Pantera

Pantera

Cowboy dall'inferno

Nati come seguaci del glam-metal, questi texani hanno indicato la via per tanto metal di fine millennio dopo una trasformazione sensazionale. La loro carriera, poi, si è chiusa con il più tragico degli epiloghi. Ecco il racconto della prima e seconda vita dei cowboy dall'inferno

di Antonio Silvestri

È un ipnotico riff di chitarra elettrica, distorto e deformato, a presentare il brano, e per dieci secondi è il solo protagonista; arriva il contrappunto di una seconda chitarra elettrica, una versione borchiata del vecchio call-and-response, ad aumentare l'aspettativa dei timpani: cosa sta per succedere? Dopo neanche venti secondi ecco che prende forma un groove spaccasassi, che si sviluppa poi attraverso palm-muting e fendenti stoppati, mentre una voce licantropa sputa il testo ("You see us coming and you all together run for cover/ We're taking over this town"), strappando verso grida che ancora riflettono il primigenio thrash-metal, quello di chiara derivazione hardcore-punk. Quasi si può sentire l'odore acre della benzina versata, una pozza di carburante che si estende in attesa di una scintilla che faccia divampare un incendio assai simile a un'esplosione: arriva la miccia, un assolo tarantolato di chitarra elettrica, ascendente ed esagerato, che dalla polvere e il sudore porta inaspettatamente a uno scorcio del cielo stellato; è una visione fugace, prima di tornare a combattere con la gravità assassina di un groove terremotante, una gabbia ritmica in cui la voce è un animale in cattività e nulla sfugge alla regolarità ciclica dei tonfi della batteria, percossa con furia omicida ma anche con essenziale precisione. Rimane un'ultima minaccia, urlata nel microfono prima della schermaglia finale: "Step aside for the Cowboys from Hell".

È il 24 luglio 1990, il giorno in cui i texani Pantera pubblicano il loro Cowboys From Hell, e quella sopra descritta è la prima canzone delle dodici che formano l'album. Per molti fan è il vero esordio della band, e i quattro minuti di groove-metal di cui sopra sono quindi la dichiarazione di guerra della formazione al mondo del metal. Persino la band, in alcune interviste, dichiara che i quattro album precedenti, il primo risalente addirittura al 1983, siano da considerarsi altro rispetto a questo quinto lavoro in studio. Certamente la trasformazione è fra le più incredibili e significative che il metal ricordi, più una rifondazione che una semplice svolta, tanto da aver attirato l’ira dei colleghi Exhorder, che per lungo tempo hanno accusato ingiustamente i texani di aver copiato il loro stile. Prima di ritornare alle cavalcate spaccaossa di Cowboys From Hell, che fece conoscere i Pantera a tutti i metallari del mondo, segnando indelebilmente certa musica degli anni Novanta, scopriamo da dove nasce la band, quel settennato tanto bistrattato da essere stato praticamente dimenticato da tutti.

I Pantera prima dei Pantera: dalla fondazione alla mascella di Mark Ross

La preistoria parla di una formazione texana che fatica a trovare il suo nome: prima Gemini, quindi Eternity, poi, finalmente, il più efficace Pantera. A fondarla sono Vinnie Paul Abbott, alla batteria, e Darrell “Diamond Darrell” Abbott, alla chitarra solista, a cui si aggiunge Terry Glaze, chitarra ritmica. Manca un bassista, così inizia a suonare con loro Tommy D. Bradford, e manca anche un cantante, impersonato brevemente da Donny Hart. Nel 1982, con l’abbandono di Hart e Glaze che diventa cantante lasciando la chitarra al solo Darrell, e con l’arrivo di Rex Brown come bassista ufficiale, la formazione può dirsi stabile.
I giovani si fanno conoscere negli Stati meridionali quali il nativo Texas, l’Oklahoma e la Louisiana. Supportano alcune formazioni come i cristianissimi Stryper e altre formazioni glam-metal quali Dokken e Quiet Riot.

Quando riescono a pubblicare il loro primo album, i giovani e inesperti Pantera sembrano volersi inserire nel modo meno creativo nel filone glam-metal tanto in voga, e riempiono Metal Magic (1983) di ammiccamenti ai Kiss e Mötley Crüe, oltre ai classici dei Judas Priest. Tutto, dalla qualità della registrazione al kitsch estremo delle tastiere, passando per la pedestre copertina, dichiara l’immaturità della formazione. Un fatto banale, se si pensa che i due fratelli Darrell e Vinnie Abbott avevano, rispettivamente, 16 e 19 anni. Un ascolto più attento, comunque, rivela già il grande talento di Darrell, che illumina come può i blandi brani in scaletta con assoli più che dignitosi, che diventano incredibili se considerati alla luce dei dati anagrafici.
Pubblicato su una propria label, chiamata anch’essa Metal Magic, e prodotto dal padre Jerry Abbott, questo esordio non manca mai di stupire gli ascoltatori meno informati, rivelando una formazione che conserva pochissimi punti di contatto con quella, omonima, che diventerà celebre sette anni dopo.

Il secondo Projects In The Jungle (1984) registra un notevole miglioramento, con composizioni più dinamiche ma ancora chiaramente ispirate ai gruppi di grande successo del periodo, in particolare Def Leppard e Mötley Crüe. Alla generica banalità del tutto si contrappone, ancora una volta, il virtuosismo sempre più maturo di Diamond Darrell, messo in bella mostra su “Like Fire” e in generale nei numerosi assoli presenti nell’album, che stimolano confronti con guitar-hero di prima categoria come Eddie Van Halen e Randy Rhoads.

Uno dei punti di debolezza sembra invece l’ugola di Terry Glaze, molto legata al suono di inizio decennio, più Iron Maiden e Judas Priest che il nuovo, entusiasmante e potentissimo suono del thrash-metal che Metallica, Slayer, Anthrax e Megadeth avrebbero coniato e perfezionato in quel periodo. Anche il terzo I Am The Night (1985) conserva i limiti dei primi due album, segnando un miglioramento ancora una volta sensibile ma insufficiente, che relega questi primi Pantera a band minore del tardo glam-metal.

Poi, finalmente, qualcosa sembra cambiare. I fratelli Abbott rimangono affascinati dai fondamentali album dei Metallica e degli Slayer di quel periodo. In particolare è "Ride The Lightning" (1984) a conquistare Diamond Darrell, con le sue spinte verso un nuovo modo di intendere il thrash-metal, sempre più articolato e spettacolare. Terry Glaze non vorrebbe virare verso un sound più chitarristico, inoltre preferirebbe proseguire senza spingere sull'estremismo. Ne nasce una divergenza che porta all'allontanamento del cantante nel 1986, in un anno cruciale per tutto l'heavy-metal.

Subentra Philip Hansen Anselmo, 19 anni e con qualche esperienza con band di seconda categoria. Lo stile del nuovo cantante, decisamente più aggressivo, aiuta notevolmente la transizione dei Pantera verso un classico album di passaggio come Power Metal (1988), capace di porsi a metà fra thrash-metal e glam-metal.
Se ancora “Rock The World” e “Proud To Be Loud” parlano il linguaggio dei primi album, già il brano “Power Metal” fonde la scuola inglese con la velocità degli Anthrax e "Over And Out" ha molto più a che fare con i tedeschi Sodom che con i patinati Def Leppard. Non brillano ancora di originalità, e sembrano più inseguire che guidare, ma i tempi sono finalmente maturi perché il prossimo sia il lavoro della svolta.
Difficile, però, convincere un’etichetta a credere nei texani, così fra il 1988 e il 1989 la band si vede rispondere con un rifiuto da ben 28 label. La svolta arriva quando Mark Ross, in rappresentanza della Atco Records, vede i Pantera esibirsi e ne rimane folgorato, come riporterà lo stesso nelle note di copertina della riedizione per il ventennale di Cowboys From Hell:

Alla fine della prima canzone, la mia mascella era sul pavimento. La potenza sonora di tutto ciò - l'atteggiamento e la musicalità - mi ha sconvolto. Fondamentalmente, dovevi essere un idiota per non pensare che fossero fantastici. insomma, come puoi vedere questi ragazzi e non pensare, 'Porca troia!?'

La storia dei Pantera non sarà più la stessa. Fra i primi a rendersene conto c’è Dave Mustaine, che chiama Diamond Darrell nei Megadeth, pronto ad accettare solo se l’accordo avesse compreso anche il fratello Vinnie Paul: non se ne fa nulla, e una delle proverbiali sliding door del metal si chiude.

L’arrivo dei cowboys dall’inferno: il tanto atteso successo e i grandi concerti

A produrre arriva Terry Date, già al lavoro con gli Overkill, e nel frattempo i Pantera cambiano la loro immagine, diventando praticamente un’altra band. Dal glam-metal di un tempo, fatto di spandex e acconciature vistose, si allontaneranno il più possibile, preferendo riferimenti più veraci e assai meno patinati, tanto che non è raro trovare nella band una notevole vicinanza all’immaginario sudista, non senza una parte della sua retorica e delle sue bassezze: la polvere del deserto, i cowboys come eroi locali, gli alcolici e altre droghe, la vastità dello spazio statunitense in cui perdersi e ritrovarsi, la religione come valore che unisce e accomuna, la bandiera degli Stati Confederati e le disdicevoli accuse di simpatie per il suprematismo bianco. Non è un caso che anche il nomignolo “Diamond” Darrell si trasformerà entro il 1992 in “Dimebag”, a recidere ogni collegamento con i Kiss e con la loro “Black Diamond”.

Non è solamente un cambio d’immagine, ma anche una profonda trasformazione del sound, che insiste sulla potenza del groove e fa perno sui virtuosismi chitarristici sempre più spettacolari. Aggressivo, preciso e spesso capace di esplorare il midtempo senza inseguire l’ossessione per la velocità di tanti altri colleghi, questo thrash-metal brutto, sporco e cattivo si rivela fondamentale per la nascita del cosiddetto groove-metal e, indirettamente, concorre a indicare la via a molto del nuovo heavy-metal novantiano. D’altronde, i Pantera possono registrare questo Cowboys From Hell lavorando certosinamente e dando fondo a tutto quello che hanno imparato grazie alla ormai notevole esperienza accumulata. È proprio il bassista Rex Brown a ricordare le session di quel periodo su “Guitar World”:

Mentre scrivevamo le canzoni per 'Cowboys From Hell', ascoltavamo molti tipi diversi di musica, molti Metallica, Slayer, Mercyful Fate e Minor Threat, e questo ha cambiato il nostro sound. (…) Dato che non dovevamo più suonare sei spettacoli a notte, avevamo più tempo da passare nello studio [...] e siamo diventati dei perfezionisti totali. [...] Se qualcosa non andava, prendevamo una lama di rasoio e tagliavamo e univamo il nastro. Allora non avevamo Pro Tools. Ed è questo [processo] che ha creato il nostro sound distintivo, in cui la chitarra e il basso sono semplicemente perfetti. [...] Suonare con i Pantera allora era ancora meglio. Eravamo ottimi amici e la nostra chimica era innegabile. Stavamo tutti lavorando insieme a Terry Date, che ci piaceva molto [e] con cui abbiamo legato fin dall'inizio.

Ad aprire l'album c'è la title track di cui si scriveva all'inizio, un inno e insieme un manifesto, triplo concentrato di aggressività e potenza. A seguire un ponte fra thrash-metal e industrial-metal viene lanciato dalla frenetica "Primal Concrete Sledge", con quel suo balbettare che anticipa  qualcosa dei momenti rap-metal futuri. Ancora più spettacolare la mattanza di "Psycho Holiday", un brano articolato che mette in successione violenze di groove-metal inframezzato da vortici strumentali e distensioni più melodiche, con un curioso assolo fra blues e speed-metal. È più canonico il thrash-metal di "Heresy", che esplora il continuum fra i Judas Priest e i Metallica.
L’apice arriva con il brano più celebrato ed emozionante dell’intera discografia, “Cemetery Gates”: è una lunga power-ballad di sette minuti che servono a mettere in mostra le eccezionali doti vocali di Phil Anselmo, qui impegnato nel registro alto, e la splendida accoppiata con il chitarrismo spettacolare e poetico di Dimebag Darrell. Il lungo climax finale e l’alternarsi fra un classico rock semi-acustico e un heavy-metal stentoreo ma composto, unito al testo romantico e tragico ne fanno un brano di grande impatto emotivo, al quale si perdona anche una certa banalità del tema ritrito della morte dell’amata e del tormento amoroso.
Non è un caso che proprio questo brano sarà scelto per commemorare la tragica morte di Dimebag Darrell, di cui parleremo meglio in seguito, durante il “Gigantour” organizzato da Dave Mustaine nel 2005. Suonata per l’occasione dai Dream Theater, la commovente cover-tributo vede anche la partecipazione di Russell Allen dei Symphony X, di Burton C. Bell e dello stesso Dave Mustaine per l’assolo finale e rappresenta uno dei momenti più toccanti della storia del metal.
Quasi a compensare tutta la poesia di “Cemetery Gates”, i Pantera piazzano subito dopo “Domination”, un assalto di thrash-groove-metal spaccaossa che è soprattutto un’occasione per evidenziare il ruolo centrale del batterista Vinnie Paul Abbott, qui impegnato in un esercizio tecnicamente impegnativo ma comunque mosso da una furente energia, come ben evidenzia quell’urlo iconico a inizio brano (“First take, like a motherfucker”). Phil Anselmo ci mette un’altra prova vocale da posseduto e ovviamente Dimebag Darrell non perde l’occasione per un nuovo assolo stellare, ma a meritare attenzione è anche la lunga coda rallentata finale, un esercizio di potenza ancora oggi spaventoso.
Dopo una coppia di brani centrali tanto diversi quanto importanti, i texani ritornano in zona speed-metal (“Shattered”) e thrash-metal (“Clash With Reality”), prima di dialogare con l’industrial-metal in “Medicine Man”, più oscura e meccanica, e cesellare un nuovo complesso esercizio ritmico come “Message In Blood”.
Rimane da citare almeno la conclusiva “The Art Of Shredding”, che idealmente torna dove l’album è partito, nella potenza senza compromessi di un heavy-metal viscerale.

Primo album dei Pantera a comparire su una classifica Billboard, diventerà solo col tempo disco di platino in patria. Comparsi un po’ a sorpresa sul radar del metal che conta, i texani si trovano ad aprire concerti di giganti come Judas Priest, Metallica, Ac/Dc, Mötley Crüe e a dividere il palco con Exodus e Suicidal Tendencies.

Potenza e groove: gli anni della consacrazione definitiva

Dopo Cowboys From Hell è lecito capire se la formazione continuerà sul percorso intrapreso, o magari tenterà di coniugare il nuovo sound con un ancora maggiore successo di pubblico. Se, col senno di poi, l’album del 1990 ha segnato un decisivo cambio di passo nella carriera, è anche vero che è un successo che avvampa non troppo velocemente, bisognoso di conferme.

Per il sesto Vulgar Display Of Power (1992) ritorna a produrre Terry Date e i texani decidono di evitare il compromesso con il mainstream raggiunto dai Metallica con il cosiddetto “Black Album” (1991), spingendo al massimo sulla potenza. Con in mente l’obiettivo di registrare un lavoro che li consacrasse come nuovi alfieri dell’estremismo metal, evitano gli spunti più classici come il falsetto di Phil Anselmo, scelgono volumi ancora più assordanti e spingono verso un sound meccanico e brutale. A presentare il tutto, una copertina che mette subito le cose in chiaro: il primo piano del volto di un uomo a cui viene tirato un pugno in faccia. Sì, non sono mai stati dei maestri di eleganza.
Gli 11 brani sono una sfilata di efferatezze, che riducono la componente thrash-metal e istituzionalizzano il loro groove-metal. Anselmo abbandona il falsetto per abbracciare un urlo hardcore e occasionali ruggiti, come si ascolta nell’iniziale “Mouth Of War” e nella furiosa fiammata di “Fucking Hostile”, ma è ancora una volta il dialogo fra i fratelli Abbott a conferire l’enfasi ritmica tipica del loro repertorio nelle varie “A New Level”, “Rise”, “No Good”, “Regular People” e anche nella nuova ballad simile a “Cemetery Gates” intitolata “This Love”.
Chiude un brano meno aggressivo, “Hollow”, dalla lunga apertura semi-acustica e dalla seconda parte più tipica del loro stile.
Il singolo “Walk” è forse l’unica hit del groove-metal, o la cosa che più ci si avvicina: arriva al #35 della classifica inglese, sfiora la Billboard Hot 100.

Generalmente celebrato come il loro apice, Vulgar Display Of Power è soprattutto una conferma del talento della formazione, che qui affina la formula scegliendo la strada della potenza allo stato puro. Nel farlo, i Pantera gettano anche un ponte con l’enfasi ritmica dell’hip-hop, dando più di qualche spunto agli esperimenti crossover di fine millennio. Non ha in sé l’epica del riscatto di Cowboys From Hell, né la magia di essere un album di passaggio fra due decenni e due epoche tanto diverse dell’heavy-metal, ma rimane ancora oggi la loro opera più celebrata e ricordata, anche alla luce del doppio disco di platino ottenuto negli Stati Uniti e agli ottimi risultati commerciali in Australia, Canada e Regno Unito.

Per il loro settimo album, Far Beyond Driven (1994) optano per una discutibile copertina in cui un ano viene trapanato in primo piano, opportunamente cambiata con un più sobrio cranio in procinto di essere forato. È l'ultimo lavoro prima della crisi, interpersonale prima che musicale, della band. Phil Anselmo ha iniziato a soffrire di gravi dolori alla schiena, che combatte abusando di alcol ed eroina. Paradossalmente, il successo dell'album è una delle cause di questo declino nella tossicodipendenza, come affermato dal cantante in un’intervista alla Loyola University nel 2009:

Penso che fosse più o meno il momento in cui il disco ['Far Beyond Driven'] arrivò al numero uno. Ero piuttosto terrorizzato. Ero felice da morire; non fraintendermi, amico - ero tipo, 'Oh, mio Dio, sì!' A quel punto, ero appena tornato dal dottore - dopo aver fatto la mia seconda risonanza magnetica - e mi sono reso conto di avere due dischi andati. Ora, per poter essere questo Superman che i media avevano costruito, dovevo sedare quel dolore. Quindi ho iniziato con normali antidolorifici e rilassanti muscolari. Alla fine, percorri la scala degli antidolorifici, perché gli antidolorifici ti mentono; ingigantiranno quel dolore. E questo è tutto quello a cui pensi: il dolore e gli antidolorifici.

I Pantera balzano al numero uno di Billboard e Far Beyond Driven diventa il loro ultimo album in qualche modo compiuto, laddove in seguito ci saranno solo opere più confuse dalla gestazione travagliata.
È l'apoteosi della loro rabbia, con il divertimento di un tempo che è diventato un lontano ricordo. "Strength Beyond Strength" e "Slaughtered" sottolineano come certi Pantera siano affini al metal-core, simile per la sua ottundente intensità.
Se Anselmo è tormentato più che mai, appiattito in un machismo tossico fatto di toni minacciosi e ruggiti virili o grida strazianti, i fratelli Abbott continuano a intrecciare groove cadenzati e fragori metal con inesauribile dedizione, come dimostrano le varie "5 Minutes Alone", "Good Friends And A Bottle Of Pills" e "Shedding Skin".
Almeno "I'm Broken", una nuova "Walk", merita un posto nell'antologia dei loro brani migliori, un rap-metal corazzato con l'ennesimo assolo da virtuoso. Più difficile che la formazione riesca a dare seguito ai brani elaborati di un tempo, infatti "Hard Lines Sunken Cheeks" non ha abbastanza benzina per alimentare i suoi sette minuti. Arriva come un balsamo "Planet Caravan", cover dei Black Sabbath: una magia psichedelica che è misura dopo l'eccesso, poesia dopo il bombardamento.
L’album raggiunge il disco di platino in patria e in Canada, a certificare l’ottima risposta del pubblico, e “I’m Broken” porta i Pantera persino ai Grammy per una nomination come “Best metal performance” nel 1995.

La crisi e il declino: l’overdose di Anselmo e lo scioglimento

Il tour promozionale di
Far Beyond Driven porta a tensioni con i giornalisti di Kerrang!, poi Anselmo è accusato di aggressione a un membro della sicurezza e diventa sempre più instabile: infama tutto il rap tacciandolo di inneggiare all’omicidio dei bianchi, poi si impegna con il più importante dei tanti suoi progetti paralleli, i Down. Questa band raccoglie già dal 1991 anche Pepper Keenan dei Corrosion Of Conformity, i due Crowbar Todd Strange e Kirk Windstein nonché il batterista degli Eyehategod Jimmy Bower. Dopo quattro anni nel circuito underground, è l’esordio “NOLA” (1995, il titolo sta per New Orleans, Louisiana) a presentarli a un pubblico più vasto attraverso un possente ibrido di sludge-metal e stoner-metal, che recupera l’anima blues-rock attraverso riflessi sudisti. Grande divertimento per gli appassionati di certi suoni, ma niente di granché originale: più un spasso fra musicisti esperti che la ricerca di un nuovo modo di fare heavy-metal, come confermeranno anche “Down II: A Bustle In Your Hedgerow” (2002) e ancora “Down III: Over the Under”(2007), intervallati da lunghe pause e cambi di formazione.

Per l’ottavo The Great Southern Trendkill (1996), che venderà più di un milione di copie in patria, Phil Anselmo registra separato dagli altri e ne approfitta per gridare a profusione, spesso a volumi proibitivi. Ideale esasperazione dell’aspetto più aggressivo degli album precedenti, è un lavoro senza molti compromessi, che recupera anche una velocità folle (“The Great Southern Trendkill”) oltre a insistere sul groove-metal che hanno contribuito a coniare (soprattutto “War Nerve”).
Quando si fanno più emotivi, come in “10’s”, ne scaturisce un quadro desolante e depressivo, tormentato da terribili fantasmi della psiche, non troppo dissimili da quelli che infestano certi Alice In Chains. Quando sperimenta con l’elettronica, sembra soprattutto un espediente per allungare il brodo.
Che sia un album segnato dalla crisi interpersonale e privata della formazione è confermato dalle due “Suicide Note” poste al centro della scaletta, prima una ballata di dolore e quindi una mattanza groove-metal con accelerazioni folli ai limiti del grindcore.
A brillare su tutto c’è comunque la chitarra di Dimebag Darrell, inarrivabile nella lunga power-ballad “Floods”, dove consegna alla storia un assolo indimenticabile.

Il 13 luglio 1996 Anselmo va in overdose da eroina, rischiando la morte. Nel frattempo la formazione è diventata uno dei nomi più importanti di tutto l’heavy-metal dei Novanta, ed è il momento giusto per pubblicare Official Live: 101 Proof (1997), ottima testimonianza della potenza devastante della band sul palco. Nel frattempo arrivano le prime certificazioni di vendite milionarie e altre due nomination ai Grammy (per la prima parte di “Suicide Note” e la versione live di “Cemetery Gates”).
Protagonisti all’“Ozzfest” del 1997, con Anselmo distratto da numerosi progetti solisti, i Pantera ritornano in studio nel 1999 e l’anno successivo pubblicano il nono e ultimo album, Reinventing The Steel (2000).

Aperto da una “Hellbound” che cita “Cowboys From Hell”, non esattamente un’idea che guarda al futuro, l’ultimo lavoro in studio dei texani è privo di grandi sorprese. Ormai il groove-metal dei due singoli “Goddman Electric” o “Revolution Is My Name” (che frutta una nuova nomination ai Grammy) sono normale amministrazione, divertente esercizio per l’headbanging di ogni appassionato ma difficilmente migliori di uno dei loro classici. Che sia un lavoro da fine carriera lo conferma anche “I’ll Cast A Shadow”, apparentemente un’autocelebrazione della propria influenza sul genere e sul posto ottenuto nella storia del metal.
Sono, in effetti, gli ultimi sussulti prima dello scioglimento definitivo. Dopo altre importanti esibizioni live fra il 2000 e il 2001, arriva l’ultimo concerto in quel di Yokohama, Giappone.
Si progetta un decimo album, ma Anselmo si allontana per pubblicare con i già citati Down ma anche con i Superjoint Ritual. I fratelli Abbott capiscono che la lunga pausa è in realtà una fine definitiva per la formazione, la logica conclusione di una crisi lunga e dolorosa, così nel novembre 2003 sciolgono la band che hanno fondato oltre vent'anni prima. In una imbarazzante escalation, un sempre meno lucido Phil Anselmo afferma che Dimebag Darrell avrebbe meritato un bel pestaggio.

Il tragico epilogo: la notte al Columbus

I fratelli Abbott formano i Damageplan, destinati a pubblicare il solo esordio “New Found Power” (2004), un album groove-metal che non si discosta molto da quanto fatto dai Pantera. Più che per i meriti artistici, il nome Damageplan rimarrà negli annali del metal per un ben più tragico motivo: è a un loro concerto dell’8 dicembre 2004 a Columbus, in Ohio, che Nathan Gale sale sul palco per uccidere con dei colpi d’arma da fuoco Dimebag Darrell e altre tre persone, ferendone altre due, prima di essere ucciso a sua volta da un poliziotto. I motivi dell’azione rimangono ancora oggi sconosciuti. Dimebag Darrell verrà seppellito con una chitarra di Eddie Van Halen, in una bara a tema Kiss, nello sconcerto generale di ogni appassionato di musica metal.

È una fine terribile, che porta via a tutti i musicofili uno dei più grandi chitarristi heavy-metal di sempre, ad appena 38 anni. Il suo stile ha ripensato la chitarra heavy-metal per la fine del millennio, influenzando il sound di formazioni come Korn, Limp Bizkit, Hatebreed e Lamb Of God. Con la sua morte non esiste più la possibilità di raccontare i Pantera, nati e sviluppatisi attorno al legame artistico e familiare dei due fratelli Abbott. Durante un’intervista nel 2012 su una possibile reunion sotto lo storico nome, Vinnie Paul chiarisce lapidariamente la questione: sarebbe possibile solo se Dimebag Darrell fosse ancora vivo. Le speculazioni dei fan e delle riviste che si susseguono sono inconsistenti e forse esorcizzano il dolore di una morte ingiusta e prematura. La fine dei Pantera appare, se possibile, ancora più definitiva dopo che il 22 giugno 2018 muore, a 54 anni, anche Vinnie Paul. Ci restano solo le loro canzoni, per sempre.

Believe the word, I will unlock my door
And pass the cemetery gates

Pantera

Discografia

Metal Magic (Metal Magic, 1983)
Projects In The Jungle(Metal Magic, 1984)
I Am The Night (Metal Magic, 1985)
Power Metal (Metal Magic, 1988)
Cowboys From Hell (Atlantic, 1990)
Vulgar Display Of Power (East West, 1992)
Far Beyond Driven (East West, 1994)
The Great Southern Trendkill (East West, 1996)
Official Live: 101 Proof(live, East West, 1997)
Reinventing The Steel (East West, 2000)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Cowboys From Hell
(videoclip da Cowboys From Hell, 1990)

Domination
(videoclip da Cowboys From Hell, 1990)
Cemetery Gates
(videoclip da Cowboys From Hell, 1990)
Mouth For War
(videoclip da Vulgar Display Of Power, 1992)
Walk
(videoclip da Vulgar Display Of Power, 1992)
I'm Broken
(videoclip da Far Beyond Driven, 1994)