Machine Head

Machine Head

Gli alfieri del groove-metal

I Machine Head sono uno dei principali interpreti del groove-metal, superandone gli standard con alcuni dischi particolarmente feroci, oscuri e tematicamente tesi. Tra alti e bassi, il gruppo si è consolidato come una delle formazioni di riferimento del settore e ha anche compiuto incursioni (non sempre apprezzate) nel nu-metal e nel metalcore.

di Alessandro Mattedi

I 90's in campo metal sono stati gli anni del metal alternativo e dell'esplosione di gruppi statunitensi nella cosiddetta "New Wave Of American Heavy Metal". Con questi termini non sono da intendersi dei generi precisi di riferimento, bensì una scena vasta comprensiva di diversi stili nati in questi anni, spesso rimescolati tra di loro, come groove-metal o nu-metal.
Il groove in particolare nasce come derivazione del thrash-metal, rispetto al quale i brani vengono suonati in midtempo, con maggiore enfasi sui ritmi cadenzati, sui cambi di tempo irregolari e sull'accordatura ribassata. Sono generalmente considerati fondatori dello stile soprattutto gli statunitensi Pantera, con l'album "Cowboys From Hell" del 1990, ma rapidamente a loro si aggiunsero altri gruppi, come i Biohazard o, dal Brasile, i Sepultura. Gli anni in cui il groove-metal si plasma e consolida, al tempo stesso gettando una delle basi sonore da cui trarrà ispirazione subito dopo il nu-metal, sono grosso modo quelli che vanno dal 1990 al 1995: in quelli successivi si assisterà soprattutto allo sfruttamento commerciale del genere, tra derivazioni mediocri, autoplagi e accumulo di cliché stilistici. Tant'è che tra molti cultori di metal più tradizionale, soprattutto tra i thrasher di vecchia scuola, il groove-metal gode di fama diciamo screditata. Addirittura molti gruppi groove rifiutano l'etichetta proprio per non essere associati alla connotazione negativa che questo stile ha assunto rispetto al thrash-metal. Nonostante ciò, il genere ha dato vita anche a diversi gruppi validi, alcuni dei quali divenuti molto influenti in ambito metal.

I Machine Head sono stati un po' gli ultimi arrivati durante la prima ondata di groove-metal e sono riusciti a esordire solo dopo l'esordio di altre band del filone, ma sono rapidamente divenuti uno dei principali punti di riferimento nel genere in virtù della qualità delle loro opere iniziali - divenute fonte di ispirazione per numerose formazioni di metal alternativo ed estremo - e della particolare personalizzazione del loro stile, o meglio di quello del leader e fondatore Robb Flynn, che riuscirà a proporre una formula rinnovata del groove-metal in un momento in cui sembrava avere già detto tutto. Certo, anche i Machine Head hanno attraversato una fase di deriva commerciale, esponendosi alle critiche di parte del pubblico e della stampa specializzata, ma hanno poi saputo riprendersi, realizzando opere di discreto valore. Vediamo con ordine.

Robert Conrad "Robb" Flynn, all'anagrafe Lawrence Matthew Cardine, è la mente dietro ai Machine Head, che fonda nel 1991 nella Bay Area (patria del thrash) assieme al bassista Adam Duce, dopo un breve periodo come chitarrista dei gruppi thrash Forbidden e Vio-Lence. Dopo avere reclutato Logan Mader come chitarrista solista e Tony Costanza come batterista, il gruppo registra una demo con mezzi di fortuna, che però attira l'attenzione della Roadrunner. Firmato un contratto, i Machine Head entrano in studio di registrazione e, nonostante la dipartita di Costanza a metà dell'opera (rimpiazzato da Chris Kontos), realizzano Burn My Eyes. Prodotto sotto l'egida di Colin Richardson (che assieme al collega Andy Sneap avrebbe definito molte coordinate del sound metal del nuovo millennio), è un album certamente sulla scia dei Pantera, forte ispirazione dichiarata per il gruppo non solo nel riffing trascinante e "groovy", ma anche nelle linee vocali di Flynn che spesso citano il canto urlato di Phil Anselmo per poi superarlo quanto a efferatezza seguendo come esempio il percorso tracciato da Burton C. Bell dei Fear Factory. Ma i Machine Head introducono diverse innovazioni, in primis un'attitudine molto più estrema, figlia sia dell'hardcore-punk quanto del thrash esplosivo degli Slayer e degli Exodus, dopodiché le atmosfere si fanno cupissime e terrificanti, tanto a livello sonoro quanto a livello tematico, e in ciò si rinviene anche l'influenza sempre dei primi Fear Factory.
I riff sono micidiali e taglientissimi: trovano una quadratura in cui i rallentamenti, i breakdown e i tempi sincopati del groove-metal esaltano le successive esplosioni distorte delle chitarre. La sezione ritmica è al cardiopalmo, grazie al granitico lavoro di Kontos, che martella le pelli con violenza e precisione chirurgica nonostante i problemi avuti in fase di produzione.
I testi si avvicinano a quelli di formazioni contemporanee in qualche modo affini, come Sepultura o Fear Factory, quanto a critica sociale; Flynn esprime la forte tensione civile che circolava negli Stati Uniti in quegli anni (espliciti i riferimenti alle rivolte di Los Angeles del 1992 e all'assedio di Waco del 1993) e la esaspera con le sue urla feroci.

Burn My Eyes ottiene un grande successo di critica e di pubblico, vendendo subito oltre 400.000 copie, miglior debutto per la label fino a quel momento. È un lavoro seminale che influenzerà anche solo in piccole dosi un'intera generazione di gruppi anche diversi tra di loro e pure qualcuno già sulle scene, citiamo fra i tanti Nevermore, Slipknot, Soulfly, Avenged Sevenfold, Killswitch Engage, Mnemic, Meshuggah, Gojira, Trivium, Lamb Of God, Byzantine... persino i Metallica avrebbero in seguito dichiaratamente preso ispirazione dai Machine Head (ma con risultati qualitativamente inferiori).

Successivamente l'ottimo Kontos lascia il gruppo per entrare nei Testament, venendo rimpiazzato da Dave McClain. I Machine Head sperimentano un periodo di lavoro molto probante e riescono a riunirsi per scrivere il loro secondo album, nuovamente prodotto da Richardson. Nel 1997 esce così The More Things Change... ed è un disco ancora più oscuro, in parte come effetto dell'influenza della violenza psicologica dell'omonimo capolavoro di debutto dei Korn, che era uscito contemporaneamente all'esordio dei Machine Head. Sfortunatamente ciò non viene adeguatamente sfruttato nei testi, che sembrano perdere d'ispirazione in certi frangenti rivelandosi più che altro sfoghi mal ragionati. Se i testi deludono in parte, dall'altro lato il songwriting si fa anche più tecnicistico e ostico, tanto che inizialmente la reazione del pubblico è un po' freddina rispetto al debutto.
Essenzialmente, se Burn My Eyes era un tripudio di emozioni furibonde messe in musica, The More Things Change... tenta di "domare" questa efferatezza con composizioni più complesse, maggiore cura negli arrangiamenti e soprattutto nella sezione ritmica, con le linee di basso che si fanno più importanti e un maggiore uso di break nel riffing. Le urla di Flynn nel frattempo, grazie anche all'ispirazione data dal versatile Bell dei Fear Factory, si sono fatte più personali, trovando definitivamente una propria dimensione slegata dai Pantera e aprendosi anche a intermezzi più melodici e meditati.

Dopo l'uscita del disco, Logan Mader lascia il gruppo e viene rimpiazzato da Ahrue Luster.

Nel 1999 esce l'anomalo The Burning Red. Anomalo, perché il gruppo vira facendosi contaminare in maniera significativa dal nu-metal, che stava in quel momento vivendo la sua maggiore diffusione. Flynn, in particolare, è ormai totalmente folgorato dalle tematiche e dall'estetica che gruppi come i Korn avevano ormai popolarizzato, rivedendo nella travagliata infanzia di Jonathan Davis i propri disagi. La stessa immagine del gruppo cambia come se all'improvviso i membri fossero stati rimpiazzati tutti con degli imitatori di molti gruppi nu. Le influenze più forti per il disco sono comunque quelle di Slipknot (nu-metal estremo), Limp Bizkit (tra nu-metal e crossover) ma anche dei Biohazard, maestri groove-metal che sperimentarono innesti rap. La produzione è affidata a Ross Robinson, che ha "creato" il particolare sound cupo e ruvido del nu-metal, il che mostra l'intento di voler suonare proprio come quei gruppi.
È un disco tutto sommato accessibile e interessante, fondato su rabbia e melodia, e introduce nel bagagliaio del gruppo soluzioni inedite per i californiani fino a quel momento, incluse persino alcune parti rappate che paiono modellate sui Limp Bizkit. Diverse canzoni riescono anche a risultare abbastanza coinvolgenti. Il problema, che lo pone su di un livello di spontaneità inferiore a quanto di simile fatto nel medesimo periodo da gruppi pur differenti ma affini come Fear Factory ("Obsolete") o Sepultura ("Roots") e che in ultima istanza limita il disco a un risultato discreto anziché eccellente, è che emergono anche ripetitività e discontinuità. Queste fanno suonare il tutto un po' artificioso, come un'operazione pre-impostata a tavolino per inserirsi nella scia di altre band, piuttosto che come un consapevole intento di assorbire e metabolizzare il nuovo stile.
"Five" racconta un abuso infantile subito da Flynn a 5 anni, ma non raggiunge il pathos e il dramma interiore dell'archetipo "Daddy" dei Korn. La band alterna riff se non interi brani che sembrano imitazioni palesi dei giovani Limp Bizkit (o dei più stagionati Biohazard) ad altri che suonano molto più personali, soprattutto nei momenti più vicini al groove-metal. È come se il gruppo non si trovasse del tutto a suo agio e fosse forzato a seguire determinate coordinate, senza potersi esprimere davvero liberamente se non occasionalmente, facendo emergere la discontinuità citata. Contemporaneamente Robb Flynn a volte sembra ricalcare le linee vocali di un Corey Taylor o un Jonathan Davis (si noti il crooning in "Silver"), per poi tirare fuori il suo repertorio più genuino in maniera poco armonica.
L'unica eccezione a questa attitudine ondivaga è data dal nuovo ingresso Ahrue Luster, che invece digerisce appieno lo stile, purtroppo senza trovarsi in perfetta sintonia col resto del gruppo. Va però sottolineato che diverse parti più rap-metal trovano maggiori punti di contatto proprio con i Biohazard che con i trend maggiormente in voga nel mainstream della fine del decennio, a testimoniare il tentativo sincero di fondere epoche diverse in quei momenti. È un peccato che l'equilibrio del disco non ne giovi appieno, perché la strada intrapresa ha molto da dire, ma Flynn e soci fra le righe non sembrano convinti del sentiero. Altre band stanno sperimentando in questi anni il punto di contatto tra groove e nu riuscendo a mostrare personalità (ci sentiamo di citare i Soulfly, usciti fuori da una costola dei Sepultura) e tutto sommato spunti interessanti in The Burning Red, a prescindere, ve ne sono. C'è anche una discreta cover dei Police, "Message In A Bottle".
Il pubblico metal ovviamente reagisce molto negativamente e accusa i Machine Head di essersi svenduti. Apprezzeranno molto, invece, i fan del nu-metal, trasformando il disco nel più grande successo commerciale del gruppo. 

La formula viene approfondita nel 2001 con Supercharger, ma il risultato è inferiore alle aspettative e non all'altezza del suo, seppur imperfetto, buon predecessore. Il disco è più equilibrato e compatto, ma per contro c'è meno varietà e maggior conformismo. Per questo risulta anche meno personale, tremendamente derivativo e stereotipato. A complicare le cose, per i canoni del nu-metal più mainstream suona vecchio di 2-3 anni. La produzione affidata a Johnny K (3 Doors Down, Disturbed) lascia alquanto a desiderare: i bassi di Duce suonano appiattiti e sprecati, la batteria di McClain semplificata e ovattata, le chitarre prive di mordente tanto nel riffing quanto nelle distorsioni. Le linee vocali di Flynn al contempo si fanno molto più piatte e i testi quasi parodie post-adolescenziali del nu-metal.
Sarà l'album meno venduto del gruppo a quel momento e verrà stroncato più o meno ovunque, persino da gran parte del pubblico numetallaro che lo avverte come noioso e prevedibile. Lo stesso fenomeno del nu-metal aveva raggiunto il suo picco commerciale, prima di cedere il passo ad altri filoni come il metalcore melodico.

Dopo il flop di questo disco, Ahrue Luster lascia il ruolo di chitarrista per divergenze artistiche ed entra nel gruppo latin-nu-metal Ill Niño, cedendo il suo posto a Phil Demmel (già ex-collega di Flynn nei Vio-Lence) che diventerà fisso.
Il gruppo rischia però di sciogliersi per problemi con la label, che taglia i fondi dopo l'insuccesso commerciale di Supercharger. Influisce anche il video di "Crashing Around You", censurato da Mtv perché mostra edifici in fiamme crollare, scelta non molto felice in un periodo delicato come quello successivo agli attentati dell'11 settembre.
Il disco dal vivo Hellalive viene pubblicato unicamente per adempiere agli obblighi contrattuali. Flynn si guarda in giro cercando nuove opportunità e autoproduce il nuovo lavoro, ma alla fine si trova l'accordo con la Roadrunner tramite un nuovo contratto che garantisce ai Machine Head maggiore libertà espressiva e il totale controllo della loro musica.

Il successivo Through The Ashes Of Empires esce nel dicembre 2003 e, in pratica, rinnega gli ultimi due dischi, eccetto che per, mutatis mutandis, una relativa maggiore propensione alla melodia soprattutto per alcuni ritornelli in voce pulita. Stilisticamente si riparte da dove The More Things Change aveva lasciato il discorso. Della produzione si occupa lo stesso Flynn, che cerca un suono particolarmente nitido, che esalti distorsioni e sezione ritmica. Il risultato è un groove-thrash potentissimo, granitico, incalzante e un pizzico volutamente di maniera, ma tagliente come pochi. Si recuperano la violenza dell'esordio, la tecnica e l'oscurità del secondo disco. Bandiera dell'album è l'opener "Imperium", che mette in chiaro il cambiamento, attraverso pesanti riff thrash, stacchi groove e una miscela di refrain e breakdown che si ricollegano al metalcore anni 90.
Flynn si trova nuovamente a suo agio, con linee vocali e testi molto più ispirati: l'impetuoso cantante ha nel frattempo tramutato il suo stile di canto urlato in un trademark facilmente riconoscibile. Il tutto viene mescolato in brani esplosivi e martellanti, che vanno a costituire una delle più trascinanti espressioni di come il thrash-metal si sia evoluto nel nuovo millennio. Un disco devastante e micidiale, potente e violento ma intriso di melodia, a modo suo "epico" ma anche oscuro, che ottiene un discreto successo (il video di "Imperium" viene mandato in rotazione su Mtv).
Tutto ciò però non basta a risollevare le sorti del groove-metal, che al di là dei Machine Head e di pochi altri interpreti (come di recente i Byzantine), viene funestato dallo scioglimento dei Pantera nel 2003 e col nuovo millennio non gode di particolare forma. Il mercato metal è più orientato, ora che il nu-metal sta implodendo, verso la nuova esplosione del metalcore melodico, che infatti inizia pure a influenzare gli stessi Machine Head.

Nel 2007 esce The Blackening, che espande i tecnicismi e il lato più virtuoso del gruppo, al punto da dilatare la lunghezza delle canzoni a scapito dell'immediatezza, senza rinunciare a una violenza connaturata fin nel profondo all'anima del gruppo, violenza che diventa anzi ancora più enfatizzata. Il gruppo aggiorna lo stile di base del precedente disco puntando a complesse composizioni che vogliono avvicinarsi al technical-thrash e al progressive. Il tutto suonato perfettamente, con una produzione imponente ma anche volutamente più abrasiva, atmosfere particolarmente oscure e testi profondi. La band, però, si lascia andare un po' troppo spesso a interpretazioni melodrammatiche e ridondanti, che, unite alla lunghezza del disco (1 ora per 8 brani), possono rendere l'ascolto un po' pesante, non per tutti.
Resta, in ogni caso, un notevole disco di progressive-groove-metal al cardiopalmo, tinto dai colori del metalcore più duro (Lamb Of God in particolare). Il suono, infine, è particolarmente pulito, nitido e potente grazie al ritorno di Colin Richardson, che assieme ad altri produttori come Andy Sneap o Fredrik Nordström sta definendo il sound metal del nuovo millennio. Ma la soddisfazione maggiore per il gruppo arriva dai maestri Metallica, che dichiarano di essersi ispirati proprio a quest'album per comporre il molto meno riuscito "Death Magnetic". Il successo verrà rinnovato nei lavori successivi, a testimonianza di un quartetto in stato di grazia. 


La summa del percorso dei Machine Head a questo punto giunge nel 2011 con Unto The Locust. È un disco che non aggiunge nulla di nuovo allo stile del gruppo, ma interpreta con certosino mestiere gli ingredienti fin qui utilizzati: potenza, melodia, tecnica, violenza, drammaticità, esistenzialismo, epicità. Rispetto a The Blackening c'è un approccio più diretto, che non impedisce di scrivere brani relativamente lunghi. Il risultato, però, è meno fresco, o per lo meno più limitato. Alcuni brani sono forse un po' troppo monotoni e prevedibili nella seconda metà del disco. Il gruppo ha trovato una formula vincente, confezionando un eccellente esercizio di stile, che permette di scrivere dischi anche eccellenti, ma non capolavori che divengano pietre miliari nella storia del metal.
Purtroppo, il bassista e co-fondatore Adam Duce lascia il gruppo per divergenze creative alla fine del lavoro, lasciando tutto nelle mani del solo Flynn.

Assunto Jared MacEachern al basso, nel 2014 viene dato alla luce Bloodstone & Diamonds, che stilisticamente continua sulla falsariga dei precedenti, espandendo il songwriting in una direzione più oscura e corposa. Si tratta di un lavoro di forte espressività, potenza e tecnica, anche se nuovamente un po' prolisso, e che non disdegna di assumere toni enfatici (ad esempio, "In Comes The Flood", con il suo ritornello che urla a squarciagola "wake up America") e che potrebbero suonare pomposi a un primo ascolto. I testi nel frattempo si sono fatti anche più desolati e politicizzati, maggiormente espliciti nel riflettere il contesto socioculturale degli anni 10 in maniera analoga a quanto molti classici del thrash fecero negli anni 80. L'espressività canora di Flynn è ai massimi livelli e raggiunge picchi di pathos difficilmente eguagliati nel corso della carriera del gruppo. È lodevole l'impianto ritmico, grazie soprattutto alla new entry Jared MacEachern, che sostituisce degnamente Duce al basso. Bloodstone & Diamonds è nuovamente un esercizio di stile, ma solido e ispirato.

L'ultimo disco esce nel 2018 e si intitola Catharsis. Si registra una semplificazione dello stile consolidato negli ultimi dischi, accompagnato da un recupero di alcune sonorità del discusso periodo 1999-2001. La struttura dei pezzi e il riffing mettono da parte i suoni micidiali e i tecnicismi tipici del gruppo, per assumere tratti più sincopati e maggiori aperture per power chords melodici. Al contempo vengono mantenute alcune delle atmosfere solenni degli ultimi dischi per tentare di realizzare una fusione ambiziosa. Il risultato è un groove-metal che vuole implementare in maniera pervasiva nu-metal e hardcore-punk, ma suona datato.
È un lavoro che senz'altro dividerà il pubblico, non solo per il cambiamento ma anche perché si rivela discontinuo, alternando pezzi orecchiabili e trascinanti ad altri molto più scialbi e poveri di idee. Il risultato alla fine non è né carne né pesce e suona anonimo rispetto a varie formazioni degli ultimi due decenni che hanno preso spunto anche dagli stessi Machine Head (solo pochi mesi prima è uscito "The Chicada Tree" dei Byzantine, molto più a fuoco). Una chiave di lettura per questo disco, probabilmente, va ricercata guardando a Phil Anselmo dei Pantera. Nel 2016, infatti, Anselmo si è reso protagonista di un infelice episodio razzista che Flynn ha fortemente criticato, ne è scaturito un litigio e sono volate anche parole grosse, con Anselmo che ha bollato come "musica da negri" il periodo nu-metallaro dei Machine Head. Amareggiato, lo stesso Flynn ha dichiarato, in un video messaggio di denuncia dell'accaduto, che avrebbe tagliato ogni ponte con i Pantera, sentendosene tradito, e non avrebbe più suonato una loro canzone. Immaginiamo che questo Catharsis, pur con i suoi difetti, sia un modo per esprimere una rottura impulsiva.

Il 28 settembre 2018 Flynn rilascia un video in cui rivela la dipartita di Demmel e McClain e annuncia che che la formazione avrebbe comunque concluso il tour, che sarebbe stato d'addio. L'annuncio un po' ambiguo viene interpretato come quello dello scioglimento del gruppo e viene meccanicamente ripetuto da tutta la stampa di settore, ma Flynn precisa: si riferiva al "tour d'addio di questa lineup, di questa era dei Machine Head".


Machine Head

Discografia

Burn My Eyes(Roadrunner Records, 1994)

The More Things Change...(Roadrunner Records, 1997)
The Burning Red(Roadrunner Records, 1999)
Supercharger(Roadrunner Records, 2001)

Hellalive (live, Roadrunner Records, 2003)
Through The Ashes Of Empires(Roadrunner Records, 2003)

The Blackening(Roadrunner Records, 2007)

Unto The Locust(Roadrunner Records, 2011)
Bloodstone & Diamonds(Nuclear Blast, 2014)
Catharsis(Nuclear Blast, 2018)
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