Fiery Furnaces

Fiery Furnaces

Il blues come un gioco

I fratelli Friedberger da Chicago, ovvero le fiere fornaci della invenzione rock: un fuoco fantastico di avant-pop, sostentato dalle coniugazioni blues più bislacche, da nenie e filastrocche infantili, sgorgante di boutade cabarettistiche e intuizioni creative. Intervista in esclusiva e monografia completa

di Michele Saran

Forse incanalandosi nell'odierna tendenza del duo promiscuo (Dresden Dolls, Kills, White Stripes, Mates Of State etc.) come epitome della band blues-rock nella sua essenza - di più e meglio del power trio à-la Cream - i Fiery Furnaces vi si pongono in ogni caso con un intento e messaggio ben precisi. Si tratta, forse, della terza significativa tappa della riscoperta del blues-rock Stones-iano ad opera di un duo maschio-femmina. Se i Royal Trux prendono di peso il blues per condurlo al patibolo degli sconvolgimenti più anarchici e truculenti, e i White Stripes, dopo di loro, ne rivisitano sia la carica d'intrattenimento (sulla cui successiva ondata di next big thing anglo-sassoni possono rivendicare non pochi diritti) che le lamentazioni anthemiche del tardo blues elettrificato, i Fiery Furnaces lo traghettano verso l'invenzione gioiosa e sfrenata, viscerale e apertamente creativa.

Eleanor e Matthew Friedberger nascono e crescono a Oak Park - un ricco e ridente sobborgo di Chicago - stesso luogo di nascita di Ernest Hemingway, nonché base creativa di numerose architetture di Frank Loyd Wright. Sopraggiunto il periodo della tarda adolescenza, le loro vite si dividono: Eleanor intraprenderà gli studi presso l'Università del Texas, e Matthew si trasferirà in Germania. Di lì a poco anche Eleanor comincerà a girare l'Europa al seguito della madre e delle sue commissioni di lavoro (soggiornerà per un certo periodo anche a Londra, oltre a svariate visite in Francia meridionale, Italia e Grecia). Una volta tornati in patria (Matthew tenterà di intraprendere - senza successo - l'Università dell'Illinois), i due fratelli "riportano tutto a casa" tramite le neonate passioni musicali apprese nei loro viaggi all'estero. La svolta decisiva in grado di trasformare queste primordiali aspirazioni in vera e propria attività (pur ancora amatoriale) emerge in occasione del loro trasferimento a Brooklyn, avvenuto nei primi mesi del 2000. Qui sperimentano, assieme ad alcuni amici, le loro prime jam session impregnate di blues anarchico orientato soprattutto al binomio Beefheart-Royal Trux, non dimentico d'evoluzioni debitrici del gusto europeo, e britannico in particolare, carpito durante le loro peregrinazioni adolescienziali (su tutto l'istinto del garage e la fantasia delle opere rock della sacra triade Who-Kinks-Pretty Things). A seconda delle incarnazioni della line-up (variabile da due a cinque elementi), nascono di volta in volta diverse realtà Fiery Furnaces.

La band è però tenuta ufficialmente a battesimo in occasione della loro prima esibizione live, avvenuta all'"Enid's" di New York - nel novembre del 2000 - ma la line-up è ben lungi dal risultare stabile. Questa variabilità di formazione rimarrà costante per tutto il loro primo tour ufficiale, a seconda delle band per le quali i Fiery Furnaces faranno da opening-act (tra tutti Spoon, Sleater-Kinney, French Kicks). New York rimarrà anche la città della loro residenza attuale, oltre che la città adottiva della loro realtà musicale. Alla fine del 2002 i Fiery Furnaces decidono una volta per tutte che il nucleo portante della band sarà costituito da loro stessi, Eleanor (chitarre e voce) e Matthew (tastiere e voce) Friedberger, più una parte "mutante" dedicata alle rifiniture di studio e agli aiuti nei live show, nella quale si succede un discreto numero di musicisti emergenti della scena underground di New York. Con un dignitoso repertorio di live set alle spalle e un affiatamento crescente, la band si dedica così alle prime registrazioni casalinghe sotto forma di demo semi-professionali in tiratura limitata. Una di queste copie capita in mano alla dirigenza della Rough Trade Records, già testimone di alcuni loro live set, che nel 2002 decide di assoldarli per produrre singolo e album di debutto.

Nel settembre del 2003 i Fiery Furnaces danno alla luce la prima registrazione per la rinomata label britannica, vale a dire il cd single di "Crystal Clear", con "Cousin Chris" e "Smelling Cigarettes" come b-side. Il brano di punta mette già in mostra i caratteri portanti della loro fantasia musicale: una piéce comedy-vaudeville che attacca cupa e rombante - il cui carattere scandito fa ben risaltare le successive aperture strumentali (i disegni e i trilli di piano e tastiere, e la rincorsa blues-garage del bridge) -, e sfoggia pure una memorabile interpretazione vocale di Eleanor, impavida e intensa.

Di lì a poco il brano trova la pubblicazione su mini-cd (un 7" in cui compare anche "Duffer St. George"), ma il botto si compie piuttosto con l'uscita di Gallowsbird's Bark (Rough Trade, ottobre 2003), loro Lp di debutto. E' un disco che espande in tutte le direzioni possibili e immaginabili (o comunque consentite loro, nei limiti di una sperimentazione non ancora del tutto a fuoco), le delizie ascoltate in "Crystal Clear", brano già assurto a status di primo classico della band. "Tropical Ice-land", altro loro pezzo forte, è un folk-rock onirico portato in passerella da un'acustica penetrante, da un chorus dotato di una contabilità sconfinata e dal contrappunto instancabile della chitarra elettrica (responsabile anche dell'intro e della brusca variazione in tonalità minore). "Worry Worry" espone una cantilena intensa e ripetitiva di Eleanor, mentre il sottofondo di accompagnamento rassomiglia alla Magic Band in jamming con un Lou Reed prima maniera, a giochicchiare con la lead-guitar. "Two Fat Feet" è emblematica per la sua personale negazione dei Royal Trux periodo "Cats & Dogs" (con un riff che richiama inizialmente pure gli Wire di "Pink Flag"), ottenuta tramite il sing-along del chorus, le decorazioni delle chitarre imbevute di effetti e il percuotere acuto e agrodolce delle tastiere. Così "Asthma Attack" ha un riff boogie-rock omicida che si acumina e infine scalcia nel chorus-refrain Chuck Berry-iano, in accoppiata con la batteria instancabile, mentre "Up In The North" ha un melodismo shuffle incorniciato da folletti sintetici e da nuovi trilli di piano, una chitarra sia disturbante che armonica, e un Beefheart che fa ancora capolino dalla batteria incespicante e scarnificata. "I'm Gonna Run" è un blues à-la Muddy Waters con sovrapposizioni indebite delle chitarre e innalzamenti strumentali anticipati e condotti dalla vibrante voce di Eleanor. "Leaky Tunnel", che gli succede senza soluzione di continuità (creando un effetto nuovamente particolare), propone una intro techno dei synth in loop, una chitarra Velvet-iana in sottofondo (che a metà brano prende il sopravvento), i soliti suadenti vocals di Eleanor, una concertazione caotica finale e la sua distensione.
Insieme alle prime date live e ai primi singoli, è la loro prima e più diretta emanazione di un blues-rock acre, dissonante, ma grintoso. I contrasti sono tutti giocati tra esposizioni prolungate, come ricordano i martellamenti sgargianti del loro anthem, "South Is Only A Home" e "Gale Blow", o l'inciso comico di "Bow Wow", in grado di disperdere qualsiasi prevedibilità, e la brevità sommaria e incisiva delle loro variazioni, dei loro giochi di forma e struttura. Refrain, ritornelli e parti vocali si elevano al cielo come dopo ore di lavoro sotterraneo, come volani sfuggenti. Le inaudite basi strumentali, che la produzione emulsionata tra qualità alta e bassa sa cogliere di soppiatto, sono un supporto sopraffino.

Ancora nell'ottobre del 2003 il duo partecipa alla compilation indetta dalla Sanctuary per festeggiare il venticinquesimo anniversario della nascita della Rough Trade ("Stop Me If You Think You've Heard This One Before"), in cui band più o meno recenti (Royal City, Belle & Sebastian, Detroit Cobras, Hidden Cameras etc.) eseguono cover di band storiche (Galaxie 500, Young Marble Giants, Feelies) e meno storiche (Strokes). Ai Fiery Furnaces spetta il rifacimento di "Winter" dei Fall, e il risultato è pregevole. Risale a dicembre 2003 la partecipazione al primo volume dell'album tributo ai Clash voluto da Uncut Magazine ("Uncut 2003/12 - White Riot Voll. 1-2: A Tribute To The Clash"), in cui compare la loro personale versione di "One More Time".

A 2004 appena iniziato la band dimostra che l'esuberanza creativa dell'album d'esordio è tutt'altro che esaurita, e lo fa annunciando il seguito dell'exploit di pochi mesi prima, nemmeno aspettando che possa essere metabolizzato pienamente da critica e pubblico. Nel frattempo Eleanor e Matthew riarrangiano "Tropical Ice-land", trasfigurandola secondo arrangiamenti esagitati, sgargianti, clowneschi e rimpinzandola di effetti di synth e distorsioni da Bill Haley saltimbanco. "Single Again" è invece l'inedito del periodo, altro emblema della loro breve e costante mutazione creativa, sempre più dedicata a riff compositi, e improntata a associazioni tra zone chiare (scale e scalette fantasiose, trilli di tastiera) e scure (sortite sempliciotte e grezze di chitarra), collage tra strofa e chorus, liberi contrappunti e rielaborazioni tematiche. La capacità di variazione cromatica, ottenuta soprattutto tramite la decantazione di timbri sottili, è davvero lo specifico di questi due hit single ("Tropical Ice-land"/"Single Again", Rough Trade, febbraio 2004; entrambi nuovamente in versione cd-single e 7"). "We Got Back The Plague" (anche questo già presente in Gallowsbird's Bark), "Evergreen" "Sweet Spots" e "Sing For Me" sono le b-side.

Nella seconda metà del 2004 i Fiery Furnaces partono in tour con Franz Ferdinand, Ted Leo & The Pharmacists e Shins, eseguendo in anteprima anche alcuni brani dall'album appena annunciato. Blueberry Boat (Rough Trade, 2004) è così un'ambiziosa opera rock mista a registri da concept-album che implementa tutti gli influssi sviluppati dalla band in questo breve tempo. Non di vero e proprio cambio di rotta si tratta, e nemmeno (o non solo) di una significativa evoluzione del loro personale percorso, semmai d'una precisazione profonda nelle tessiture melodiche e armoniche del loro fantasy-rock. Se con Gallowsbird's Bark avevano provato a coniugare - riuscendoci - il blues bislacco e caotico di Captain Beefheart di "Shiny Beast" con quello vitale e viscerale dei Rolling Stones di "Let It Bleed", passando per la grinta intellettuale di Patti Smith di "Radio Ethiopia" e i crescendo psichedelici dei Jefferson Airplane di "Volunteers", con Blueberry Boat i Fiery Furnaces ampliano le strutture e, contemporaneamente, le passano al setaccio del rock progressivo.
Le cinque mini-suite presenti nell'album, ad affiancare brani di più corto respiro, sono la prima e più palese dimostrazione dell'imprevedibile decorso creativo del duo. L'iniziale "Quay Cur", la più complessa del lotto, è ammirevole per la sua multiforme miscela di garage, surf-rock sovreccitato, battiti cibernetici e rumori industriali del lungo incipit, modulazioni improvvise di dinamica e le melodie vocali modellate da Eleanor. Su tutto svetta il piano, a cui - nel finale - è affidato il compito di condurre una concertazione corale e risolutiva. La successiva "Straight Street" propone un acid-garage sfasato e sconnesso, poi trasfigurato da un piano tamburellante e da una chitarra a-là Velvet Underground, e volto infine a un dialogo di strofe e refrain dell'ugola vibrante di Eleanor, con intermezzi di orchestrine circensi e variazioni fantasiose. "Chris Michaels", invece, parte con un sapiente sprint rock'n'roll di fattura call-and-response (con un'ottima, possente parte di batteria), tra le impennate della linea vocale e le scivolate delle chitarre ruggenti, per poi darsi a distorsioni psichedeliche e infine chiudersi con una sorta di power-ballad Lennon-iana. Più avanti vengono "Mason City" (piéce piano-driven con nuovi echi Jefferson Airplane) e "Chief Inspector Blancheflower" (un collage electro che nel mezzo sfoggia un'altra magnifica ballata pianistica e profonde evoluzioni vocali di Eleanor).
Ma i pezzi brevi, quelli che più si riallacciano al precedente lavoro, non sono da meno. Si prenda il techno-folk di "Spaniolated", con quel suo incedere dissonante, tra solfeggi sgraziati di organo e chitarre che richiamano quasi l'irriverenza psichedelica dei Godz, o il baldanzoso gospel tip-tap di "My Dog Was Lost". "Turning Round" e "1917" sono due corali per unisono di organo, tastiere e voce dalla pregnante atmosfera barocca, mentre la chiusa ("Wolf Notes") è affidata a un nuovo tour de force dissonante - come se i Pere Ubu più scanzonati si fossero dati al techno-pop.

Blueberry Boat è forse uno scalmanato "Twin Infinitives" dell'era indie-pop. Attento alle concatenazioni progressive, quasi Canterbury-iane nella loro frizzante visionarietà, governato da una regia che usa pianoforte e tastiere per esasperare i toni, impartire il movimento, sorreggere le impalcature, deformare in senso caricaturale, è un trattato imprevedibile e fuggevole di sub-generi mischiati e subito riesposti con ricchezza strumentale e voluttà inventiva, spesso e volentieri incredibile nelle sue eruzioni di scatti fantastici e melodici, melliflui, ironici. Sprizza di mirabolante divertimento e di profonda tenerezza. I fratelli Friedberger, co-autori di musiche e testi, sono supportati - anche nelle performance live - dalla collaborazione degli amici Toshi Yano (basso e synth) e Andy Knowles (batteria), entrambi musicisti emergenti.

La data d'uscita di Blueberry Boat (12 luglio) ha visto anche la partecipazione dei Fiery Furnaces alla compilation riassuntiva delle nuove leve Rough Trade ("The Rough Trade Field Guide To Music Vol.1"), assieme a Art Brut, Aberfeldy, Hal, Eastern Lane e altri, con i brani punta dei due singoli pubblicati tra i due Lp ("Tropical Ice-land" e "Single Again").

Il 2005 inizia con un'altra partecipazione. Stavolta tocca a "Sunday Nights: The Songs Of Junior Kimbrough", album tributo al grande chitarrista del blues del Delta uscito in gennaio per la Fat Possum; Eleanor e Matthew qui rileggono "I'm Leaving".
In febbraio esce Ep (Rough Trade, 2005), album che raccoglie singoli, b-side e inediti fin qui prodotti dalla band. Questa nuova uscita discografica è strabiliante per alcune buone ragioni: in primo luogo per l'innata attitudine alla creazione di brani contagiosissimi nel loro avant-pop stralunato, anche nelle occasioni compositive minori (b-side, compilation). Così "Evergreen", ballata per piano ed effetti, retta quasi interamente dalla melodia descritta dalla voce di Eleanor, ma pure dotata di concatenazioni degne del miglior rock britannico di fine 60, e di una efficace chiusa di chitarra acustica bluesy, o "Duffer St. George", buffonesco garage-punk che si arricchisce di scampanellii di piano, cambio di tempo hard nel ritornello e bridge trasognato delle tastiere a soverchiare tutto. "Sweet Spots" è una sorta di cavalcata techno-prog-synth tra Devo e Go-Go's, e "Cousin Chris" è una marcetta-vaudeville con piano saltellante, chorus in controtempo, refrain schizofrenico di tastiere demenziali e intermezzo non-sense à-la Gong.
In secondo luogo, i Fiery Furnaces dimostrano di essere in grado di confezionare un album di canzoni in modo assolutamente involontario, ma anche (e soprattutto) autonomo. Le scansioni, i rapporti tra brano e brano ricordano i migliori momenti di Blueberry Boat, ma la brevità delle singole tracce è quella di Gallowsbird's Bark; su tutto regna un'atmosfera fatata e giocherellona che paradossalmente unifica il tutto. I due inediti presenti a coronamento del tutto, in questo senso, si pongono come efficace collante per mantenere salde invenzioni già ben codificate, spunto per rimescolare le idee e volgerle al loro futuro immediato e definitiva prova del fuoco dell'insidioso formato breve. "Here Comes The Summer", il primo dei due, è una pop-song che rasenta la perfezione: melodia acchiappante già nell'intro, refrain-madrigalismo di synth, un chorus dolcissimo e tastiere vintage in solenne evidenza. "Sullivan's Social Club", la chiusa dell'opera, sfoggia il gran lavoro di Matthew alle tastiere (percussivo-armoniche), con timbri da filastrocca bambinesca di Eleanor, che nella seconda parte si dà a un coro di festa con un carillon su battito Neu!.

Raccolta di idee, prima ancora che di materiale ingiustamente relegato al più castrante dei secondi piani, Ep è un disco gustoso che sa rendere grazia di un compromesso pop di dimensioni diverse, anche se poco concordanti: quella grande, gigantesca, delle tonnellate d'intuizioni all'interno di uno stesso brano, e quella minuscola del formato esterno della canzone radiofonica apparentemente innocua, più volte ribadita in modo tacito. Rimane il mistero, l'alchimia arcana di una resa così godibilmente scorrevole e divertente, pur nella sua ben accentuata articolazione sonora.

A partire dalla seconda metà dell'anno - quindi nuovamente a breve tempo di distanza dall'ultima pubblicazione - la band annuncia che il 2005 vedrà addirittura una doppia uscita discografica su lunga distanza, e che la prima delle due vedrà la partecipazione (come performer attiva) della loro nonna, Olga Sarantos.

Questo primo Lp del 2005, e loro terzo ufficiale, esce il 25 ottobre con il titolo di Rehearsing My Choir (Rough Trade, 2005). Il disco appare quasi totalmente privo di smancerie pop, o plateali divertissment (non sono presenti che in minima parte), piuttosto imperniato su una lunga e articolata narrazione autobiografica declamata dalla nonna, supportata dalle solite vibranti performance vocali di Eleanor e dagli arrangiamenti "a braccio", incuranti di suddivisioni in capitoli (canzoni o suite che siano), di svolgimento in qualche modo strutturato, o di scansioni temporali canoniche. Quest'opera mette in piedi, in senso più profondo, un istintivo confronto inter-generazionale: da una parte le storie e gli aneddoti della nonna (vero centro della scena), dall'altra le chiose della nipote Eleanor, speranzose e divertite a un tempo.
L'album si apre con la pioggia di tastiere festanti di "Garfield El", sopra cui la narrazione di Olga e il canto di Eleanor si inseriscono con nonchalance mai così Beefheart-iana. Una nuova idea introduce il clavicembalo melanconico di "The Wayfaring Granddaughter", da cui scaturiscono idee e variazioni che portano a un dialogo tra le due protagoniste. L'attacco di "Seven Silver Curses" potrebbe essere un frammento della Genesis-iana "Supper's Ready", ma una chitarra bluesy à-la Robert Johnson contraddice tutto, rispolverando un tema incontrato in precedenza (una polifonia tratta da "We Wrote Letters Every Day"), un basso quasi beach-punk e un concerto di chitarre distorte.
Se la narrazione di Olga (fatta di situazioni e personaggi alla rinfusa) e i contrappunti di Eleanor talvolta fanno perdere di vista le pur brillanti intuizioni musicali, "Though Let's Be Fair" si occupa di dare nuova carica di idee alla parte conclusiva dell'opera, esponendo ben quattro idee melodiche in successione. "Slavin' Away", l'unica parvenza di canzone di tutto il disco, ha una strofa che prima di arrivare al chorus passa per organi sospesi e tenebrose marce pianistiche à-la Nick Cave. La title-track ripropone una marcia funebre già incontrata in "Garfield El", tra oscuri minimalismi di clavicembalo, e la conclusiva "Does It Remind You Of When?" varia alcune cellule tematiche di "Though Let's Be Fair" che portano a una nuova pioggia di tastiere ribattute che chiude il disco in modo analogo all'incipit.

Sono gli stessi Fiery Furnaces, in primis, ad aver trovato uno status alternativo tramite quest'album. Al di là degli svariati rompicapi stilistici, della consueta mollezza d'idee traboccanti, e dei molteplici deja vu e leit-motiv, è soprattutto la loro opera più autonoma e libera. Il vero tour de force è in ogni caso quello del fratello Matthew, che suona di tutto e di più, e che ha pure montato e post-prodotto questa montagna di frammenti compositi, alla stregua di un genietto degno dell'Oldfield più sbarazzino.

Il 25 ottobre 2005 vede anche l'uscita (secondo una coincidenza di date in comune con Blueberry Boat, cfr.) dell'album tributo al Beatles-iano "Rubber Soul", per i 40 anni dalla sua commercializzazione ufficiale, quale "This Bird Has Flown - A 40th Anniversary Tribute To The Beatles' Rubber Soul" (Razor & Tie, 2005). I Fiery Furnaces, assieme a Low ("Nowhere Man"), Ted Leo & The Pharmacists ("I"m Looking Through You"), Sufjan Stevens ("What Goes On") e Cowboy Junkies ("Run For Your Life") reinterpretano "Norwegian Wood (This Bird Has Flown)", proprio il brano che il cui sottotitolo dà il nome all'album (e uno dei più prestigiosi della coppia Lennon/McCartney).

La poetica dei due fratelli tuttofare di Chicago è (fino ad ora) riassumibile in senso accrescitivo, cioè per aggiunte stilistiche successive, per scansioni progressive di intuizioni. Ciò che n'emerge, a un primo sguardo generale, è la pronunciata sensibilità degli arrangiamenti fantasiosi, sempre pronti a destrutturazioni della linea creativa di base, a strutture traversali e inclassificabili, all'eclettismo e all'eccentricità delle associazioni testo-musica e composizione-interpretazione. Così come i Pere Ubu contaminavano il garage-rock più aggressivo con schiume nocive di elettronica industriale, facendone detonare spesso e volentieri i tratti portanti, così i Fiery Furnaces contaminano il pop con attacchi fantasiosi (di natura soprattutto armonica, ma poi anche ritmica e melodica) alle sue giunture vitali, alle sue dinamiche più intime e profonde.

Il primo mezzo d'attuazione di questo programma di vivisezione creativa (truculenta solo nel senso più fantasioso del termine) è quello strumentale. Attraverso il canto di Eleanor, che incrocia la Patti Smith più sorniona, la Chrissie Hynde avventata della prim'ora e pure la Grace Slick vibrante dei tempi d'oro, queste coniugazioni eccentriche trovano una prima base legittimante, un costante appoggio di interpretazione Beefheart-iana che si discosta dai molti stereotipi del caso, che dialoga con l'orchestrazione in modo anti-canonico. La sua chitarra, tramite una distorsione a metà via tra garage-rock Sonics-iano e spregiudicatezze del Lou Reed indemoniato dei primi capolavori dei Velvet Underground è poi un ulteriore elemento di trasporto emotivo e vitale in senso lato, d'instabilità armonica e deformazione disturbante del materiale tematico esposto. Le sue sono schitarrate abuliche come potenti sciabolate d'avanguardia rumorista à-la Joe Baiza inferte a gracili strutture pop.
Ma il grosso del duo, come già ricordato più volte, è costituito dall'apporto alle tastiere di Matthew, in questo caso elemento strumentale ancora più giocante su registri oppositivi di costruzione (impalcature armoniche, scale decorative, accordi portanti) e decostruzione (dissonanze impavide, motivetti demenziali di aperto contrasto, variazioni acide su timbri e suoni), alternati con padronanza degna di Eric Drew Feldman e assoluta libertà compositiva.

Ma il livello "zero" della loro estetica primaria, vale a dire il punto di partenza più profondo per la comprensione della musica dei Fiery Furnaces, al di là delle singole competenze strumentali (che già di per sé basterebbero a forgiarne diversi tratti distintivi), è piuttosto quello del blues. Le loro influenze ispiratrici degli inizi sono molteplici: Captain Beefheart (periodo "Shiny Beast") e Royal Trux ("Cats And Dogs") per la brevità dei loro blues fantasiosi e altamente obliqui, e per la capacità di variazione a partire da un materiale (strumentale, compositivo, armonico) comune, e i Rolling Stones per la ruvida immediatezza delle linee melodiche, la spregiudicatezza nell'interpretazione, disinibita e impavida. Questi tre poli delle reinvenzione del blues-rock hanno fornito al duo, più di ogni cosa, un ipotesi di gioco di società con il genere, una base poetica non priva di licenze sbarazzine, ma pure aderente e rispondente ai suoi dettami più importanti. Dai Rolling Stones importano l'aspetto trascinante e roccioso, da Beefheart il dadaismo, l'uso e la sensibilità al collage atipico. Tramite queste due chiavi interpretative, i Fiery Furnaces richiamano e dissotterrano un mondo oscuro di creazione eccentrica che spazia da Lucia Pamela alle Shaggs, da Bruce Haack a Lee Hazlewood agli Os Mutantes.

Attraverso questo gioco dell'invenzione blues, il loro operato diventa un anello di congiunzione tra la cultura alt-pop degli ultimi anni e il cabaret-hall di marca Residents (sublimato soprattutto nel "Commercial Album"), ma pure con una cultura di recupero di materiali di consumo pop-artistici e musicali che indietreggia fino a Zappa e gli Holy Modal Rounders e, prima ancora alle stand-up comedy di Shelley Barman e alla straordinaria lezione di Kurt Weill. L'insieme inestricabile di imprevedibilità creativa e di riutilizzo della cultura pop, di futurismo e di retroguardia tendente alla riscoperta del mondo sommerso, inqualificabile di fine anni 60 sono le vere fondamenta del suono della band: una comicità espressionista bluesy, dotata di inserzioni vaudeville, stacchi e siparietti, assurdità armoniche, divertimenti melodici di ogni tipo. Da un particolare punto di vista, la loro è anche una forma esoterica di non-psichedelia, attuata secondo una forma progressiva che ne espone tutti i generi a loro afferenti, le loro variazioni, e la ricostruzione di un sound "pre" e "post", quasi a costituire un loro tributo personalissimo e deviante, fuorviante. Della psichedelia vera e propria (Jefferson Airplane su tutti) prendono semmai il modus operandi (crescendo, sfaldamenti armonici, melodie sghembe e contaminate), senza mai abbracciarne in concreto i contenuti più tipici. La loro pratica rumorista è sempre funzionale, sempre in grado di mostrare con alta disinvoltura i risvolti tragicomici, orrorifici e subliminali del loro divertimento, e, insieme, enunciare come questo divertimento sia in realtà molto più serio e pregnante di quanto possa apparire a prima vista.

Le piéce dei Fiery Furnaces sono riconducibili a una sorta di gioco rituale dell'invenzione infantile, con tanto di nenie, cantilene prolungate, sing-along e anthem rhythm'n'blues, bans da animatori di oratorio, consci di una gioia sfrenata e di una salda estetica del burlesque più genuino. Gli apporti strumentali di Eleanor e Matthew, come detto all'inizio, ritornano a questo punto nella duplice funzione di porre le basi di una complessità compositiva che li accomuna, una volta di più, allo Zappa bandleader delle Mothers Of Invention. La potente grinta intellettuale del profondo vocalismo di Eleanor (Patti Smith/Pretenders) si associa così in modo ineluttabile all'esuberanza timbrico-sonora di Matthew, secondo un programma di tecnologia tarpata e volta al rimescolamento del suo stesso mezzo d'espressione. Le loro coniugazioni disparate presuppongono un programma di vivisezione musicale che talvolta incontra anche il suo contrario, come nel caso dei prestiti progressive/Canterbury-iani presenti in Blueberry Boat, e la sua tendenza all'unitarietà concettuale, alla rock opera britannica di marca Who e Pretty Things, pur senza rischi apocalittici di sorta, ma anzi proponendo un crogiuolo d'invenzioni virtualmente senza fine. A quel punto, come nella commedia dell'arte, c'è un deus ex machina di ordine superiore che interviene a interromperne il flusso, ma anche ricordando che la libertà inventiva può e dev'essere totale.

Se Gallowsbird's Bark ne importa gli accessori, le materie prime provenienti dal blues più materico, Blueberry Boat coniuga al meglio il tutto, e Rehearsing My Choir, da questo punto di vista forse il loro più compiuto e radicale esperimento, evita la piena fruibilità pur di arrivare a un granitico scopo espressivo, che da anni mancava nella scena alt-rock. Si tratta del loro riepilogo e, insieme, della loro prima costruzione solida, secondo una performance, quella della nonna, che vede al centro il primo e più importante attore depositario delle propaggini infantili, scrigno di un universo parallelo e alieno nell'accezione più pura e incontaminata.

Il contesto operativo dei Fiery Furnaces è anzitutto quello di alta opposizione nei confronti delle facilonerie delle next big thing o delle disquisizioni introverse dei cantautori loser degli anni 90. I fratelli Friedberger si propongono piuttosto come costruttori di piéce loquaci, gioiose, aperte e solari, rimescolando il tutto con illustre ricerca sopraffina (si vedano, in questo, i testi fiume di Blueberry Boat e i reading in forma libera di Rehearsing My Choir). Quello dei Fiery Furnaces, in ultima analisi, è uno dei binomi arte-vita tra i più veritieri e emozionanti mai uditi in musica, o almeno nell'ambito della musica popolare.

Il secondo album tra i due annunciati nella seconda metà del 2005 (inizialmente previsto per fine 2005, quindi di poco successivo a Rehearsing My Choir, poi rinviato a inizio anno, infine spostato all'11 Aprile 2006), s'intitola Bitter Tea (Fat Possum/Rough Trade, 2006) ed è anzitutto un sapiente concentrato delle principali componenti dei Fiery Furnaces fin qui apprezzate (melodia, concatenazioni fantasiose, strutture anti-narrative) che pure riesce ad andare oltre.
Già dall'attacco ("In My Little Thatched Hut"), contagioso nella sua semplicità, il duo si sbizzarrisce a creare contorni electro-psych attorno alla voce sorniona di Eleanor, o a far precipitare l'acustica in un buco nero di dissonanze e percussioni tribali. Brani come "I'm In No Mood" e "Black-Hearted Boy" sono anzitutto collegati naturalmente da una sorta d'illusione acustica, ma pure funestati da sciami di dissonanze digitali che sovrastano i timbri intensi delle melodie, motivetti ricorrenti, ed effetti sonori di reverse e cut-up a scoprire il lato oscuro del vaudeville.
Altre prelibatezze sono "I'm Waiting To Know You", serenata doo-wop a modo loro, "Oh Sweet Woods" con passo disco-funk a imitare la "Billy Jean" di Jackson-iana memoria, la breve pop-song di "Police Sweater Blood Vow" ") e soprattutto "Nevers", tra synth vaporosi e frase robotica da space-age pop, collage tra l'umanoide e il mostruoso delle voci dei due fratelli. L'album termina con "Whistle Rhapsody", una piece vagamente prog-Floydiana, che muta tonalità fino all'ultima solenne dissonanza spaccatimpani.
Bitter Tea si pone pertanto come rielaborazione anzitutto percettiva di un gusto estetico a specchio, dotata di una Eleanor sempre più poliedrica, o come lunga fantasia non priva di humour sarcastico, nero e smargiasso, che si trasforma in un caparbio poema tragicomico, impregnato d'obliquità e toni mefistofelici, giocando con gli effetti, i prestiti linguistici, le filastrocche, l'efferatezza timbrica, gli alieni, la sensibilità femminile.

Se i presupposti sono quelli di un ennesimo sbrindellamento pop (Bitter Tea), allora non stupisce che Matthew, l'anima razionale-creativa del duo, sperimenti con il coraggio dello sfogo espressivo la prova solista su lunghissima distanza (doppio cd). Winter Women/Holy Ghost Language School (859 Recordings, 2006) è puro Fiery Furnaces-style nel suo concept surreal-autobiografico e nel suo tema di viaggio spirituale (tra Oriente e Pentecoste). Il primo disco, a parte le azzeccate melodie di "Her Chinese Typewriter", "Up The River", e "Ruth Vs. Richard", non riesce a fare molto per distinguersi da una possibile raccolta di scarti del gruppo maggiore. La seconda parte, altresì dedicata a composizioni più o meno ardite ("A Mystical Preparative To Lewdness", "The Pennsylvania Rock Oil Co. Resignation Letter", "I Started Drinking Alcohol At The Age of Eleven"), è scatolame sperimentale poco assortito, infelice nei suoi arrangiamenti scarsamente curati e pacchiani, incolori e monotoni. Matthew fa qui la figura del secchione indietronico in libera uscita, non del genietto del taglia e cuci di Rehearsing My Choir.

Widow City (Thrill Jockey, 2007) inaugura per il duo un periodo d’accomodamento interlocutorio di flessione della nuda ispirazione, e di scarsa cura del prodotto-disco nel suo insieme (che risulta, così, più multiplo che opera d’arte), pur nella loro costante complessità eccentrica d’insieme. Evidenti sono le mini-jam elettrificate, a sfoggiare passi pesanti (quasi una parodia dell’hard-rock in stile Zappa), melodie instabili e repertori - ormai consueti - di variazioni sfuggenti ("Clear Signal From Cairo", "The Philadelphia Grand Jury"), mentre i brani brevi risultano talvolta poco coesi, a parte i numeri di punk progressivo a mutare in marcia mostruosa ("Uncle Charlie"), e gli incastri vocali di melodia e inserzioni giullaresche ("Restorative Beer"), da parte di un’Eleanor performer in gran forma. Brani come "Ex-Guru" acquistano movenze di danza fantastica grazie a un videoclip di chiara ispirazione psichedelica (via YouTube). Le interpretazioni, più in generale, vanno per la maggiore - elevandosi tra sceneggiature molli e appiattimenti della scrittura - e si occupano di rinsaldare lungaggini grossolane e abiure strampalate.

Nel 2008, il doppio live Remember funge da testimonianza dell'attività concertistica del gruppo e da antologia della loro breve ma già ricchissima carriera.

 

Passata questa sbornia, il duo ritorna al disco di studio con I'm Going Away. Nonostante il lasso di tempo di quasi due anni dal predecessore, l'album è alquanto deludente, come se il duo avesse rotto gli indugi e si fosse orientato a progetto esclusivo della sola Eleanor.

Brani come il rock’n’roll di “Take Me Around Again” e “The End Is Near” (la loro prima vera ballata) non hanno nulla della dirompente fantasia della band, mentre diversi altri episodi (così come la maggior parte di idee armoniche e arrangiamenti) suonano come autoimitazioni dei loro classici. Se la volontà era quella di listare mestizie allora pesa l'assenza dei loro commenti a latere. Diversamente, il disco rimane un balocco sfattone quasi irritante. 

 

Take Me Round Again, disponibile solo tramite download, contiene divertissment di Matthew e reinterpretazioni acustiche di Eleanor dei brani di I'm Going Away.

 

Nel 2011 Matthew Friedberger ritorna alla carriera solista lanciando i Solos, collana di otto dischi su vinile (disponibili solo tramite sottoscrizione) in cui l'autore si registra sopra basi dedicate a un solo strumento, volta per volta. I primi due, Napoleonette (pianoforte e tastiere) e Meet Me In Miramas (chitarra) sono poco più che logorroici virtuosismi alternati a scadute canzoncine pop, qualcosa di davvero distante dal suo caratteristico mixaggio multiplo del gruppo maggiore. Old Regimes è dedicato all'arpa. Seguono a cateratta Cut It Out, sulla drum machine, Death-In-Life, organo, Arrested of Charges on Unemployement, per il basso. Artemisia e Goodbye Forever sono appendici che chiudono finalmente il ciclo. Tutti questi tediosi esperimenti sono stati selezionati e raccolti in The Diabolical Principle.

Nell'Aprile 2011 anche Eleanor annuncia l'uscita del suo primo album solista (su Merge Records), Last Summer, previsto per Luglio.

Quando esce, il disco suona come un'opera dei tardi Fiery Furnaces mancata; la medesima tendenza normalizzante è confermata dal singolo "My Mistakes" e dalla tirata "I Won’t Fall Apart On You Tonight". Quindi Eleanor s'impone come talento melodico dei due quando approccia il mondo delle cantautrici serie (“Scenes From Bensonhurst”, “One-Month Marathon”, "Glitter Gold Year”) e del pop di retroguardia, come in “Roosevelt Island”. Gradevole e senza troppe sorprese, vale sia come conferma di uno stile che come quieta variazione sul tema. 

Matt convoglia finalmente i dispensabili "studi" dei suoi Solos in un'opera ambiziosa, Matricidal Sons of Bitches (2012) di ben 45 brani, un collage-maratona di suoni riprocessati, citazioni vecchio stile (Tin Pan Alley su tutti), una parata interminabile quasi-Frank Zappa di mezze idee brevi o brevissime, un po' vocabolario frammentario un po' tour-de-force colto. A metà via tra la noia delle sue usuali idee melodiche e una vacua ricerca d'avanguardia, paga soprattutto la mancanza di un filo conduttore armonico; a parte alcuni sketch riusciti, e qualche campionamento e loop creativi, la polpa dell'opera è tutto meno che rivoluzionaria. Questo ciclopico pamphlet torreggia soprattutto come ennesima riconferma del suo ego spropositato e delle sue esagerazioni naif.

Anche alla seconda prova solista, Personal Record (2013), Eleanor riconferma quanto poco funzionino i due fratelli se presi da soli: a parte qualche refrain sbarazzino, sono canzoni generiche e melodicamente fiacche che talvolta cercano di scimmiottare, senza averne il carisma, la "Tropical Iceland" del gruppo maggiore.

Il singolo "False Alphabet City" (2015), è il preludio della sua collaborazione con l'artista visuale Sara Magenheimer.

Il terzo New View (2016)
 emerge come il più solido tentativo cantautoriale e bandistico, e meno corrivamente retro-pop, grazie soprattutto agli scimmiottamenti dei maestri: “He Didn’t Mention His Mother”, una delle sue migliori, ricalca la “Wild World” di Cat Stevens, pose alla Neil Young e percolazioni vaudeville svirgolano “Open Season”, mentre tra le più lunghe e riflessive vince senz'altro la sudista “A Long Walk”, un po’ la sua “Like A Rolling Stone”. Sul fronte melodico, “Sweetest Girl” recupera peraltro un po’ della verve demenziale dei Furnaces. Eleanor è aiutata da una band compatta e salace, che ha anche qualche spunto di jam, ma anche la sua personale capacità strumentale è aumentata, come prova lo stomp acustico a mezza voce di “Never Is A Long Time”.

Matthew Friedberger chiama a sè il batterista Bob D'Amico dei Sebadoh (ma anche degli stessi Furnaces) per varare il moniker Saqqara Mastabas. Il loro debutto Libras (2016) è l'esatto contrario dell'arrogante verbosità delle opere soliste precedenti: non solo nella durata (appena mezz'ora) ma soprattutto nella scattante dinamica delle fantasie, quasi un puro sfogo del musicista. Tecnicamente si tratta di duetti tra le sue tastiere electro-analogiche e una batteria mai così libera e duttile, senza voce. Nell'uno-due iniziale ("Walking Through The False Door"-"Fixed By The Tiny Valons Of The Vulture Goddess") c'è già un piccolo gioiello di schizofrenia, un tocco di classicità elettronica che riporta a Wendy Carlos e Tomita, e subito dopo un delirio nudo e crudo da maniaco sanguinario. Più in generale, difficilmente i brani seguono una struttura razionale, o meglio fingono d'imbastirla per poi rimangiarsela di continuo: il motivo ricorrente solenne simil-cornamuse di "Smoking In The Valley Embalming In The Valley" finisce per degenerare progressivamente dopo aver duettato con una disco-dance nipponica kitsch. Persino intenzioni jazz affiorano da "No Escape For The Serfs On The Surf", ma cariche di una quantità di eresie (tra tutte una drum machine), cambi di tempo gratuiti e un clima svampito che sotterra Residents-ianamente l'armonia. Anche grazie a numeri come "Uto On The Upswing" (girandola caotica di carioca remixato jungle, dominata da una batteria sbruffona) l'opera può stare vicino alla sinfonia improvvisata di Zach Hill, Church Gone Wild. "The Failure" mima la linea ritmica di "No Satisfaction" dei Rolling Stones ricoprendola di motivi cartoon con figure dissonanti, persino selvagge e serialiste. Un pattern tribale innerva le allucinazioni elettroniche di "Unknow Term For Butcher", mentre il suo yang, "The Cosmetician's Knife" si affida alla pulsazione sintetica per poi essere trafitto da barriti raggelanti. Con un pizzico d'ambizione in più, l'album poteva divetare un piccolo Mu di Don Cherry per la musica rock.

Imperterrita, Eleanor rilascia Rebound (2018), lo-fi, solistico ed elettronico rispetto al predecessore. Un filotto di quattro canzoni si distingue appena tra i riempitivi: il singolo "In Between Stars" (corrivo battito disco) e "The Letter" (ballad amatoriale), entrambe con una certa sinuosità alla Fleetwood Mac, il boogie soffice "Make Me A Song" e ancor meglio la filastrocca bombastica "Everything". Un Ep le avrebbe attestato finalmente una statura di cantautrice matura.

Dopo tanti progetti solisti non proprio di successo i due Fiery Furnaces finalmente tornano insieme per il singolo "Down At The So And So On Somewhere/The Fortune Teller's Revenge" (2020).

Fiery Furnaces

Discografia

FIERY FURNACES
Gallowsbird's Bark (Rough Trade, 2003)

7

Blueberry Boat (Rough Trade, 2004)

8

Ep (antologia, Rough Trade, 2005)

7

Rehearsing My Choir (Rough Trade, 2005)

7

Bitter Tea (Rough Trade, 2006)

7

Widow City (Rough Trade, 2007)

6,5

Remember (live, 2cd, Thrill Jockey, 2008)

6,5

I'm Going Away (Thrill Jockey, 2009)

5

MATTHEW FRIEDBERGER
Winter Women/Holy Ghost Language School (859 Recordings, 2006)

5

Solos (Self Released, 2011-2012)
4

The Diabolical Principle (antologia, Self Released, 2012)

Matricidal Sons of Bitches (Thrill Jockey, 2012)5,5
ELEANOR & MATTHEW FRIEDBERGER
Take Me Round Again (online, 2009) 4
ELEANOR FRIEDBERGER
Last Summer (Merge, 2011)
5,5
Personal Record (Merge, 2013) 5
New View (Frenchkiss, 2016)5,5
Rebound(Frenchkiss, 2018)5,5
SAQQARA MASTABAS
Libras (Joyful Noise, 2016)7
Pietra miliare
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