Big Black

Big Black

L'alienazione dell'alienazione

I Big Black sono uno dei progetti più "estremi" di Steve Albini, uno dei guru dell'hardcore americano. Un'esperienza culminata nell'incendiario "Atomizer"

di Tommaso Franci

Steve Albini (Pasadena, CA, 1962) fa come lavoro il tecnico del suono (engineer) dei migliori gruppi alternative o underground americani. In 20 anni di carriera 300 album all'attivo, cioè 15 all'anno, cioè più di uno al mese. Per una trentina di questi album è stato anche e ufficialmente produttore. Per 12 album l'autore delle musiche e dei testi e l'esecutore limitatamente a voce, chitarra e rhythm-box. La metà di quest'ultimi uscì, tra il 1982 e il 1988 a nome Big Black (due poi usciranno a nome Rapeman, quattro a nome Shellac). Tutti gli album di Albini saranno ri-pubblicati dalla Touch And Go Records di Chicago.

Dal 1980 Albini vive a Chicago (quartiere Evanston).

Magro, derelitto, occhialuto, brutto, Albini è la figura più importante del panorama alternativo del rock americano. Oggi tutti lo conoscono tutti lo vogliono. E lui mantiene una modestia scostante, talora irrigidita sul complesso dal quale è causata: un nichilismo così interiorizzato da non lasciar fiato neanche per il suicidio. La musica che ne deriva è quella della generazione post-punk, è quella della generazione hardcore, ossia è musica che vale come alienazione dell'alienazione. Come mantenimento dello stato post-mortem. Ma non è hardcore: propriamente hardcore è solo la natura di Albini (e la sua voce: fioca, gracile, adolescente, sempre a soffrire e a urlare): perché la sua musica è parallela a quella dei Chrome: come i Chrome sono l'industrializzazione del garage-rock, così Albini è l'industrializzazione dell'hardcore. Tra i 18 e i 20 anni, Albini a Chicago si era dato alla carriera di critico musicale (iscritto alla Northwestern University), e aveva stretto amicizia con i ragazzi del neonato gruppo hardcore Naked Raygun (1981-1991), in particolare con Santiago Durango e Jeff Pezzati. Pur circondato da molti, Albini è sempre rimasto un solitario. Solitario come si presentò nel suo primo, disperato Ep, dove sono già presenti tutti gli elementi e le forme della sua carriera avvenire, sia di musicista sia di produttore: suoni sintetici e distorti (rock industriale e noise, in un annullamento reciproco a mezzo Joy Division), sgradevoli, anti-melodoci, sofferenti e apatici al contempo, ritmici e psichedelici o inintelligibili.

Albini suona rumori. I testi delle sue musiche sono di un iperrealismo che finisce per venir trasfigurato da eccesso di nausea. La sua è una metafisica della nausea e dello schifo. La sua è un'estetica del brutto; che di tanto in tanto si ricorda di rievocare il bello (un riff, un cenno di melodia) ma solo per poterne renderne più disperata e lancinante la sua sommersione e il suo soffocamento nella matassa della bruta realtà. La sua musica è brutta perché la vita è brutta. La concezione che Albini ha della propria esistenza e della propria arte è raffigurabile come un macinino che, nel deserto, deve continuare a macinare lo stesso (e questo è hardcore; il punk, invece, è in mezzo alla società). Albini è un Cristo che non ha cristiani perché nella situazione in cui si trova non può redimere assolutamente nulla. L'unico significato, per tutto ciò, è l'assenza di significato. Il post-moderno di Albini non è una via alla bestialità del primitivismo, ma il ponte dei sospiri verso un'apocalisse atea, gelida e tumorale. Hardcore industriale (o sintetico): Ministry, Nine Inch Nails, Marilyn Manson sarebbero impensabili senza i Big Black (gli Swans fanno un industriale metallico. L'industrial di Albini si distingue da quello di Gira perché non ha a che fare col metallo ma con l'elettricità, non con le bombe ma con le mitragliate, non con le macchine ma con le pulsioni bestiali). Questa è la new wave di Albini, questa dell'industrial è la sua strada al post-hardcore; strada che nel tempo dovrà condividere con il noise dei Mission Of Burma, il crossover dei Fear, il joydivisionismo dei Flipper, il jazz dei Minutemen, il blues dei Pussy Galore, il reggae dei Bad Brains, l'atonale degli Slint.

All'interno di un nichilismo innato e in quanto tale oramai innocuo, Albini è affetto da due complessi asfissianti: il sesso e l'insonnia. Il complesso sessuale deriva dal fatto di dover far tutto per il sesso e una volta consumato questo, non rimane che un pugno di ripugnanti mosche; "fuck" per Albini è media-vox, è il non-senso trovato proprio nella ricerca del senso. Per Albini è come se l'unica via possibile al sesso fosse l'autoerotismo ma questo non potesse essere vissuto se non come stupro. La misantropia di Albini è una maschera della sua misantropia tragicamente necessaria per comprendere dal di fuori il mondo sessuale e questo all'interno dell'umano. Il complesso dell'insonnia, di uno stato perennemente e insanabilmente in debito di sonno, di sonnambulismo cosciente, di incubo a occhi aperti, di ore tarde e fonde, simbolizza quell'alienazione dell'alienazione che non trova catarsi nel suicidio e che tiene, sciaguratamente, sospesi. In questo senso, l'industrial per Albini è, oltre all'hardcore, anche la via al dark.

I brani di Albini sono costituiti da rumori e non da suoni. Sono difformi e sformati Per questo propriamente non ve n'è uno migliore dell'altro. Nessun brano di Albini è migliore dall'altro, perché sono tutti autenticamente mostruosi, perché nessuno, in tale mostruosità, è maggiore o minore dell'altro. L'anti-estetica di Albini (specchio della sua immoralità) è giunta oltre le categorie di meglio e peggio. Inoltre ogni intervento di Albini vive di un surplus di intelligenza e di trascendenza adolescenziale che, pur nel bestiale, nel brado e nell'inintelligibile, rivendica un ulteriore giudizio di valore (da qui la compassione che Albini prova per l'ascoltatore la quale si commuta in empatia da parte dell'ascoltatore per Albini).

Albini è un maestro di stile tanto per l'impostazione della chitarra quanto per quella della voce: la prima è sistematicamente scordata, acida, atonale, atimbrica, sgradevole, anti-riff, convulsa, implosa come a voler creare un tappeto ambient-noise di sottofondo al sintetico della drum-machine; la seconda è cadaverica, morbosa, adolescenziale, intonata e sempre con tono di disumano o di trapassato tanto nell'urlo quanto nell'ansimo.

Albini è formidabile dal vivo, dove fa trasparire tutto il suo essere Tantalo del nulla, tutto il suo essere inculcato, e freddo o insensibile come unico accesso onesto e vero alla compassione.
Albini non vedrà mai di buon occhio gente come i Sonic Youth, che dopo aver fatto del noise un'arte vorrebbero presuntuosamente fare dell'arte un noise e solo per loschi scopi di popolarità o pseudo-intellettualismo.

Lungs
(Ep), 1983. Sei brani, 21 minuti. Steve Albini (voce, chitarra, rhythm-box).
Il primo grande capolavoro e manifesto di Albini è "Dead Billy" (3:27), una ninnananna dell'olocausto privato incentrata su di un progressivo e acido tintinnio sintetico, un fisso e reiterato incedere della chitarra, e un'impotente voce espressionistica. Né Nine Inch Nails né Marilyn Manson (soprattutto) saranno in grado di aggiungere altro a quanto dice qui un Albini ventenne. Il resto di quest'opera registrata in una stamberga periferica di Chicago 15 giorni dopo che Albini aveva comprato la sua prima chitarra, è il ventaglio pressoché completo del decennio di musica underground avvenire: la grande nenia della reificazione ("Steelworker" - 4:15), la serpentina acida ("Live in a Hole" - 3:01), il synth-pop robotico ("I Can Be Killed" - 4:27), la sincope dall'altro mondo ("Crack" - 3: 57), il pogo dei fantasmi ("RIP" - 2:21).

Bulldozer (EP), 1984. 6 brani, 16 minuti. Steve Albini (voce, chitarra, rhythm-box), Santiago Durango (chitarra), Jeff Pezzati (basso).

Il capolavoro è "I'm a Mess" (1: 56) un orgasmo del fatalismo saturo del suo stesso motivo (di cui avranno modo di ricordarsi i Nirvana). Gli altri brani: un garage indemoniato ("Cables" - 2:40) dove emerge tutto il peso dell'inserimento del basso nella musica di Albini (da qui in avanti sarà questo strumento a fare le armonie: e la chitarra a perdersi e ritrovarsi, ma sempre autodistruggendosi, nelle più perverse distorsioni); un androide power-pop ("Pigeon Kill" 1: 47); un tunnel nell'incubo della sedia elettrica incorniciato da tinte esotico-western ("Texas" - 4: 02); una declamazione fulminante tra le valvole televisive ("Seth" - 3:32); un'ode all'inconcludenza e inconsistenza ("Jump the Climb" - 2:59).

Racer-X (EP), 1984. 6 brani, 18 minuti. Steve Albini (voce, chitarra, rhythm-box), Santiago Durango (chitarra), Jeff Pezzati (basso)

Il capolavoro è "Sleep!" (- 2:42), un Minor Threat genuflesso su se stesso, e quindi costipante più che catartico. Gli altri brani: la cancrena dell'impotenza ("Racer X" - 4: 00); il precipizio nell'insoddisfazione ("Shotgun" - 3: 28); la dissonanza sociale ("The Ugly American" - 2: 41); un allucinato corale zombi a passo semi-rap ("Deep Six" - 3:14); il sabba dell'infelicità ("The Big Payback" - 2:29). In tutti i brani la chitarra di Albini taglia e ricuce la minugia ritmica come un paio di forbici non arrotate che strappano più che affettare ed un filo che accumula brandelli più che riunirli.

Atomizer, (Lp) 1986. Nove brani, 34 minuti. Steve Albini (voce, chitarra, rhythm-box), Santiago Durango (chitarra), Dave Riley (basso). I due capolavori sono: "Jordan, Minnesota" (- 3:20), un girone sadomaso di ritmi (tenuti da vagiti) disco e sferragliate chitarristiche; "Kerosene" (- 6:07), uno scandito (da canto-parlato ed effetti sintetici ai quali tocca fare i riff che le chitarre sistematicamente violentano e sminuzzano) epos dell'oltre-alienazione come oltre-mondo (attraverso il post-suicidio) che troverà il suo speculare nel capolavoro a nome Rapeman "Budd". Il resto dell'album si pone come sempre su di un'elevatissima fattura-spazzatura (spazzatura che talora piange e così commuove): la quadriglia cannibale "Passing Complexion" (- 3:04); il grunge vomitato e rattrappito "Big Money" (- 2:29); la flagellazione, con uno dei (semi)-riff più tristi della storia, nel grigiore nauseabondo della propria squallida stanza "Bad Houses" (- 3:07); il ventaglio di torture rumoristiche "Fists of Love" (- 4:21); il cardiopalma scheletrito "Stinking Drunk" (- 3:27); la calamità della nevrosi alla Birthday Party "Bazooka Joe" (- 4:43); il live come sempre semi-improvvisato (non facendo Albini "canzoni") "Cables"(- 3:48).

Heartbeat, (single) 1986. Tre brani, 6 minuti. Steve Albini (voce, chitarra, rhythm-box), Santiago Durango (chitarra), Dave Riley (basso). Il capolavoro è "Things To Do Today" (- 1:44) uno dei blues-industrial più involuti di sempre. Gli altri brani sono una cover degli Wire da Chairs Missing ("Heartbeat"- 3:48), vecchio di 8 anni, e uno strumentale a scorribanda che fa di Duan Eddy un androide ("I Can't Believe" - 1:03).

Headache (EP), 1986. Quattro brani, 12 minuti. Steve Albini (voce, chitarra, rhythm-box), Santiago Durango (chitarra), Dave Riley (basso). I capolavori sono "My Disco" (- 2:52) che inietta di violenza e terrore il sound maniera-Albini (e ne anticipa così gli esiti futuri) e "Ready Men" (- 3:51) che apre il cuore dagli asfissianti luoghi delle stamberghe di periferia su spazi più liberi ma non meno angosciosi. Gli altri due brani sono una disco spastica "Grinder" (- 2:24) e un vaniloquio come di un Foetus serioso ("Pete, King of the Detectives" - 2:43).

Songs About Fucking, (LP) 1987. 14 brani, 31 minuti. Steve Albini (voce, chitarra, rhythm-box), Santiago Durango (chitarra), Dave Riley (basso). I tre capolavori sono: una cavalcata noise-surrealista (vedi l'irresistibile riff centrale da rockabilly anoressico) eppur sempre fissa sull'esistenza ("Colombian Necktie" - 2:14); un singulto di assoluta mestizia scandita e rocamente compianta ("Pavement Saw" - 2:12); un gioiello garage-industrial tra Cramps e Pussy Galore ("He's a Whore" - 2:37), "song about fucking" per eccellenza e capolavoro assoluto di Albini assieme a "Kerosene" e "Budd". Gli altri brani sono ancora una volta di estrema levatura; in più portano a perfezione formale ed espressiva l'in-forme rock di Albini (il non-rock di Albini) smussandone gli ultimi retaggi "inglesi" (Joy Division, Killing Joke) e consentendogli (con iniezione massicce di violenza e oltraggio sonori) di aprire le porte al nascente fenomeno blues-hardcore Pussy Galore. "Power of Independent Trucking" (- 1:27) è un fuzz maniacale divelto da un ritmo che lo è altrettanto (uno dei brani più efferati e veloci di Albini); "The Model" (- 2:34) è una commovente cover dai Kraftwerk (Man-Machine, 1978); "Bad Penny" (- 2:33) con il suo calvario del non-senso punta più ai Big Black del primo album; "L Dopa" (- 1:40) è un'epidermica indigestione ritmica; "Precious Thing" (- 2:20) è contemplazione da appendicite noise; "Kitty Empire" (- 4:01) è la scarnificante schiavitù della fatalità che sta sopra come una gang (superfluo fare ancora i nomi di Reznor e Manson); "Ergot" (- 2:27) è un esasperatissimo trapano psichedelico; "Kasimir S. Pulaski Day" (- 2:28) è un dark patologico e infetto in decomposizione; "Fish Fry" (-2:06) è uno scalmanato e sintetico garage apocrifo; "Tiny, King of the Jews" (- 2:31) è l'ultimo pianto sul latte versato, è quello che quest'album rappresenta e così non è (e così è arte): prigione di noia, affezione bulemica, insensatezza post-eiaculazione, profilattici rotti, forzati e sciapi scambi di liquidi e mucose.

Big Black

Discografia

Lungs (Ruthless, 1983)
Bulldozer (Ruthless, 1984)
Hammer Party (Touch & Go, 1986)
Racer-X (Ep, Homestead, 1984)
Atomizer (Touch & Go, 1986)

8

Headache (Touch & Go, 1987)
Songs About Fucking (Touch & Go, 1987)

8

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