Fugazi

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D.I.Y. senza compromessi

Leader storici della scena di Washington D.C., i Fugazi di Ian MacKaye e Guy Picciotto con una manciata di dischi hanno definito l'estetica post-hardcore, traghettando il post-punk verso l'alt-rock

di Claudio Lancia

Dai Minor Threat ai Fugazi: la visione post-hardcore di Ian MacKaye

In principio furono i Minor Threat, band che con una manciata di brani disegnò (assieme a Bad Brains, Black Flag e pochi altti) lo scenario sul quale costruire l'intera estetica post-hardcore della East Coast degli Stati Uniti. Di quella band Ian MacKaye (Washington, 16 aprile 1962) era voce e chitarra. Bruciata in una manciata di brani l'incandescente esperienza Minor Threat, MacKaye ideò prima gli Embrace poi gli Egg Hunt, altre formazioni dalla vita brevissima, e nel 1987 i Fugazi, coniugando stilisticamente l'hardcore-punk dei Minor Threat, il jazz-core dei Minutemen e lo slo-core degli Slint, architettando un ibrido in grado di andare ben oltre l'addizione delle singole parti, grazie a una straordinaria capacità esecutiva, compositiva e riflessiva.
Ian MacKaye è fra l'altro uno dei fondatori della Dischord Records, etichetta di stanza proprio a Washington, fondamentale per la crescita e lo sviluppo dell'intera scena hardcore locale. MacKaye ha anche lavorato come fonico, e ha prodotto album per gruppi fondamentali, fra i quali Rollins Band e Bikini Kill. I Fugazi, assieme a Minutemen, Fear e Mission Of Burma, daranno vita - ognuno con caratteristiche ben distinguibili - a un'opera che risulterà estremamente significativa per la storia del rock, istituzionalizzando l'emo-core e fissando le basi per la nascita e lo sviluppo del successivo post-rock.

Dopo aver ispirato, propiziato, sostenuto e prodotto - marchiandolo anche con la propria etichetta - uno dei primi gruppi emo-core della storia, i Rites Of Spring (siamo nel 1986), MacKaye soffoca il progetto e invita il batterista Brendan Canty (Teaneck, New Jersey, 9 marzo 1966) ad unirsi al primo nucleo dei Fugazi, assieme al bassista Joe Lally (Silver Spring, Maryland, 3 dicembre 1963). Di lì a poco si aggiunge proprio l'ex leader dei Rites Of Spring, Guy Picciotto (Wasghington, 17 settembre 1965), per il momento solo alla seconda voce, a completare quella che diventerà una delle line up più longeve della storia del rock contemporaneo. In quel periodo la band suona già molto dal vivo: la prima esibizione live del quartetto viene fatta risalire al 3 settembre 1987.
La musica dei Fugazi parte da premesse hardcore ma tende all'astratto, al primitivo, all'impersonale, un suono metropolitano sofferto eseguito con tecnica sopraffina, non discostandosi dai tre-strumenti-tre e senza avventurarsi in alcun effetto non riproducibile al di fuori dallo studio di registrazione. Lo loro è una modalità innovativa di accesso all'hardcore, con la componente tecnico-compositiva che - per la prima volta - passa in primissimo piano, non surclassata da quella emotiva. Tanto cerebrali quanto ricercatissime, le composizioni si pongono come varie, articolate e complesse, con continui cambi di tempo, stop and go, frammenti di melodia, accelerazioni, rallentamenti, assoli pseudo-metal, elementi dub/reggae, rabbia e contemplazioni che faranno scuola. Le voci tratteggiano melodie che ad altri ritmi e volumi si definirebbero "pop", ma all'improvviso si lanciano in urla devastanti, oppure scandiscono le parole mutuando metriche hip-hop, tutto rispettando un'etica rigorosamente Do It Yourself.

MacKaye con la sua voce roca e teppistica, Picciotto con quel falsetto impube e immateriale, alternandosi, elevano la propria musica verso vertici formali assoluti, ora contrapponendosi con espressione a una musica inespressiva, ora facendo l'esatto opposto. La sezione ritmica è impeccabile, sublimamente imperturbabile, le chitarre sono in perenne fremito, con un effetto complessivo che attribuisce le sparute melodie più alla prima che alle seconde, assecondando una delle regole generali dell'hardcore: essere anti-riff per eccellenza. L'influenza dei Fugazi (così come ad esempio quella dei coevi Jesus Lizard, di Chicago, attivi dal 1987 al 1999) sarà enorme su tutta la scena rock degli anni 90; in Italia gruppi alt-rock di successo, come i Marlene Kuntz, saranno senz'altro loro debitori, e ancor più band underground vivacemente oblique, come gli Uzeda e i One Dimensional Man di Pierpaolo Capovilla.
Come gran parte del post-hardcore e come tutto il rock d'avanguardia, i Fugazi non concepiscono "canzoni" nella maniera propriamente detta: non solo perché i loro pezzi ignorano la "forma canzone", ma anche perché sconfessano sistematicamente le singole parti di questa (dalla melodia al canto, dall'accompagnamento alla strofa, al ritornello). Dei Fugazi non esistono composizioni "belle" o "brutte": tale caratteristica, lungi da voler essere un alibi per eludere le critiche, è piuttosto da leggersi come uno spostamento del baricentro verso un giudizio che riguarda non più categorie estetiche o formali, bensì matematiche o sostanziali. Nel giudizio entra molto più la considerazione della quantità di innovazioni tecniche e compositive apportate in ogni singolo brano piuttosto che la loro qualità o bellezza.

I primi Ep

L'esordio avviene nel 1988 con l'Ep Fugazi: sette brani per complessivi 23 minuti. Opera fra le più innovative ed eternamente attuali del rock inciso negli anni 80, vede il proprio brano di riferimento in "Waiting Room", un sabba jazz-core conteso tra il ringhio costipante di MacKaye e l'eco smaterializzante in coro di Picciotto. "Bulldog Front" è un elegante salmo della dannazione, con la voce di Picciotto sostenuta da una sezione ritmica splendidamente impietosa e un finale che già anticipa i Nirvana, i quali non a caso si dichiareranno fan dei Fugazi (e non saranno certo gli unici). "Bad Mouth" condanna alla raffinatezza anche il rap-core dei Red Hot Chili Peppers, stendendo un tappeto che giunge sino al crossover dei Faith No More, in talune dinamiche persino anticipandolo e, tra rallentamenti e ripartenze, mantenendo il sound sempre nitido e ineffabilmente concreto.
"Burning" impone un mix fra uno svolgimento Pere Ubu, con Picciotto particolarmente debitore dell'estetico edonismo di David Thomas e un finale in stile Sonic Youth. "Give Me The Cure" vede un Picciotto che ridente piange sopra quello spietato bambino rappresentato dal glaciale tappeto sonoro. "Suggestion" disarticola e anatomizza un'ascendenza hardcore tutta Minor Threath e lancia MacKaye a sublimare nella ripetizione sofferente, rabbiosa, scorata del titolo. "Glue Man" mostra come quello dei Fugazi non sia un rock della ricerca o del soggetto, bensì della perfezione formale e dell'oggetto. 
 
Nel 1989 l'Ep Margin Walker conferma la statura del gruppo, grazie a sei brani condensati in appena 17 minuti, più fluidi ed energici dei precedenti. La traccia di riferimento è la title track, un pezzo hardcore di due minuti e mezzo devastato da inserzioni ritmiche garage e jazz, urlato da Picciotto (normalmente questo sarebbe il compito di Mackaye) con una potenza che non è cattiveria ma sfera di bellezza infantile. "And the Same" è una cantilena tra singulti hardcore e una processione scheletricamente garage-rock. "Burning Too" è un richiamarsi di voci (già Rage Against The Machine) frammezzato da turbini chitarristici in ciclo. Svariati anni in anticipo sui tempi.
"Provisional" riporta in auge i Gang Of Four col loro garage minimalista e possente, diluendolo con stati ostetrici di borotalco, per la voce di Picciotto e la clinica sezione ritmica. "Lockdown" è ancora un magistrale (canto di Picciotto) sproloquio che pare non dire niente, perché non si riesce a definire e che invece, proprio per questo, dice tutto. "Promises" è una ballata d'avanguardia che con gran classe si inietta di urla hardcore e nenie sempre in bilico tra canto e rap: nella seconda metà di dilata ulteriormente per chiudersi in una progressione hard-garage.

I due Ep d'esordio saranno poi riuniti nella raccolta 13 Songs, e dalla visione d'insieme si possono già intravedere, e osservare ancor meglio, quelle che saranno le caratteristiche peculiari del gruppo: l'alternanza delle due voci, i testi politicizzati, il suono delle chitarre distorto, dissonante e graffiante, ma nel complesso sempre composto e calcolato, mai impulsivo, una sorta di caos ordinato. Picciotto, non completamente soddisfatto di occuparsi esclusivamente delle parti cantate, decide di imbracciare la chitarra, inaugurando nuovi orizzonti per il futuro della band.
 
I primi risultati si riscontrano l'anno successivo in Three Songs, un Ep di appena tre brani condensati in sette minuti. "Song #1" è quasi un omaggio ai Rolling Stones di "Stray Cat Blues", un inno a due voci nel quale si rincorrono tutti gli aspetti caratteristici del gruppo. "Joe #1" è uno strumentale cadenzato con lento e impietoso incedere da thriller, carico di pathos, dove domina il basso e lo sfrigolare delle chitarre incendia lentamente l'ascoltatore. La breve "Break In" è un veloce hardcore che vede Picciotto lanciarsi in un'irrefrenabile e incalzante filastrocca a cento all'ora. 

I capolavori

Lo stesso anno arriva il primo album. Repeater in soli 35 minuti s'impone come l'apice della carriera di una delle realtà musicali più rivoluzionarie di fine millennio, la vera Pietra Miliare dei Fugazi. Repeater prosegue il percorso artistico intrapreso dai primi Ep, incarnandone la maturazione e riuscendo a trasferire il tutto su un livello superiore: quella che prima era un'esplosione ingenua di furore giovanile, ora diviene ponderata e calcolata. Questi non sono semplici inni alla ribellione: dietro ogni traccia ci sono l'individuo e il suo rapporto con la società contemporanea, veri concentrati di tensione e angoscia, che scavano a fondo senza remore, per mezzo di sonorità scolpite dalla solida sezione ritmica e decorate dalle chitarre che si muovono fra il pacato e il devastante. "Turnover", l'ouverture, è un gioco di rallentamenti e accelerazioni, sconvolto dalle scosse telluriche della sei corde di Picciotto, dove viene sintetizzato in una melodia ogni loro accento: rap, garage, hardcore, prog-core. L'incipit è lento, il finale è esplosivo, irregolare, ustionante, il ritornello epico resterà fra i migliori del loro repertorio. E' l'introduzione perfetta per quella che sarà l'atmosfera alienata, tormentata e dissonante dell'intero lavoro. La feroce title track vede protagonisti il canto sgolato e gutturale del leader e un muro di chitarre abrasivo e distorto, il tutto così ben arrangiato da lasciare l'impressione dell'improvvisazione, quasi dei Faith No More ripassati nel liquido amniotico dei Sonic Youth, inserendo elementi funk e crossover che anticipano il successo dei Red Hot Chili Peppers. MacKaye vi esplicita tutta la sua filosofia, la visione negativa della brutalità della società occidentale, dove vige la legge del più forte e l'individuo viene ridotto all'impotenza. Nella strumentale "Brendan #1" la parte del leone è svolta dalla tribale sezione ritmica, perfetta - come al solito - nel cesellare pause e accelerazioni, concedendo alle chitarre sonicyouthiane lo spazio per tratteggiare uno sfondo dalle tinte apocalittiche. La più immediata "Merchandise" gioca con l'hard-rock per sminuzzarlo, un anthem dall'impatto impressionante e il violentissimo refrain "We owe you nothing / You have no control!".
I Fugazi come al solito sconvolgono e superano il formato canzone tradizionale, e ciò avviene anche nei brani più apparentemente controllati come "Blueprint", una noise power-ballad noise strutturalmente articolata, con incipit melodico e finale in crescendo. In "Sieve-Fisted Find" l'atmosfera si fa febbricitante, la tensione sale, il cantato di Picciotto da passionale e puerile diventa singhiozzo. La violenta "Greed" è un pugno allo stomaco, procede a forza di cambi di tempo, con MacKaye che urla in modo disumano un semplice verso: "You wanted everything / You needed everything". "Two Beats Off" è l'ennesima dimostrazione di classe, con il gruppo che si dimostra capace di attraversare più stili, aggrappandosi al basso cupissimo di Lally. "Styrofoam" è un vortice di chitarre, pezzo lineare ma sempre selvaggio, nel quale i Fugazi si comportano da terroristi sonori, tale è la scossa suscitata da esplosioni del refrain e urla incessanti. "Reprovisional" è la rivisitazione in chiave più drammatica di una traccia già edita nell'Ep "Margin Walker", danza moderna degli anni 90, tra incensi indie, ritmi tirati ed essenziali e rigurgiti noise sapientemente calcolati. L'attacco melodico fa a pugni col cantato roco di Picciotto, che sfiora la disperazione verso il finale. "Shut The Door" mantiene la tensione altissima, pagando pegno agli Slint per gli accordi glaciali, le chitarre archeggianti e la sezione ritmica goccia a goccia, con Mackaye che, urlo dopo urlo, con i polmoni in gola, si trasforma nel nuovo Rollins. 

Repeater formalizza alla perfezione le caratteristiche peculiari del genere post-hardcore, gettando un ponte sia verso le nuove istanze post-rock, sia verso alcuni fra i generi che diverranno fra i più in voga negli anni 90, quali il crossover e l'emo-core. Diventerà anche un piccolo miracolo della scena indipendente, riuscendo a vendere in pochi mesi oltre 300.000 copie, numero non certo indifferente per ilprodotto di un'etichetta che si basa su una spinta promozionale ridotta all'osso.
Sulla scorta di quel successo, molte label cercarono di mettere sotto contratto i Fugazi, ma qualsiasi offerta venne rifiutata. Repeater è raggiunto nel tempo la ragguardevole cifra di un milione di copie vendute negli Stati Uniti, e oltre due milioni in tutto il mondo, spianando - con il proprio sound - la strada ai giganti del rock alternativo e del grunge di lì a venire. L'album sarà qualche anno più tardi ristampato con l'aggiunta delle tre tracce che formavano l'Ep 3 Songs.

L'anno successivo è la volta di Steady Diet Of Nothing: undici brani in 36 minuti che vanno da una "Latin Roots", che frantuma ogni tempo possibile, alla strumentale "Steady Diet" in grado di rendere metal i Sonic Youth, da una "Polish" che spoglia di ogni sua linfa addirittura il rock n' roll (vedi il riff centrale attorniato dal deserto ritmico) alla conclusiva "KYEO" che si pone come summa tesissima del tutto. Ma anche il resto del menù non scherza, a partire dall'iniziale "Exit Only", strumentalmente Slint e Faith No More nel cantato con tono greve e ritmato, passando per una "Reclamation" che redime i Sonic Youth (noise) con gli Slint (sezione ritmica) grazie a un Mackaye particolarmente scorato e sempre estremo, in grado di trovare sempre nuovi espedienti per i cori.
"Nice New Outfit" rispetta la regola Mackaye-hardcore, Picciotto slo-core ballabile, inserisce chitarre ritmiche metal, "Stacks" ritorna al teppismo di Mackaye, sempre convogliandolo in geometrie soniche, "Long Division" è una cantilena di Mackaye, rattristita come il bambino che aveva un solo giocattolo (l'hardcore) e quello gli hanno tolto. "Runaway Return" è il brano più "regolare", "Dear Justice Letter" un rock'n'roll involuto e ammazzato da pesantezze metal, estraneamenti ritmici e bulimie paesaggistiche.

Il resto degli anni 90

Dopo il 1991 i Fugazi (che avevano appena fra tra i 25 e i 30 anni di età) non hanno potuto far altro, come del resto i Jesus Lizard, che consolidare il proprio patrimonio: grande classe, diverse spanne sopra quasi tutti gli altri gruppi coevi, ma fatalmente così avanti da non riuscire a produrre più nulla in grado di superare lo slancio innovativo dei primi lavori. In On The Kill Taker (1993) si mette in scia ai due capolavori precedenti denza demeritare, cercando di rinnovare e ampliare la formula. La situazione è chiara sin dalla doppietta iniziale "Facet Squared" / "Public Witness Program": i Fugazi sono i migliori al mondo nella loro categoria, e oramai qualsiasi band emergente voglia inserirsi nel panorama post-hardcore non può che prendere loro come punto di riferimento.
Adorati dal pubblico e osannati dalla critica, non si adagiano sugli allori ma continuano ad inserire inediti spunti nelle proprie composizioni e a sperimentare nuovi suoni e intenzioni. Basti l'ascolto del massacro sonico che contraddistingue "23 Beats Off", quasi sette minuti di rappresaglia in musica, un minutaggio inusuale per la band di Washington. Il disco fu inizialmente registrato sotto la supervisione di Steve Albini, ma la band - insoddisfatta del risultato - decise poi di rifare tutto da capo, trovando successivamente anche il parere concorde dello stesso Albini. In On The Kill Taker divenne il primo album dei Fugazi ad entrare nelle chart di Billboard, vendendo la bellezza di 180.000 copie nella sola prima settimana. Di nuovo ricevettero il corteggiamento, sempre cortesemente respinto, da parte di molte label importanti; si narra che la Atlantic si dichiarò disponibile ad offrire qualsiasi cifra pur di avere la firma della band. I Fugazi rifiutarono anche l'offerta di patrtecipare al Lollapalooza del 1993, preferendo continuare ad organizzare in proprio le uscite live.

Red Medicine è uno dei migliori album pubblicati nel 1995, pur essendo il frutto di una band che sta esaurendo la spinta innovativa, spingendosi verso una forma di ibrido art-rock sperimentale sempre più intellettualoide. "Do You Like Me" è un inno tra l'estetico e l'edonistico, "Bed for the Scraping" un poliedrico jazz-core d'alta scuola con finale feroce, "Latest Disgrace" una lussuria sado-masochistica, "Birthday Pony" un ruggito da più parti nobilitato, "Target" un power-Slint squisito, "Long Distance Runner" un noioso formalismo cantilenato (negli effetti), elevato a estasi post-modernista. Brani che risultano essere fra i migliori di sempre dei Fugazi, in grado di muoversi verso la forma-canzone per dissimularla raffinatamente.
Ma questo non consente di dare un valore anche lontanamente comparabile a quest'album rispetto ai precedenti, che non ne sono la causa, ma lo comprendono ed esauriscono interamente. Non a caso, gli altri brani sono: "Forensic Scene", per quanto il miglior brano che i Pearl Jam non abbiano scritto, il momento di scissione del disco che da qui in poi pare quasi sempre pretestuoso; "Combination Lock" un noioso formalismo strumentale; un antipatico "Fell, Destroyed", "By You", dove troppo interiorizzato o fatto proprio risulta il tributo agli Slint per non risultare ipocrita, "Version" lo strumentale deja vu (fuoriluogo specie il sax), "Back to Base", hardcore pour jouer; "Downed City", mera sintesi, culminante nel melodico, dei rilievi e delle piattezze del disco.

End Hits, pubblicato nel 1998, pur non avendo più la carica rivoluzionaria degli esordi, conferma i Fugazi come punto di riferimento assoluto della scena post-hardcore. La rabbia, il poetare catartico, la furia politicizzata ci sono sempre, ma il quartetto ora tenta un approccio semi apatico, attraverso il quale contempla la realtà senza più intervenire proattivamente, rinunciando alla passionalità e all'irruenza adolescenziale per guadagnare in maturità e consapevolezza. Confezionano intanto (a pari merito con i Sonic Youth) un'idea di experimental alt-rock da trasferire alle nuove generazioni ("Foreman's Dog" e "Guilford Fall" ne costituiscono brillanti esempi), strumentali da antologia ("Arpeggiator"), notturni narcotici e disturbati ("Pink Frosty"). 
Il quartetto sa essere selvaggio (vedi la doppietta "Five Corporations" / "Causitc Acrostic"), ma anche generare frangenti di deliziosa melodia - obliqua ma pur sempre melodia - in "Closed Captioned" o "No Surpise". Sono questi i Fugazi meno celebrati, ma si confermano una spanna oltre qualsiasi ipotetico "avversario": il tris iniziale da applausi "Break"/"Place Position"/Recap Modotti" varrebbe una carriera per qualsiasi altra band. End Hits ha un titolo che lascerebbe presagire ipotesi di futuro scioglimento, ma per il momento i Fugazi restano ancora attivi e vegeti.

Nel 1999 Instrument è una raccolta di rispettabilissime "rimanenze di magazzino" che fungono da corollario a un film documentario sulla band diretto da Jem Cohen. Il disco non contiene il materiale live visibile durante lo svolgimento della pellicola. E' il suggello a una storia importante come poche altre svoltesi negli anni 90. Molto più laterale rispetto agli uragani grunge, britpop, trip-hop o electro, ma fondamentale per disegnare lo scenario di riferimento a seguire.

The Argument e la lunga pausa

Il nuovo millennio dei Fugazi si apre con The Argument (2001), lavoro che nuovamente prende le distanze da tutta la produzione precedente, attraverso il quale il quartetto dimostra di avere ancora la forza di scrivere canzoni impressionanti del calibro di "Full Disclosure" ed "Epic Problem". Si apre con un micro-intro in odore di GY!BE - anche se dei canadesi figurano giusto gli archi e qualche sparuto rumore di fondo - cui fa seguito l'ascendente riff di "Cashout". Il distacco dalla forma fugaziana classica è netto e inevitabile: voce melodiosa e scarsi intrecci ritmici che nulla hanno a che vedere con gli arabeschi evoluti del passato.
Gli intrecci chitarristici e vocali si fanno puliti e rilassati in "Life And Limb", dal ritmo quasi surf-punk, che segna il solco più profondo con i trascorsi della band. Pulizia e ordine tornano anche nella successiva "Kill", quasi un outtake depurata dell'epoca "Steady Diet". L'ingresso del secondo batterista Jerry Busher e le esplosioni soniche chitarra/voce generano nuovi incastri in "Ex-Spectator", e sulla medesima linea emotiva si colloca la title track, manifesto dello stato dell'arte fugaziana: stop and go senza distorsione, canto melodico e ironia amara. Per alcuni un disco complessivamente deludente, per altri si registra giusto un po' di confusione, è certo che il meglio i Fugazi lo hanno già dato.

Ancor più certo - ma lo si comprenderà meglio con gli anni a venire - è che The Argument rappresenta l'ultimo lavoro discografico marchiato col nome Fugazi. Il gruppo non è stato mai ufficialmente sciolto, ma di fatto dal 2002 è formalmente in pausa, interrotto soltanto a fine 2014 dalla pubblicazione - per la gioia dei maniaci competisti - di First Demo, contenente alcune registrazioni che vennero fissate a gennaio del 1988 e distribuite all'epoca soltanto su cassetta durante gli infuocati live set di quegli anni. In quel periodo i Fugazi non avevano ancora inciso nulla ed avevano alle spalle appena una decina di concerti. Le registrazioni di questi demo avvennero presso gli Inner Ear Studios, con in cabina di regia Don Zientara, poi collaboratore del gruppo per lungo tempo. Le undici tracce incluse sono versioni ancora non rifinitissime (ma tutt’altro che embrionali) di brani che finiranno poi nelle prime pubblicazioni ufficiali dei Fugazi: gli Ep “Fugazi” (1988) e “Margin Walker” (1989), poi riuniti in “13 Songs” (1989), e il primo vero full-lengthRepeater” (1990).
Le uniche incisioni che rimarranno più o meno nascoste saranno “Furniture” (edita nell’omonimo Ep soltanto nel 2001), “The Word”, “In Defense Of Human” (entrambe presenti in successive compilation targate Dischord), e l’assolutamente inedita “Turn Off Your Guns”. Per il resto questa selezione ci permette di scoprire il percorso formativo di pezzi quali “Waiting Room”, “Bad Mouth” (che finirono di lì a poco nel primo Ep) e “Merchandise” (poi inserita in “Repeater”), veri e propri inni dei primi Fugazi. Il trittico formato da “Song#1”, “Joe#1” e “Break-In” (l’unico pezzo qui firmato da Picciotto) arricchirà invece la riedizione di “Repeater”. L’attitudine della band è già chiarissima, il Fugazi-sound è iper definito, la rabbia incendiaria sprizza da ogni singolo solco, le visioni hardcore diventano post-tutto, miscelate con influenze dub, hip-hop e con più di qualche riff assassino a comporre un crossover originale e devastante. Furono i primi catartici proclami che segnalarono al mondo un gruppo che farà dell’integrità il proprio status symbol per gli anni a venire, sino a quel “The Argument” che nel 2001 sancirà la fine della storia. Storia che vede nella pubblicazione di questi First Demo un imperdibile prequel per appassionati e non.

L'ininterrotta pausa è stata motivata dalla necessità di dedicarsi alle rispettive famiglie e ai progetti solisti. Voci di una possibile reunion si rincorrono da anni, ma sono sempre state smentite, così come la band ha sempre rifiutato di partecipare a numerosi festival, nonostante abbia ricevuto proposte economiche decisamente allettanti. I membri dei Fugazi si incontrano comunque di tanto in tanto per suonare assieme, in forma privata, segno che i rapporti interni si sono conservati integri.

A inizio 2018 Lally e Canty annunciano la nascita dei Messthetics, trio strumentale che vede la storica sezione ritmica condividere onori e oneri con il chitarrista jazz-rock Anthony Pirog (già con New Electric e Skysaw): era dal 2002 che i due non apparivano in una stessa incisione. Nel marzo dello stesso anno danno alle stampe per la solita Dischord l'omonimo Messthetics, centrato su sonorità jazzcore, math e post-metal e forse eccessivamente appesantito dai funambolici virtuosismi di Pirog. Va meglio nel successivo tour, con tanta energia a riscattare quel filo di accademismo indigesto, testimoniando l'inesausta voglia di musica dei due formidabili strumentisti. I tre ci prendono gusto e l'anno successivo hanno già pronto un nuovo album, Anthropocosmic Nest, veleggiante in agitate acque hard-fusion.

Due anni più tardi, a giugno del 2020, ecco un altro lavoro che vede impegnati assieme due ex Fugazi. Questa volta a riunirsi sono MacKaye e Lally, che assieme a Amy Farina (moglie di MacKaye e al suo fianco già nell'esperienza Evens) formano i Coriky, pubbliando l'album omonimo. Gli elementi portanti del sound di Coriky non si discostano troppo dalla consolidata tradizione della scena di Washingrton D.C., ma la presenza vocale di Amy consente interessanti discontinuità sulle parti cantate, non soltanto nei cori, ma anche prendendo il centro della scena in “Say Yes” (un trionfo di funk e chitarre) e nel mood grintoso à la Sleater-Kinney di “Too Many Husbands” e “Jack Says”. 
L'approccio è meno intransigente rispetto a quello che rese immortali i Fugazi, ma i colpi di scena si susseguono senza discontinuità, con tracce che si consumano in meno di due minuti (“Bqm”), digressioni noise (“Shedileebop”) e frequentissimi cambi di dinamica (“Inauguration Day”, praticamente tre canzoni sintetizzate in una soltanto, il closing furioso dell’iniziale “Clean Kill”). Il trio sa anche giocare di fino, sviluppando una “Have A Cup Of Tea” partendo dal basso pulsante di Lally, oppure abbandonandosi all’atmosferico epilogo, quasi sussurrato, affidato a “Woulda Coulda”.

Contributi di Ossydiana Speri (Messthetics)

Si ringrazia Tommaso Franci, autore della precedente monografia dei Fugazi, completamente revisionata ad agosto 2018

Fugazi

Discografia

FUGAZI
Fugazi (Ep, Dischord, 1988)

7,5

Margin Walker (Ep, Dischord, 1989)7,5
13 Songs (Dischord, 1989)7,5
3 Songs (Ep, Dischord, 1989)

6,5

Repeater + 3 Songs (Dischord, 1990)

9

Steady Diet Of Nothing (Dischord, 1991)

8

In On The Kill Taker (Dischord, 1993)

8

Red Medicine (Dischord, 1995)

7

End Hits (Dischord, 1998)7
Instrument (Dischord, 1999)7
The Argument (Dischord, 2001)7
First Demo (Dischord, 2014)6,5
MESSTHETICS
Messthetics (Dischord, 2018)6,5
Anthropocosmic Nest (Dischord, 2019)5.5
CORIKY
Coriky (Dischord, 2018)7
Pietra miliare
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