzone (da qui che quelli degli X potrebbero essere presi più come singoli che brani parti di album). Nell'economia del messaggio (alienazione urbana scaricata sulla periferia/ campagna) e della forma (sostenuto ma non troppo; più sottofondo che inno) il brano risulta perfetto. "I'm coming over" velocizza ulteriormente i tempi in una sorta di cha-cha nenioso, sperimentale, e confinato nel fondale del sottofondo anziché in primo piano. "It's who you know" contrasta (ma gli X sono un contrasto: tra musica giocosa e canto/testi infinitamente tragici; giorno/notte; oscurità piena estate e solleone) tra un booogie "sfottittorio" e un lamentare (melodicamente) irrimediabile. "In this house that I call home" svela l'astuzia degli X di intessere prima fraseggi strumentali scoranti in termini di contenuti/interesse e poi sfrecciare lampi di assoluto lirismo esistenziale/evocatorio (merito di due delle voci più appropriate in assoluto a questo scopo di nenia/malia).

 

"Some other time" è l'androgina che gioca il gioco della morte: impera una rassegnazione dove l'ironia è solo macabra e la felicità solo esteriore e plastificata. Le smanie Chuck Berry alla chitarra, la batteria mazzata, sembrano distogliere in una sorta di familiare e abbagliante estetica trash (il trash: concettualmente sono gli X a fondarlo); la voce "assoluta" e alla fine melodiosa, fa rimpiangere un'autenticità perduta per sempre. "White girl" è il secondo capolavoro in ordine di apparizione: una ballata/punk scandita da visibìli rock/folk: ma retta, come al solito, da due toni di voce e di esistenza a cui è irrinunciabile (per passione, fascino, delicata raffinatezza) non concedere compassione. "Beyod and the back" è uno swing che, come il mondo sembra andare fissamente avanti e ignorare il lamento ad ogni presso inesauribilmente afflitto e scorato di Cervenka. Ridere sulla morte è ridere al silicone: è rimanere soffocati in modo tragicamente comico, mangiando una ciliegia, per esempio. "Back 2 the base" è un sincopato incalzare di tensione media: sempre sul filo di lama e mai al di qua o al di là. "When our love passed out on the couch" è come se volesse ingoiare in un flutto d'angoscia ringhiosa e viscerale tutte le canzonette pop a cui pur fa il verso. "Year 1" continua nella tragica antinomia tra buffo e morte; la festa e il funerale; perché la festa innanzitutto è funerale.

Under The Big Black Sun (Elektra/Rhino, 1982) contiene 11 brani e dura 34'.

"The hungry wolf" è un punk/blues per Doe; la batteria tiene un ritmo elevato, poi squarciato dalle disperazioni vocaliche di Doe (a cui con tanta raffinatezza quanto commozione fa eco Cervenka). Il ritornello è così fresco di anni 80 da passare indenne alla fine di questi e affacciarsi all'età grunge. "Motel room in my bed" è un punk/country reso come sempre "esistenziale" grazie a due voci che riconducono tutto all'esistenziale (più che all'ironico: di ironia è la musica, per creare un effetto ancora più lancinante a contrasto con la disperazione canora) dalla storia di emarginazione, noia e sgomento di provincia o campagna, a quella alienata cittadina. "Riding with Mary" è un malizioso dialogo (concepito però come se le due voci, la femminile e la maschile, fossero di un unico io: quindi come un monologo) tra Cervenka e Doe (i due sono marito e moglie, ma di così personalità ciascuno da non avvertire come avvilimento tale condizione che invece stimola le rispettive sensibilità artistico/esistenziali: come sarà tra i Sonic Youth Gordon e Moore), cantori entrambi di un terzo protagonista, nel quale necessariamente si immedesimano entrambi: come due toni per descrivere una personalità. Una personalità qualunque, sconosciuta, occultata, innominata, eppure potentissima di valore esistenziale. "Come back to me" è un raga/blues memore della prima proto-punk/new wave: Grace Slick dei Jefferson Airplane (su cui si baseranno da Siouxsie Sioux a Kim Gordon). "Under the big black sun" è una ballata/punk dove sublima l'ammaliare di Cervenka: per la prima volta sembra concentrarsi solo sull'estetica, sulla dimensione esteriore, sull'afflato, l'atmosfera di un po' di luce: mette da parte il suo io esistenzialmente inculcato nella miseria, e rifulge, per un attimo di smembramento, d'oro.

"Because I do" è il primo capolavoro dell'album. Il primo brano grunge della storia. Il brano più violento degli X. Tutti spingono al massimo. La batteria ha un intro assoluto e devastante (poi procede in irrefrenabili singhiozzi); la chitarra tirata in rock/metal; lo sgolarsi di Cervenka, esasperato dagli echi furibondi e fiochi (in riempitivo a fine di strofa) di Doe. "Blue spark" è un fade-back continuo che trova da che procedere grazie al quasi-cantautorato di Doe (che in quest'album, il più "pesante" degli X, trova più spazio di Cervenka). "Dancing with tears in my eyes" è un swing anni '50 riportato alla dimensione "pessimista" e nera degli '80. "Real child of hell" è l'altro capolavoro dell'album. Un pezzo devastante. Un pezzo grunge. Secchi riff hardrock, batteria ossessiva, scale su scale, crescendo: e infine la sospirata, toccante, melodia: e a questo punto, al punto capitale della concitazione nel ritornello, come "tirano" questa le gole di Cervenka e Doe, poche altre sanno. "How I (learned my lesson)" è un rockabilly di vaga ascendenza Doors: Zoom che sembra un ossigenato rocker tedesco o un presentatore dell'avanspettacolo anni '50, gioca sul rock'n'roll, per prendere in giro la musica a lui contemporanea, ed è il suo modo di fare sul serio. "The have nots" ricorda (per associazione di idee, più che per corrispondenze musicali) "Lost in the supermarket" dei Clash. Gli X, a colpi di rockabilly, country, blues, sono stati i Clash dell'hardcore: come i Clash da "London Calling" in poi non fecero più punk, ma altro, adattato, al massimo, ai volumi e ai tempi punk, gli X, fin da subito non hanno fatto né hardcore né punk, ma una rivisitazione dell'epoca a loro precedente, e in particolare dell'epoca d'oro del rock'n'roll di cui Zoom era un demodé rivisitatore: gli anni '50 di Jerry Lee. In più, avevano da comunicare il "male di vivere" e anche su questo hanno dovuto apprendere molte lezioni (ma più contenutistiche che formali) dai suoi "cantori" per eccellenza: i complessi hardcore. Per la giustizia va detto che in tutta la loro carriera gli X non hanno fatto né una nota puramente punk né una puramente hardcore: è facile invece trovarli in tante rock'n'roll, frammiste a country e a un sottotono blues in sottofondo.

More fun in the new world esce nel 1983: e i maestri della bella maledizione sono sempre i maestri; Ain't love grand nel 1985, See how we are nell'87; Hey Zeus nel '93.

Exene Cervenka, abbandonata la furia punk in favore di velleità para-new age, proseguirà la sua attività da sola, con album come Old Wives Tales (1989) e Running Scared (1990). Dopo due dischi di poesie, è uscito Surface To Air Serpents (1996), esperimento di suoni e parole manipolati in studio.

Cervenka ha poi formato gli Auntie Christ con il bassista Matt Freeman (ex-Rancid) e il batterista DJ Bonebrake (anch'egli degli X), pubblicando Life Could Be A Dream (1997) che rinnova, a tratti, i momenti più intensi degli X.

I criminali losangeliani tornano a sorpresa nel 2020, ripristinando la line up originale dopo ben 35 anni. ALPHABETLAND è l'ennesimo affresco di un'America fuori dal tempo, contesa tra metropoli hard boiled impallinate di piombo e campagne decadenti impollinate di voodoo. La miccia si accende subito col brano che dà il titolo al disco, una cavalcata punk-rock che ricorda allo speed grunge sfrangiato dei Mudhoney e all'animosità riot delle Bikini Kill da dove provengono. A tutta birra tra Badlands profumate di asfalto fresco (quelle di Malick più che quelle di Springsteen), è un pennello affilatissimo quello che impiastra la loro tossica tavolozza: setole che sanno essere massicce ("Strange Life"), supersoniche ("Delta 88 Nightmare") o scanzonate ("Goodbye Year"), strapazzando la tradizione col solito misto di riverenza ("Free" sta a Bo Diddley come "Star Chambered" a Ritchie Valens) e spregiudicatezza (il rockabilly martellante di "Water & Wine", il train beat di "Angel On The Road"). Ritornano infatti le chitarrone di Billy Zoom, con quel sapore corrosivo e guasto del rock'n'roll senza tempo, che tocca anche la turbolenza dei riff dei Sonics e la ruvidezza delle pennate di Neil Young.
Regalo nel regalo, troviamo la vecchia "Cyrano DeBerger’s Back", scritta da Doe ai tempi di "Los Angeles" (Slash, 1980), dissacrata da Chris D. coi Flesh Eaters in "A Minute to Pray, a Second to Die" (Ruby, 1981), per poi essere assunta a ballad in chiusura di "See How We Are" (Elektra, 1987) e riportata qui nelle viscere della terra con un groove funk-rock. E se Manzarek non può più dar manforte, sullo spoken word jazzato di "All The Time In The World" - Exeniano al 100% - richiamano in servizio Robby Krieger. Dalle profondità dell'inferno, Jeffrey Lee Pierce, Lux Interior Darby Crash approvano con un ghigno.
Nessuno ha trapiantato la veracità del rock'n'roll sulla sfrontatezza del punk con lo stesso diabolico lirismo. Un atteggiamento che ancora oggi indispettisce chi sogna un'arte rassicurante e inoffensiva, come dimostrano le parole poco lusinghiere che una nota webzine ha riservato l'anno scorso alla ristampa di "Los Angeles". Quanto a noi, preferiamo tenerceli stretti così come sono: magari poco educati, ma sensuali e disperati.
Mentre il Grande Sole Nero continua a incombere sulle nostre teste smarrite, la travolgente freschezza di questi ribelli senza età fa piazza pulita delle ipocrisie del presente, invitandoci ancora una volta alla più eccitante delle danze liberatorie. Tutto viene spazzato via, così come deve essere. Per firmare, basta una X.

Contributi di Ossydiana Speri e Maria Teresa Soldani ("ALPHABETLAND")

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Discografia

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Los Angeles (Slash, 1980)
Wild Gift (Slash, 1981)
Under The Big Black Sun (Elektra, 1982)
More Fun In The New World (Elektra, 1983)
Ain't Love Grand (Elektra, 1985)
See How We Are (Elektra, 1987)
Live At The Whisky A Go-Go On The Fabulous Sunset Strip (Elektra, 1988)
Hey Zeus!(Big Life, 1993)
Unclogged (Infidelity Records, 1995)
ALPHABETLAND (Fat Possum, 2020)

EXENE CERVENKA

Old Wives Tales (Rhino, 1989)
Running Scared (Rhino, 1990)
Surface To Air Serpents (Thirsty Ear, 1996)

AUNTIE CHRIST

Life Could Be A Dream (Lookout, 1997)

Pietra miliare
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