Chameleons

Chameleons

Epica della malinconia

I Chameleons da Middleton hanno incarnato una delle esperienze al tempo stesso meno note e più significative del post-punk britannico. I loro intrecci di tastiere e chitarre, i loro riverberi sognanti e le loro melodie romantiche hanno catturato lo spirito depresso del loro tempo, influenzando non poco le successive generazioni dream-pop, shoegazer e nu-new wave (Interpol su tutti). Una storia sfortunata e sotterranea, che ora il tempo sta riportando finalmente alla luce

di Floriano Andreacola

Manchester non fu solo la città che diede i natali al trio delle meraviglie, quello che influenzò l'intera scena della new wave made in Uk nei primi anni 80 - i Joy Division di Ian Curtis, i Fall di Mark E. Smith e gli Smiths di Morrissey. Manchester fu la città nelle cui vicinanze, Middleton per la precisione, nacque una band di nome Chameleons, cui solo la sfortuna ha impedito di ottenere il successo che invece ha arriso a Cure, U2, Echo & The Bunnymen, formazioni dello stesso periodo, con un suono per certi versi affine a quello della creatura di Mark Burgess. L'anno di nascita è il 1981, e il nucleo originario comprende: Mark Burgess (ex-Clichés), uno dei tanti giovanotti cresciuti col pallino dei Beatles e Bowie, alla voce e al basso, Dave Fielding, chitarra e tastiere, e Reg Smithies chitarra (entrambi ex-Years), più Brian Schofield alla batteria, quest'ultimo presto sostituito da John Lever.
I primi concerti risalgono allo stesso anno. Dopo l'esordio live a Bury, nella seconda tappa le loro chitarre si incrociano con quelle degli U2, cui fanno da spalla nella data al Lyceum di Sheffield.

Miracolosamente, una loro cassetta finisce tra le mani del grande dj John Peel che diviene il loro primo fan, cominciando anche a passarli frequentemente nelle sue scalette. Almeno i semi di un ristretto culto sono già pronti a sbocciare, non a caso a produrre il loro primo singolo, "In Shreds", viene subito scomodato un certo Steve Lillywhite (U2 e Simple Minds). "Nostalgia" e la già citata "In Shreds" sono perle ancora grezze, ma piene di fascino: le chitarre sono rabbiose, rockeggianti come nei primi U2, non ancora impreziosite dagli effetti che caratterizzeranno il suono della band nel futuro.
Burgess & C. firmano precipitosamente per la Cbs, che però vuole indirizzare la band verso un suono dalla forte connotazione commerciale, quindi il tutto finisce con un nulla di fatto e la risoluzione del contratto avviene ancor prima che il loro primo disco veda la luce.

Un ponte sul futuro

Così nel 1983, dopo un anno di ritardo circa e due anni di intensissima attività live e radio-session varie, Script Of The Bridge viene stampato dalla Statik Records. A produrlo, gli stessi membri della band, in collaborazione con Colin Richardson.
L'album, a detta di chi scrive, rimarrà il loro capolavoro e una delle vette del post-punk dell'epoca; l'unico difetto riscontrabile sarà solo quello di essere uscito con un certo ritardo rispetto ai rispettivi esordi di Cure, Joy Division, U2, Echo & Bunnymen e The Sound.
Pur avendo diversi punti in comune con gli artisti summenzionati, i Chameleons sfoggiano un suono molto originale, d’ascendenza quasi psichedelica, in cui le chitarre ultra-effettate e le tastiere si intrecciano tessendo un vortice sonoro dominato dalla voce di Burgess, che aggiunge anche il decisivo tocco ipnotico del suo basso. La proverbiale discrezione della band si evince persino dalle parole con cui si accosta ai suoi primi ascoltatori: “Dear listener, thank you for lending us your ears”.
Parte forte, Script Of The Bridge, subito "Don't Fall", uno dei loro cavalli di battaglia, che sa unire dramma e aggressività in un crescendo emozionale senza pari. La chitarra minimale di "Here Today" (tributo a John Lennon) ci catapulta in un'atmosfera ipnotica, con toni appena più pacati. "Monkeyland" parte anch'essa con un riff sincopato sino ad esplodere, con Mark che libera finalmente tutte le corde della sua voce, per poi placarsi di nuovo in un saliscendi di ritmo: un brano intensissimo, che costituisce il vertice dell'intero album. La tastiera iniziale di "Second Skin" ricorda i primi Sad Lovers And Giants; e mai titolo fu più azzeccato, sembrano infatti due pezzi in uno: si parte con toni romantici e suadenti per scivolare in un baratro ipnotico di rara bellezza, tra il gelo dei synth e l’incedere ossessivo della batteria.
La quaterna iniziale lascia senza fiato, ma anche il seguito della scaletta si mantiene coerente e omogeneo. "Up The Down Escalator", in particolare, è un brano epico e palpitante, di quelli che riescono a scaldare il cuore al primo ascolto. “Less Than Human” è un’altra vertigine cullata dai soffici riverberi delle chitarre. Le aperture melodiche di “Pleasure And Pain” riecheggiano suggestioni darkeggianti. E poi c’è lo splendido finale di "View From A Hill", una dolcissima e romantica ballata in due parti, che fungerà da paradigma per il futuro dream-pop, ma anche per i Cure più sognanti di qualche anno dopo, quelli ad esempio di "A Thousand Hours" (da "Kiss Me Kiss Me Kiss Me"). Ai tempi di Script Of The Bridge, invece, la band di Robert Smith era appena reduce da "Pornography", uno dei loro abissi più cupi, che non faceva concessioni a dolcezze di sorta.

Nonostante le lusinghe della critica, l'album non ottiene grandi consensi in fatto di vendite. La band, tuttavia, non si scoraggia: prosegue l'attività dal vivo e due anni dopo dà alla luce What Does Anything Mean? Basically, sempre per la Statik Records, con Colin Richardson in veste di co-produttore.
L'intro di synth di “Silence Sea And Sky” ci fa subito capire che i nostri sono alla ricerca di un suono ancora più atmosferico, e la conferma arriverà dal prosieguo dell'album, dalla fascinazione dei chitarristi per il magma sonoro prodotto dagli effetti delay ed echo, che darà luogo a una vera e propria saturazione del suono. I Chameleons, senza volerlo, avevano anticipato il dream-pop, reso poi celebre dai Cocteau Twins. A questo tipo di sonorità si ispireranno qualche anno dopo i Kitchens Of Distinction, una grande gay band attiva tra fine Ottanta e inizio Novanta, con al suo attivo quattro album preziosissimi.
“On The Beach” ha un basso sincopato quasi dance, ma le chitarre riproducono quel vortice magmatico che sta divenendo ormai un marchio caratteristico per la band di Burgess. “One Flash” è un'altra cavalcata epica che però si spezza bruscamente, fino a divenire astratta, pacata, l'atmosfera si fa rarefatta con il suono delle chitarre sempre più vicino a quello dei Cocteau Twins. “Singing Rule Britannia” è un poetico attacco al governo di Margaret Thatcher, mentre la vigorosa “Return Of The Roghnecks” e il sixties-pop di “Looking Inwardly” sono altre perle preziosissime, che anticipano l’ormai consueta ballata finale romantica e malinconica (“P.S. Goodbye”).

Basically è un altro centro, ma affiorano alcuni difetti: il suono risente di una produzione troppo pomposa e la voce di Mark risulta troppo enfatica, pur raggiungendo picchi di romanticismo davvero intensi, come nella stupenda “Perfume Garden” o nella bowiana “Nostalgia”.
La musica dei Chameleons assume una forte connotazione epica, che conferisce ai brani un'atmosfera intensissima, quasi sospesa, perdendo però parte dell'urgenza espressiva e della sana ingenuità che aveva reso magico il loro esordio. 

Strani tempi

Arriviamo al 1986, la terza prova è sempre quella della verità. Esce Strange Times per la Geffen ed è un ulteriore cambio di rotta, con le tastiere relegate a un ruolo marginale e gli accenti della batteria più evidenti, ma per la prima volta c'è un pezzo con chitarra interamente acustica, la stupenda ballata “Tears”, che successivamente uscirà anche in versione elettrica.
Prodotto da Dave Allen dei Gang Of Four, già in cabina di regia per Cure e Sisters Of Mercy, è un album in agrodolce, con pezzi suadenti e romantici, come la bellissima “Swamp Thing” e la già citata “Tears”, a mantenere un filo col passato, e brani più aggressivi a tinte dark, come “Soul In Isolation”. Lasciano il segno, però, le tensioni che cominciavano a crescere all'interno della band, complici le vendite non soddisfacenti e una prospettiva incerta sulle sonorità da proporre: il disco, infatti, appare discontinuo e indeciso tra due anime, una romantica e profonda, l'altra tesa e aggressiva.

Lo scarso successo di vendite – nonostante una discreta fama acquisita in ambito underground, specie in Spagna e Germania - e la prematura scomparsa del manager e amico Tony Fletcher porteranno allo scioglimento della band dopo tre soli album.

Le sonorità epiche e romantiche dei Chameleons, pur senza dar vita a una vera e propria scena, troveranno più di un punto di contatto con quelle dei Sound di Adrian Borland, dei Sad Lovers And Giants, dei Comsat Angels e dei Modern English (una sorta di movimento wave romantico stava pian piano prendendo corpo). Ma i semi di quel sound proliferanno anche nelle esperienze di altre band, dai Lowlife ai Kitchens Of Distinction, che nel 1988 davano alla luce “Love Is Hell”. E persino negli Usa nasceranno band dichiaratamente ispirate al progetto di Burgess, come For Against e Springhouse.

Nel 1988 viene stampato The Fan & The Bellow, con materiale risalente ai primi singoli della band e la produzione targata Steve Lillywhite. Alcune versioni di brani già editi negli album precedenti risultano qui più rockeggianti, fino ad avvicinarsi ai territori cari ai primi U2; sembra evidente, a tale proposito, il marchio lasciato su queste registrazioni da parte del produttore Lillywhite.

Mentre i membri della band sono impegnati in diversi progetti solisti, nel ‘90 escono anche per Burgess & C. le classiche John Peel Sessions, quasi a voler mettere nuova legna sulla fiamma della band che ancora ardeva intatta nei cuori dei tanti fan, cresciuti nel tempo grazie anche alla scena shoegaze di inizio 90, con band come Catherine Wheel che palesavano una chiara influenza-Chameleons.

Una menzione speciale meritano le copertine dei dischi che rimandano a quelle dei gruppi progressive dei 70, assai distanti quindi da quelle degli altri musicisti new wave del periodo. Si ha l'impressione che la band non volesse tagliare tutti i ponti con la tradizione della musica inglese, riuscendo, persino musicalmente, a incarnare il lato romantico di Peter Hammill e di certi Genesis; il suono dei Chameleons, tranne in rarissime occasioni, non sarà mai completamente cupo ma sempre in bilico tra romanticismo e malinconia, caratteristiche presenti in molte band dell'era progressive.

La resurrezione

Dopo la pubblicazione di numerosi live, un tragico evento fa riesplodere l’orgoglio mai domo nei membri della band: la morte per suicidio dell'amico Adrian Borland, leader dei Sound. L'amicizia con Burgess era tale che quest'ultimo proseguirà addirittura il tour di Borland, allora impegnato col suo progetto White Rose Transmission.
Corre l'anno 2000 ed è tempo per Mark e compagni di riuscire allo scoperto. Lo faranno nel migliore dei modi, col semiacustico Strip. Finanziato dalla stessa band, il disco regala nuove perle, in versione unplugged, di loro vecchi pezzi appartenenti ai gloriosi album del passato.

Dopo un silenzio durato quattordici anni, la band riprende a incidere, ricominciando un’attività live che dà la possibilità ai nuovi fan di vedere le loro performance on stage.

Nel 2001 è la volta di un nuovo album in studio, Why Call It Anything, con Dave Allen alla produzione, pubblicato per la Artful, la label di Fall e Durutti Column.
La grinta degli esordi è ormai persa, ma il disco ci consegna una band matura, il songwriting è morbido e raffinato, il suono acustico, con qualche splendida impennata elettrica memore dei gloriosi fasti degli esordi. “All Around”, “Lufthansa” e “Music In The Womb” sono nuove ballate elettroacustiche che ci riconsegnano un Mark Burgess in un'inedita veste cantautorale, smantellando però la vena oscura e decadente presente nelle performance vocali dei vecchi album.
In “Miracles And Wanders” si materializza un improbabile crossover con il rap del loro percussionista Kwasi Asante, Mark si alterna con lui al canto, la componente ritmica si fa più accentuata, quasi reggae, ma le chitarre, anziché in levare, sono quelle classiche dei Chameleons, coi suoni pieni di echi e ritardi. E’ il capolavoro del disco. Non mancano però passaggi a vuoto come la conclusiva “Are You Still There?”, uno stucchevole strumentale la cui struttura è affidata a un synth: ne scaturisce una nenia angustiante, zuccherosa e anonima.

Nel 2002 è la volta di This Never Ending Now, splendido disco di session acustiche appartenenti al periodo di Strip. I vecchi brani vengono ancora una volta rivisitati in chiave scarna e diselettrificata, con l'aggiunta di una cover del vecchio pallino Bowie, “Moonage Daydream”.

Il tempo di registrare, e i Chameleons partono di nuovo in tour per la promozione di Why Call It Anything, toccando anche gli Usa. Durante queste date, però, riemergono i contrasti tra i membri della band, la vita privata li allontana, abitando ormai tutti in città diverse. Così, a soli tre anni dalla reunion, la band si scioglie nuovamente.
Ognuno riprende i propri progetti personali, musicali e non, specie Mark Burgess con le sue varie incarnazioni: Invincible (bellissimo il loro “Venus”, vicino al glam dei primi 70), The Sun And The Moon, The Sons Of God.

Il tempo, però, è galantuomo, e il successo di tante formazioni odierne - i vari Interpol, Editors, Film School, British Sea Power etc. - che palesano sfacciatamente l'influenza dei Chameleons ci dimostra quanto questa band sottovalutata e sfortunata sia stata importante nel corso delle varie scene che si sono alternate fino ai nostri giorni, dal dream-pop/shoegaze fino all'attuale revival della dark-wave dei primi 80.

Da Script Of The Bridge sono passati ormai molti anni, ma quella scritta sul ponte attraversato da tante band dei nostri giorni reca ancora la firma di questi ragazzi di Middleton.

Chameleons

Discografia

CHAMELEONS
Script Of The Bridge (Statik Records, 1983)

8

What Does Anything Mean? Basically (Statik Records, 1985)

7

Strange Times (Geffen, 1986)

6,5

The Fan & The Bellows (Hybrid, 1988)

7,5

John Peel Sessions (Strange Fruits, 1990)

7

Strip (Paradiso, 2000)

6,5

Why Call It Anything (Artful Records, 2001)

7

This Never Ending Now (Paradiso, 2002)

6,5

Ascension (live, The Scourge Productions, 2006)
MARK BURGESS
The Sun & The Moon (Geffen, 1988)
Zima Junction (Pivot, 1994)
Manchester, 1993 (live, 1993)
Spring Blooms Tra-La (live, 1994)
Paradyning (Dead Dead Good, with Yves Altana, 1995)
Magic Boomerang (antologia, 2005)
INVINCIBLE
Venus (with Yves Altana, 1999)
Pietra miliare
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