Screamers

Screamers

122 ore di paura

Pionieri del synthpunk, gli Screamers dell'istrionico Tomata du Plenty hanno terrorizzato la California con le loro performance multimediali, pur non approdando mai all'esordio sulla lunga distanza. Storia di un culto clandestino che non stenta a placarsi

di Ossydiana Speri

Do plenty people go for Tomata?
Yes, but he just goes for that special girl who says 'NO'
(X, "Adult Books", 1978)

Poche storie del rock sarebbero necessarie quanto quella dei gruppi che non sono riusciti a varcare la fatidica soglia del primo Lp, affidando la loro memoria a una manciata di brani, qualche concerto e una trasmissione orale dai contorni leggendari. Formazioni spesso avanti anni luce rispetto alla loro epoca, ostracizzate da discografici pavidi, schivate da un pubblico impreparato e magari minate da dissidi interni o personalità autodistruttive, confermando l'indissolubile patto d'acciaio tra genio & sregolatezza. La storiografia musicale è spietata: per ragioni di reperibilità ma anche di status simbolico, a lasciare traccia sono gli album mentre i singoli, se non hanno successo, tendono a smarrirsi nel convulso fluire delle epoche. Non legare il proprio nome a una copertina equivale, il più delle volte, a essere spacciati: è il motivo per cui artisti durati il tempo di un disco sono comunque sopravvissuti meglio rispetto ad avventure singles only, che i più tendono ad associare a una dispersiva amatorialità o a una immatura preistoria rock. Dalle compagini garage che hanno fatto la fortuna dei compilatori di antologie a una misconosciuta istituzione psichedelica come gli Oxford Circle, dal proto-punk belluino degli Electric Eels al proto-hardcore da ko tecnico di CrimeTestors e Pure Hell, una simile ricognizione si troverebbe a sorvolare alcune tra le band più originali e innovative di sempre.

Un gruppo che merita un posto d'onore in questo club non possono che essere gli Screamers, combo californiano ancora oggi ricordato dagli appassionati con toni prossimi alla venerazione, sebbene la loro avventura sia durata appena quattro anni e il loro intero lascito consista in un pugno di demo e alcuni bootleg dal vivo, materiale di qualità sonora per lo più medio-bassa (il che, manco a dirlo, ne esalta al quadrato l'eccitante sapore clandestino). Con loro viene ufficialmente perimetrata l'estetica che il musicologo Damian Ramsey ribattezzerà "synthpunk" (altrove indicata anche come "electropunk" o "technopunk"), che annovera tra i propri adepti altre band mitologiche quali Nervous Gender, Units, Futurisk e Voice Farm. Se l'abiura delle chitarre a beneficio dei sintetizzatori era già stata canonizzata dai Suicide (e, più alla lontana, trova i suoi semi in pionieri come Silver Apples e United States Of America), la band di Los Angeles compie un azzardo ulteriore mettendoli al servizio di una musica quantomai veloce e aggressiva: da questo punto di vista, i Suicide stanno alla new wave come gli Screamers all'hardcore. Questo scivoloso equilibrio tra rozzezza e sofisticazione, che in un certo senso li pone al crocevia tra i teppisti losangeliani (Germs, X, Weirdos) e gli intellettuali catastrofisti di San Francisco (il proto-industrial di ChromeFactrix e Minimal Man), viene reso al contempo più colto e più provocatorio da uno studiato impianto multimediale, in cui elaborate videoproiezioni si integrano con i bizzarri costumi e la teatralità espressionista del frontman Tomata du Plenty, autore graffiante che amava guardare ogni singolo spettatore negli occhi. Più che un semplice gruppo rock, gli Screamers sono stati a tutti gli effetti un collettivo d'avanguardia al pari dei Residents o dei Tuxedomoon, che del punk ha assimilato la ferocia e la sgradevolezza. Nessuna incisione avrebbe mai potuto restituirne l'impatto, come testimoniano i pochi video che li ritraggono. Prodotto mutante di una scena che ha generato creature tra le più mostruose, troppo refrattari ai compromessi per poter seguire una carriera convenzionale, gli Screamers vivranno fondamentalmente nelle testimonianze di chi ha avuto la fortuna di vederli dal vivo e come tali rimarranno la grande lost band della new wave californiana nonché, per dirla con Jello Biafra, "the best unrecorded group in the history of rock'n'roll".

La storia

ScreamersTomata du Plenty nasce come David Xavier Harrigan a Coney Island il 28 maggio 1948 da genitori di origine irlandese. La famiglia si trasferisce in California quando ha 9 anni, prima a Montebello e poi, sei anni dopo, a Hollywood. I primi passi della sua carriera artistica li muove nella vivacissima San Francisco del 1968 collaborando con le Cockettes, storica compagnia teatrale di drag queen dedite a spettacoli fortemente trasgressivi, ispirati alla più radicale cultura hippie (in particolare, all'esperienza dei Diggers). Poco dopo si sposta a Seattle, culla di un'eccitante scena di teatro sperimentale, dove dà vita al collettivo lip-sync Ze Whiz Kid, in cui fonde gli ammiccamenti proto-glam della precedente esperienza con tematiche legate alla controcultura dell'epoca e dissacranti caricature di celebrità dello spettacolo. Il gruppo si scioglie nel 1972, poco dopo aver aperto un concerto di Alice Cooper. L'anno seguente Tomata si sposta a New York insieme a Fayette Hauser delle Cockettes con cui, oltre a fare spettacoli di "guerrilla comedy", crea un video magazine chiamato "Hollywood Spit", scrive per la rivista "Naked News" e apre un negozio di articoli vintage. Una sera allo storico Cbgb's vede dal vivo i Ramones e gli Stillettos (prima band di Debbie Harry), iniziando così a interessarsi al nascente movimento punk e, in generale, alla musica rock.

Tornato a Seattle, entra in contatto con il performer drag Melba Toast (noto in seguito come Tommy Gear) e con il cantante Rio De Janeiro (al secolo David Gulbransen), insieme ai quali mette su la sua prima band, i Tupperwares, miscela di glam-rock e new wave. Nel complesso militano per un periodo due musicisti destinati ad affermarsi in maniere assai diverse: Bill Rieflin (futuro batterista dei Ministry e sessionman richiestissimo in ambito industrial) e Eldon Hoke (che, ribattezzatosi El Duce, fonderà la controversa band "rape rock" Mentors). Intorno al 1975 il gruppo si trasferisce a Los Angeles e l'anno dopo, a causa delle prevedibili proteste dell'omonima ditta di materiale plastico, cambia nome in Screamers. Rio De Janeiro abbandona la nave a causa di divergenze con Tomata, che rimane così il frontman incontrastato di una formazione a cui si sono nel frattempo uniti il batterista K. K. Barrett e il tastierista David Brown, sostituito prima da Jeff McGreggor e poi da Paul Roessler (fratello di Kira, futura bassista dei Black Flag).
Questo insolito assetto a due tastiere (Gear, responsabile anche delle secondi voci, al sintetizzatore Arp Odissey e Roessler al Fender Rhodes, tutti e due sformati da un distorsore), priva di chitarra e basso e con un set di batteria alquanto essenziale, è affiancato dalla stilista Chloe Pass e dall'illustratore Gary Panter, il cui ruolo nel caratterizzare il gruppo è pari a quello dei musicisti: la prima curerà lo stravagante look a base di vestiti eleganti e capigliature acuminate, mentre il secondo disegnerà il celeberrimo logo della testa urlante di Tomata, tra i più citati ed emulati di sempre. Sin dalle prime battute, l'aspetto visuale ha la stessa importanza di quello musicale: le prime immagini che li raffigurano iniziano a circolare quando la band non ha ancora mai suonato dal vivo, imponendoli da subito come il progetto più misterioso e inquietante della città (anche grazie all'entusiasmo della seminale punkzine "Slash"). Sarà proprio quest'ultima a fornirgli la prima occasione per esibirsi, invitandoli a un loro party nel 1977.

A partire da quell'anno, che coincide anche con l'arrivo di Al Hansen (noto artista fluxus, oltre che nonno di Beck) in veste di manager, gli Screamers iniziano a battere gli stessi club di Los Angeles in cui sta imperversando il ciclone punk, destando sensazione grazie all'inaudita violenza della loro musica e all'impressionante impatto scenico dei quattro: il luciferino Tomata unisce l'istrionismo apocalittico di John Lydon alla marcescenza vocale di Darby Crash tra due tastiere amplificate a volumi esagerati e una batteria tra il primitivo e il cibernetico, con un sistematico ricorso a videoproiezioni, scenografie e luci per creare un destabilizzante cortocircuito multimediale. Dopo averli visti dal vivo nel 1978, la giornalista locale Kristine McKenna li descrive usando per prima la fortunata espressione "technopunk". Nello stesso anno gli X citano Tomata nello storico singolo "Adult Books", contribuendo a diffonderne il nome all'interno della scena. Forte di queste attestazioni di stima, la band incide una rudimentale demo che rimarrà la prima e ultima testimonianza in studio, funzionale più che altro per trovare ingaggi.
Dopo alcune esibizioni al The Masque, all'epoca locale di riferimento per i punk cittadini, Tomata & C. diventano ospiti fissi dei due maggiori club di Los Angeles, il Whisky-A-Go Go e il Roxy (non era mai accaduto prima che una band senza un regolare contratto discografico suonasse in posti così prestigiosi), arrivando a tenere due spettacoli a sera e aumentando enormemente la loro popolarità nel giro.
Sembrano ormai destinati al lancio definitivo, ma il categorico rifiuto di firmare per un'etichetta e di rilasciare materiale frena la loro ascesa. Il gruppo s'incaponisce con l'idea che il suo debutto possa avvenire solo attraverso una commistione audio-video, e crede così tanto nel progetto da costruirsi un piccolo studio cinematografico per realizzarlo. Nell'attesa di coronare questo ambizioso progetto, affida al filmmaker olandese Rene Daalder (noto per aver diretto il cult movie del 1976 "Massacro Al Central College") la realizzazione di alcuni brevi filmati promozionali che anticipano il fenomeno dei videoclip.

Purtroppo, il sogno di Tomata non si realizzerà mai: dopo un'ultima esibizione-fiasco al Whisky nel 1981 in cui lui e Barrett presentano da soli il video-spettacolo "The Palace Of Variety" (esito dei loro esperimenti con Daalder), gli Screamers si sciolgono per mai più ricostituirsi. Le cause della prematura fine potrebbero essere legate all'instabilità della formazione e alla difficoltà nel proseguire la loro avventura senza un contratto né alcuna documentazione discografica, oltre al declino della scena punk/new wave locale causato dall'avvento dell'hardcore. Paradossalmente, il notevole riscontro riscosso in casa ha finito col penalizzare l'affermazione del gruppo: la facilità nel reperire ingaggi e la grande richiesta da parte dei locali di L.A. e San Francisco li ha portati a concentrare la propria attività in California, non suonando praticamente mai fuori dallo Stato (se non per alcune fugaci scorribande a New York, Seattle e Portland, dove suscitano l'entusiasmo incondizionato del decano dei critici punk Joe Carducci) e rimanendo così un fenomeno locale.

Conclusa l'esperienza con gli Screamers, Tomata abbandona il mondo musicale (a cui forse non è mai stato davvero interessato, essendosene servito solo come veicolo per le sue teorie multimediali) per dedicarsi a una molteplicità di altri ambiti che testimoniano la sua sbalorditiva versatilità. Inizialmente riprende in mano l'antica passione teatrale affermandosi come autore e produttore, per poi dedicarsi anche al cinema dirigendo una serie di corti, collaborando spesso con la leggendaria attrice horror Vampira (da lui spinta a tornare davanti all'obiettivo dopo il ritiro dalle scene). Nel frattempo inizia a coltivare la pittura: dopo una prima esposizione alla Zero One Gallery di Hollywood nel 1983, questa attività lo coinvolge al punto da trasformarsi nella sua principale occupazione, a cui affianca quella di critico d'arte.
Nel 1989 si trasferisce a Miami dove continua a dipingere e a esibire le sue opere, spesso in situazioni non convenzionali (bar, ristoranti, addirittura lavanderie). Nei suoi dipinti, contraddistinti da uno stile naïf semplice ed efficace, ritrae celebrità, icone della cultura e dello spettacolo o semplicemente personaggi che stima (soprattutto pugili, altra sua grande passione). Fedele a un suo personalissimo quanto incorruttibile codice etico, diventa famigerato per l'abitudine di vendere ogni sua opera a soli 25 dollari, asserendo che sia preferibile "vendere 1000 quadri a 25 dollari piuttosto che uno a 25.000" e ribadendo anche in questo la vicinanza ai dettami Pop Art (già esplicitata nel must degli Screamers "In A Better World", in cui sosteneva che "In a better world everybody must be made to feel important"). A metà degli anni 90 si sposta a New Orleans, per poi tornare in California.
Tomata du Plenty muore di cancro il 21 agosto del 2000 a San Francisco (dove poco prima aveva tenuto la sua ultima esibizione insieme a Jello Biafra e Penelope Houston), a soli 52 anni. Secondo alcune fonti, era malato di Aids da tempo. E' stato uno degli intellettuali più fini, eclettici e inafferrabili che gli Stati Uniti abbiano mai prodotto, profondamente americano nella sua indole errabonda ed enigmatica. La sua influenza su ciascuno dei mille ambiti a cui ha prestato il suo talento è pressoché incalcolabile. Ciononostante, non ha mai tratto grossi emolumenti dalle sue attività: negli ultimi anni della sua carriera si è mantenuto lavorando come barista.

K. K. Barrett, fondatore e proprietario dell'influente label Dangerhouse (tra i suoi clienti Weirdos, Dils, Bags, Avengers e X), si affermerà come production designer cinematografico (nel 2013 sarà nominato all'Oscar per il suo lavoro su "Lei" di Spike Jonze). Paul Roessler presterà le sue tastiere a Nervous Gender (una loro performance è immortalata nel mitico "Live At Target"), 45 Grave, Saccharine Trust, Nina Hagen, Mike WattSmashing Pumpkins e molti altri, oltre a formare la band Twisted Roots insieme alla sorella e a Pat Smear. Dopo la morte di Tomata, i due si ritroveranno per suonare insieme alcune canzoni della band in onore dell'amico scomparso.

Nel 2014 il collettivo di filmmaker californiani The Remainder Is Productions lancia una campagna su Kickstarter per finanziare un documentario su Tomata, attualmente in pre-produzione.
E' del 2020, invece, la notizia che nessuno si sarebbe mai aspettato (o forse sì?): la Superior Viaduct rilascerà la prima pubblicazione ufficiale degli Screamers, annunciata per gennaio dell'anno successivo. Il titolo, "Screamers Demo Hollywood 1977", è esaustivo sulla provenienza dei cinque inediti (termine fuorviante, per un gruppo che di fatto non ha mai "editato" nulla), accompagnati dall'artwork di Gary Panter e dalle note del prezzemolino Jon Savage. Mossa ardua da giudicare: è legittimo violare la deontologia dell'oscurità con questa pur discreta operazione? In fondo, punk vuol dire anche profanare i propri stessi dogmi: Tomata, non c'è da escluderlo, avrebbe potuto approvare.

Le canzoni

ScreamersCon l'eccezione di alcune demo incise tra il 1977 e il 1978 e mai rilasciate ufficialmente, gli Screamers non hanno registrato una nota della loro musica. Sono state formulate diverse ipotesi su questo atteggiamento che, innegabilmente, ha contribuito in maniera significativa a trasformarli in una band di culto: quella più diffusa si limita a constatare l'oggettiva irriproducibilità su disco del complesso apparato visuale che accompagnava le loro esibizioni, fattore che potrebbe inoltre aver scoraggiato la maggior parte delle etichette a farsi avanti; un'altra teoria sostiene che il gruppo fosse in cerca di un contratto di alto livello, e quindi abbia preferito aspettare fino alla fine l'occasione definitiva anziché optare per dei passaggi intermedi poco soddisfacenti, confermando anche in questo la propria indole incompromissoria ("If I can't have what I want, I don't want anything", precisavano d'altronde nel brano omonimo); un'ulteriore spiegazione potrebbe derivare all'ispirazione intellettuali della band, ricca di influenze dalle avanguardie, dal situazionismo, dalla controcultura radicale e ovviamente dal punk, tutti movimenti che hanno portato avanti in maniera diversa discorsi di esplicito nichilismo anti-artistico e anti-professionale; non va sottovalutato, infine, quanto la musica e il concept dei californiani fossero visionari e forse troppo avanzati per l'epoca, e che questa consapevolezza possa averli portati a nutrire un'aprioristica sfiducia nei confronti delle forme discografiche tradizionali, inadatte a tradurre un'idea così estrema. Anche tenendo conto di tutte queste considerazioni, suona quantomeno surreale che una band che aveva tra i suoi membri un discografico e come manager un artista affermato e che aveva suscitato l'entusiasmo di personaggi quali Joe Carducci (che li cita nel suo imprescindibile "Rock and The Pop Narcotic") e Brian Eno (il quale, si dice, fosse addirittura interessato a produrli) non sia mai riuscita a firmare un contratto.

L'unico documento mai autorizzato dalla band è una videocassetta edita dalla Target Video (digitalizzata in Dvd nel 2004) tratta da un loro concerto del 1978 ai Mabuhay Gardens di San Francisco, a cui sono stati allegati i primi video girati in quel periodo negli studi della casa di produzione: particolarmente memorabili questi ultimi, con la sagoma del frontman su sfondo monocolore e desaturato che viene messa a fuoco con sinistra lentezza, prima di iniziare a dispensare boccacce e balletti. Altro materiale filmato è reperibile nel "musical punk" del 1986 "Population 1", diretto dal già citato Rene Daalder e interpretato da Tomata, che unisce a una delirante trama fantascientifica le esibizioni di vari artisti californiani (tra cui Penelope Houston, Los Lobos e anche un giovanissimo Beck). Sul fronte audio sono reperibili varie antologie, nessuna delle quali ha mai ricevuto alcuna approvazione ufficiale: la più completa è "In A Better World", pubblicata nel 2001 dalla Xeroid, che in due Cd x 40 tracce raccoglie gran parte delle demo, quattro concerti e un breve promo radiofonico.

Come già detto, la strumentazione adottata dagli Screamers escludeva del tutto chitarre e basso affidando le parti armoniche a due tastiere, a cui all'occorrenza potevano unirsi un violino e una voce femminile: nonostante questo organico non convenzionale, le loro canzoni erano semplici e potenti come i più scatenati inni punk, inglobando connotati kraut e space-rock nelle sceneggiate più estese. Come da prassi synthpunk, non fecero mai uso di drum machine ma sempre di una batteria acustica, per quanto suonata in maniera molto minimale e ripetitiva.

Difficile eleggere un brano che si stagli sugli altri, in un canzoniere sì esiguo ma di grande coerenza e qualità. Il loro anthem più celebre è senz'altro "122 Hours Of Fear", ispirato al dirottamento del volo Lufthansa 181 condotto nel 1977 da un commando palestinese per chiedere la scarcerazione dei leader della RAF, episodio-chiave dell'Autunno Tedesco: la tesa introduzione di piano elettrico degna di una colonna sonora di John Carpenter, l'irruzione travolgente degli altri strumenti frustati dall'inciso di organo, il testo blaterato in maniera psicotica ("Be quiet or be killed!") e quegli ansiogeni dieci secondi di pausa, eloquenti come un fermo immagine, ne fanno un ideale compendio del Tomata-pensiero. Nel 2018 è stato riletto con la giusta cattiveria dal duo "hi-fi organ punk" di Cleveland Archie and the Bunkers, ideali eredi degli Screamers. Altrettanto efficace "Vertigo", un concentrato di nevrosi, impietoso ritratto della condizione alienata dell'homo capitalisticus.
Altri episodi imperdibili sono la marcia assetata di sangue di "I Wanna Hurt", i raptus schizofrenici di "Punished Or Be Damned", l'incubo distopico di "I'm A Mensh" e il penetrante proiettile di "It's A Violent World", i cui titoli sono inequivocabili biglietti da visita per il loro spasmodico sadomasochismo. Ma il parto più incredibile è forse "Eva Braun", un martoriante quarto d'ora di angoscia e delirio, da non dormirci la notte. Nel loro repertorio anche due cover pescate da ambiti ai limiti dell'incompatibile: "Sexboy" dei concittadini Germs e "The Beat Goes On" di Sonny & Cher, ironica allusione alla loro indefessa ritmicità.
Il rimpianto di non poter ascoltare questi capolavori in una resa sonora che ne avrebbe valorizzato lo spessore viene riscattato dal sempiterno fascino della bassa fedeltà, che rende ogni nota parte di un pericolosissimo programma sovversivo messo al bando da un Sistema ottuso e ingiusto.

L'eredità

ScreamersOltre ad avere di fatto coniato il linguaggio synthpunk, l'esplosiva ricetta dei nostri eroi è stata basilare per l'evoluzione di generi come dance-rock, synth-pop, industrial, Ebm e Neue Deutsche Welle (con particolare riferimento ai DAF), mentre il loro approccio violento ha spostato molto oltre le possibilità dello stesso punk-rock. Anche i testi, composti per lo più da frasi brevi e taglienti ripetute in modo ossessivo, hanno fatto scuola. Il vestiario, le grafiche e lo stesso logo degli Screamers sono stati saccheggiati a piene mani dall'estetica new wave. Le movenze spastiche di Tomata, ispirate al cabaret e calibrate al millimetro grazie al lungo rodaggio teatrale, al mimo e all'avanguardia, potrebbero aver a loro volta influenzato le danze epilettiche di Ian Curtis. Attraverso il suo disinibito giocare con il travestitismo e l'ambiguità sessuale, Tomata ha infine contribuito a introdurre elementi di cultura queer/transgender nella musica rock.


Se i meriti sopracitati sono incontestabili, il lascito maggiore rimane tuttavia l'apporto alle teorie multimediali: Tomata è stato tra i primi a intuire le enormi potenzialità giocate in ambito musicale dalle immagini in movimento, presagendo la nascita di Mtv e l'esplosione dei videoclip. Curiosamente, l'epoca più adatta a diffondere la sua arte è quella che stiamo vivendo adesso, con nuovi media come YouTube che accoppiano immagini e suoni in un potente strumento ecumenico, forse non troppo distante dall'idea fantascientifica di questo folgorante pioniere. Pochi gruppi sono riusciti a essere allo stesso tempo tanto semplici e tanto complessi. L'influenza degli Screamers è ben tangibile ancora oggi, e anche nel nostro paese: si pensi, ad esempio, al duo romano Holiday INN, nella cui elettronica aggressivamente vintage è ravvisabile l'impronta acida dell'inarrivabile Tomata.

I ask myself, 'is it possible to be all things to all people?' Yes. It is my fate to assimilate the inner turmoil of others. I am a human illustration of struggle, anxiety and fear.
(Tomata du Plenty intervistato da "Slash Magazine", 1978)

Screamers

Discografia

In A Better World (antologia, Xeroid, 2001)
Screamers Demo Hollywood 1977 (Superior Viaduct, 2021)

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