Sex Pistols

Sex Pistols

God Save Rock'n'Roll

Esprimendo le inquietudini e la rabbia di un'intera generazione, i Sex Pistols incarnarono lo spirito del "punk" tra il '76 e il '78. Dopo trent'anni, tuttavia, la loro portata storica è ben maggiore: con le loro provocazioni e le loro esibizioni incendiarie, John Lydon e compagni hanno rivoluzionato l'approccio alla musica rock

di Francesco Paolo Ferrotti

"Il rock'n'roll è la forma espressiva più schifosa, volgare e malefica, è un afrodisiaco pestilenziale, è la musica preferita da tutti i delinquenti della terra."
Frank Sinatra, 1957

"Siamo osceni, senza legge, brutti, pericolosi, violenti e giovani"
Jefferson Airplane,"We Can Be Together", 1969

"I am an anti-christ, I am an anarchist"...
John Lydon, "Anarchy in The U.k.", 1976

Oggi, i Sex Pistols sono icone del rock al pari di Rolling Stones, Doors o David Bowie. Non soltanto sono riconosciuti come i maggiori esponenti dell’infuocata stagione punk, ma anche come una formazione che ha esercitato enorme influenza su tutto ciò che è venuto dopo. Nel 2006, nonostante il "gran rifiuto", il gruppo è entrato a far parte della Rock’n’Roll Hall of Fame insieme a tutti gli altri grandi nomi. Allo stesso modo, il loro "Never Mind The Bollocks" è oggi sempre presente in ogni trattazione sugli album rock più importanti.
A distanza di trent’anni, sembra che quello che è stato uno dei gruppi più irriverenti e rivoluzionari sia stato ormai definitivamente "storicizzato". Lo stesso sembra essere avvenuto anche per Elvis Presley, Rolling Stones, Velvet Underground e tanti altri: scandalosi e ribelli al proprio tempo, ma poi progressivamente entrati in qualche modo a far parte della "cultura" (o, perlomeno, della sottocultura del rock). Niente di nuovo sotto il sole: non soltanto la storia del rock, ma quella dell’arte e della letteratura, è piena di casi del genere.

Eppure, a ben vedere, nel caso dei Sex Pistols la portata dello "scandalo" non è ancora del tutto rientrata. Così come ancora oggi l’orizzonte dell’arte non ha completamente riassorbito le provocazioni di alcune avanguardie, pur considerate ormai "storiche", allo stesso modo i Sex Pistols spesso fanno discutere e rappresentano un caso più unico che raro, un paradosso che mette in crisi i criteri per un’estetica del rock condotta su basi strettamente musicali. Non esiste, infatti, in tutta la storia del rock un'altra formazione che possa vantare una fama di tale calibro pur con così poco materiale: appena quattro singoli e un album, miliare e imprescindibile; per il resto, poche altre registrazioni, tra cui alcune cover, presenti in una sterminata galassia di raccolte postume, live album e bootleg più meno ufficiali e più o meno inutili, oltre che spesso dalla dubbia qualità di registrazione.
Molto breve è stata anche la carriera del gruppo, durata poco più di due anni, e che si può inquadrare in due date: il 6 novembre del 1975, giorno della prima esibizione, e il 14 gennaio 1978, data dell’ultimo concerto nella sua formazione completa. Benché il gruppo sia rimasto formalmente in attività per un ulteriore anno, quello che è seguito - con l'inizio delle lunghe battaglie legali tra John Lydon e Malcolm McLaren - ha poco a che vedere con la musica.

Nel 1996, e poi ancora nel 2002 e 2003, i Sex Pistols hanno giocato la carta del breve rientro nelle scene per alcuni live, ma non hanno aggiunto niente al loro repertorio né, tantomeno, al loro consolidato mito. Un mito alla cui fortuna ha contribuito anche una storia nella storia: quella di Sid Vicious, il secondo bassista della formazione, morto nel '79 a soli ventun'anni e asceso dai bassifondi londinesi all'olimpo del rock, diventando un’icona generazionale.

Premessa generale

La storia dei Sex Pistols è ricca di date, di eventi, di protagonisti. Le poche uscite discografiche sono anch'esse episodi di questa storia viva e concreta, ma da sole non sarebbero mai sufficienti per capire il significato di una rivoluzione vissuta sul campo (e sul palco) dai protagonisti dell’epoca. I Sex Pistols non furono soltanto un gruppo musicale: furono anche un progetto, una battaglia estetica, uno slogan, e soprattutto gli alfieri di un movimento musicale e di costume di grande portata. La storia dei Sex Pistols è inoltre inseparabile da quella dei Clash, dei Damned, di Siouxsie e di tanti altri artisti e gruppi nati nello stesso ambiente e partecipi degli stessi eventi. E’ anche una storia densa di contatti, di scambi culturali (e in parte di rivalità) tra Londra e New York.
Nella consapevolezza che una pretesa di esaustività sarebbe impossibile (sebbene si sia avvicinato all’obiettivo Jon Savage con lo straordinario "England’s Dreaming"), vedremo le tappe fondamentali di questa storia, riservando alla fine uno spazio per alcune conclusioni.

A questo punto, è necessaria soltanto un'ultima premessa: spesso si discute su quanta importanza abbiano avuto i Sex Pistols per la nascita e l’affermazione di quello che oggi conosciamo come "punk". La prima considerazione da fare è questa: solo a partire dal fatto che il movimento "punk" c’è stato, e grazie al fatto che la sua grande portata storica è giunta fino a noi, ora possiamo parlarne. Occorre allora ammettere che, senza Lydon e soci, quello che oggi conosciamo come "punk" non ci sarebbe mai stato nella forma in cui c'è stato e, dunque, esso non sarebbe giunto fino a noi per come lo intendiamo (o, più probabilmente, non sarebbe affatto giunto fino a noi). Nonostante alcuni recenti tentativi (in particolare, il libro "Please Kill Me") di ridimensionarne l'importanza, i Sex Pistols sono il gruppo grazie al quale il punk è diventato un fenomeno musicale e di costume celebre in tutto il mondo.
Tutto ciò, ovviamente, non esclude che molte altre formazioni abbiano contribuito in modo più o meno rilevante alla definizione di quel movimento; tuttavia, chiedersi se sarebbe esistito il punk senza i Sex Pistols ha poco senso quanto poco lo avrebbe chiedersi se sarebbe esistito il rock’n’roll senza Chuck Berry. Qualunque risposta diversa si voglia dare, sarebbe una deformazione della storia: così come Chuck Berry è stato in buona parte "il" rock’n’roll, i Sex Pistols sono stati in buona parte "il" punk. Non sarebbe nemmeno utile cercare retroattivamente alcune presunte caratteristiche del "punk" in periodi in cui il punk non c’era né avrebbe potuto esserci: in ogni caso, se volessimo trovare gli antecedenti di una certa attitudine musicale, non sarebbe sufficiente risalire agli Stooges o gli MC5, come spesso si crede di poter fare, ma potremmo andare ancora a ritroso fino al rock’n’roll degli agli anni 50... per poi magari concluderne che il primo "punk" è stato proprio Chuck Berry. E, per qualche verso, sarebbe anche vero.
Ma ora torniamo negli anni 70, precisamente nella Londra del 1971...

1971-1975: da "Let it Rock" ai Sex Pistols

Il capitolo preliminare alla storia del quartetto londinese fu scritto da un venticinquenne Malcolm McLaren quando, insieme alla compagna Vivienne Westwood (oggi i due sono un noto impresario e una celebre stilista), acquistò il civico 430 di King's Road. McLaren era un eccentrico studente d’arte che, nel corso degli anni 60, si era avvicinato ad alcune frange del Situazionismo. All'inizio degli anni 70, cominciò a sviluppare una passione per il rock'n'roll degli anni 50 e, parallelamente, un’avversione per la cultura hippie: intuendo che fosse ormai prossima alla fine, voleva accelerarne il tramonto.
Con queste idee, il giovane McLaren aprì "Let it Rock", un negozio specializzato nella produzione e nella vendita di abiti retrò. L’anno seguente, il negozio fu ribattezzato "Too Fast To Live, Too Young To Die": un nome che riecheggiava James Dean, il culto della velocità e le bande di motociclisti.
McLaren e la Westwood cominciarono a disegnare abiti sempre più aggressivi e presto il negozio venne anche frequentato da personaggi di spicco della scena musicale: i Kinks, Jimmy Page, Iggy Pop. Tra i soci del negozio c'era anche Bernard Rhodes, il futuro manager dei Clash.

Nell’estate del '73, McLaren si recò negli Stati Uniti per promuovere la sua nuova attività. Qui conobbe i New York Dolls e rimase affascinato dalla dissonante energia emanata dalla loro musica. Tornato a Londra, decise di abbandonare il filone retrò: pur con qualche retaggio del culto degli anni 50, il nome del locale venne cambiato in "Sex" e si specializzò nella vendita di articoli feticisti. Questi furono i luoghi e la cultura da cui nacquero i Sex Pistols.

Spesso, tuttavia, l’idea comune è che i Sex Pistols furono soltanto quattro giovani reclutati da McLaren a fini promozionali del suo negozio. Eppure, la storia non andò così: l'idea di formare il gruppo non fu di McLaren, bensì del futuro chitarrista Steve Jones. Sin dal 1973, esisteva già una specie di gruppo (chiamato "The Strand") che comprendeva, oltre il diciassettenne Jones alla voce, anche un suo giovane amico e futuro membro dei Sex Pistols: il batterista Paul Cook. Tra scorribande e rozze prove, un giorno Steve Jones decise di rivolgersi a Malcolm McLaren. Quest’ultimo, dietro l’insistenza dello stesso Jones, gli presentò Glen Matlock, un giovane frequentatore di "Sex". Glen possedeva una discreta preparazione musicale e, con il suo arrivo, gli Strand cominciarono a provare più seriamente e con maggiore regolarità, sebbene ancora privi di un valido cantante. Le prime influenze musicali furono i Faces, i Kinks, i primi Rolling Stones.

Ancora poco interessato nel progetto di Jones, nell’inverno del '74 McLaren volò di nuovo negli States. Trovando i New York Dolls in bassa fortuna, tentò di rilanciarne l’immagine con l’abbigliamento di "Sex". Quel che più conta, questa volta McLaren percepì che a New York stava nascendo qualcosa: frequentando Richard Hell, vedendo in azione i Ramones, i Television e Patti Smith, capì che c’era qualcosa di nuovo nell’aria e voleva a tutti i costi farlo proprio. Tornato a Londra con tante idee e un grande entusiasmo, decise allora di puntare tutte le sue energie sul gruppo che, nel frattempo, si era già esibito una prima volta in pubblico. Bisognava però trovare un cantante più valido e, in questa prospettiva, Steve Jones depose il microfono e s'impegnò per imparare a suonare la chitarra. Sulle prime, McLaren avrebbe voluto Richard Hell o Syl Sylvain dei New York Dolls alla voce. Il secondo fu messo anche in contatto con Jones e gli altri, ma poi non si concluse nulla.

Un giorno, fu presentato ai compagni uno strano soggetto di nome John Lydon che, insieme al suo inseparabile amico "Sid", era diventato un frequentatore abituale di "Sex". Johnny era uno scapestrato, ma con un’indole introversa. I suoi gusti musicali erano inconsueti, e spaziavano dal reggae a Captain Beefheart. Dimostrando sin dalla prima audizione le proprie capacità istrioniche, John Lydon si trasformò presto in "Johnny Rotten". Il gruppo era finalmente pronto per la sua rivoluzione musicale.

I componenti dei Sex Pistols - con la sola eccezione di Glen Matlock - erano tutti giovani disagiati, con alle spalle situazioni familiari compromesse, e ansiosi di sfogare la loro rabbia e le loro frustrazioni. Come scrive Jon Savage, "il gruppo era legato ad un doppio vincolo: individui intelligenti all'interno di una cultura proletaria che non dava valore all’intelligenza, d’altro canto incapaci di affrancarsi da quella cultura per mancanza di possibilità. Il risultato? Una frustrazione terribile".
Sin dall'inizio, tra loro stessi non correva buon sangue e la formazione si reggeva su un equilibrio precario: Matlock era visto con sospetto dagli altri, in quanto troppo "normale", Lydon era visto con altrettanto sospetto per le ragioni opposte. Le tensioni maggiori presto sarebbero state proprio tra Lydon e Matlock: il primo era l’anima più musicale, più pop, il secondo ne era l'antitesi. Il primo diventò l'autore dei testi, il secondo della maggior parte delle musiche. Tuttavia, McLaren vide positivamente questa conflittualità, considerandolo un salutare antagonismo, utile ai fini di un gruppo militante. Sarebbe stata proprio la tensione tra gli opposti a dar vita alla fragile alchimia dei Sex Pistols.
I membri del gruppo sono tutti nati nel 1956 (ad eccezione di Jones, nato nel '55) e dunque, quando nel ’75 si formò, erano più che maggiorenni. Il nome venne scelto da McLaren, laddove il "Sex" era un riferimento promozionale al suo negozio.

Nel corso del 1975, negli States cominciava sempre più a diffondersi il termine "punk" per indicare un nuovo fenomeno musicale underground. "Punk" era tuttavia un termine ancora piuttosto generico: in realtà non c’era ancora un vero movimento unitario e consapevole di sé, ma piuttosto una serie di gruppi accomunati da un'ansia di novità. Con quel termine, potevano essere indicati artisti tra loro diversi come Television, Ramones, Patti Smith, Suicide, Blondie, Talking Heads. Qualcosa di nuovo era nato intorno al CBGB’s di New York, ma soltanto a Londra quel "qualcosa" avrebbe assunto piena coscienza di sé e sarebbe diventata quella rivoluzione su scala globale che oggi conosciamo come "punk".

1976: Anarchy In The UK

Mentre gli echi dall’America giungevano ormai alle porte di Londra, i Sex Pistols cominciavano a definire il proprio repertorio. Uno dei primi brani a essere composto, scritto da Glen Matlock e con un testo di John Lydon, fu "Pretty Vacant": un inno alla "blank generation" di Richard Hell, ma con un’irriverenza e un’aggressività di nuova matrice. "Pretty Vacant" è anche un buon esempio per mostrare come la semplicità dei moduli stilistici dei Sex Pistols traduca spesso aspetti contenutistici: all’inizio del brano, l'elementare e reiterato passaggio tra una nota, la sua ottava e la sua dominante (evitando la terza dell'accordo), è una puntuale traduzione in termini musicali dell'idea di vuotezza, proprio quella a cui si riferisce il testo della canzone.
Tra le prime canzoni scritte ci sono anche "Seventeen" e "Submission". In particolare, la seconda introduce nella musica dei quattro una dimensione oscura e introspettiva che, denunciando l'influenza di Stooges e Velvet Underground, avrebbe contribuito a traghetterla nel nascituro dark-rock. Brani successivi, come "Bodies" e la cover di "No Fun", confermano questa dimensione alienata della musica dei Sex Pistols.

Con un repertorio di appena cinque canzoni, il primo concerto del gruppo porta la data 6 novembre 1975. In quell'occasione, John Lydon esibisce una sua idea poi diventata celebre: è una t-shirt dei Pink Floyd, ma con sopra scritto a mano "I hate". I Pink Floyd rappresentavano infatti, ai loro occhi, tutto ciò che aveva rinnegato le origini del rock’n’roll e che si era allontanato dalla vitalità originaria e dallo spirito di ribellione di quella musica. Con i Sex Pistols, il rock doveva tornare a essere giovane, ribelle, scandaloso; doveva tornare a far prevalere la fisicità sui contrappunti, l’anti-arte sulle velleità artistiche, il contenuto sulla forma. Pur non sapendo ancora padroneggiare bene gli strumenti, o forse soprattutto per questo motivo, i quattro riescono a sprigionare un'energia nuova e contagiosa e, sin dal primo concerto, fanno la prima vittima: dopo averli visti sul palco, Stuart Goddard decide di abbandonare il gruppo precedente per diventare quello oggi che conosciamo come Adam Ant.
Il primo concerto importante che il gruppo tiene fuori Londra è a Manchester: tra gli spettatori ci sono anche Morrissey, futuri membri dei Joy Division, e gli entusiasti Pete Shelley e Howard Devoto. Quest’ultimo in seguito avrebbe affermato, come tanti altri: "La mia vita è cambiata dopo aver visto i Sex Pistols". Insieme a Shelley, decide di lì a poco di formare i Buzzcocks.

Nelle settimane e mesi successivi, senza avere inciso nemmeno un singolo, i Sex Pistols scrivono un nuovo capitolo della storia del rock: si può affermare che il punk inglese, e con esso tutto ciò che ne è derivato, sia stato quasi del tutto una diretta conseguenza di quelle storiche esibizioni. Ogni concerto diventa presto un evento, ma l'eccitazione spesso degenera in episodi di rissosità e violenza tra il pubblico, che spesso coinvolgono anche i componenti del gruppo. Alcuni locali cominciano a chiudere le porte, ma la miccia è ormai accesa, la rivoluzione è inarrestabile: dopo aver assistito alle performance di Johnny Rotten e compagni, si formano gruppi come Clash, Damned, Adverts, Jam, X-Ray Spex, Slits e tanti altri. Siouxsie, inseparabile compagna del gruppo, di lì a poco avrebbe dettato i canoni del dark-rock. Un altro spettatore abituale, Shane McGowan, qualche anno più tardi avrebbe dato vita ai Pogues. Ma sarebbe davvero lunga la lista dei gruppi direttamente influenzati dai Sex Pistols, e quasi interminabile quella dei gruppi e degli artisti influenzati più o meno indirettamente: dai Joy Division a Madonna, dai Violent Femmes ai Nirvana, e fino ai nostri giorni.  

Sin dalle prime esibizioni, i Sex Pistols introducono un nuovo approccio estetico al rock e cambiano il rapporto tra musicisti e pubblico: si ricerca l'antagonismo piuttosto che il consenso, e la performance musicale è in primo piano rispetto alla pura esperienza sonora. Il gruppo riscrive le coordinate della musica rock, ma non attraverso una messa in discussione delle forme musicali, bensì attraverso una scarnificazione e una deformazione in chiave grottesca ed espressionista. Quella dei Sex Pistols non è soltanto musica, ma anche "spettacolo": non uno spettacolo con grandi scenografie e grandi attori, ma un piccolo teatro disadorno in cui si mette in scena l'assurdo. Come le performance teatrali, le loro canzoni vivono sempre dell’attimo dell’esibizione e della sua irripetibilità. Su questa scia, gli Adverts scriveranno "One Chord Wonders", un brano che esprime le emozioni collegate al momento di esecuzione del brano stesso, introducendo una dimensione meta-teatrale.

Se i Sex Pistols diventano uno dei gruppi che cambiano il rock, gran parte del merito è nelle doti innate e nel magnetismo di John Lydon. Con le sue litanie e il suo cantato rabbioso, ossessivo e alienato, la voce di Lydon è una delle più originali e riconoscibili della storia del rock: insieme alla sua mimica e alla gestualità, è ciò che trasforma ogni esibizione del gruppo in un’esperienza estetica (positiva o "negativa" che sia). La novità di "Rotten" è che egli non racconta le proprie emozioni, ma le mette in scena in prima persona, le vive nella sua stessa mimica. Ogni sua esibizione è in gran parte affidata all’umore del momento e, in particolare, la cover di "No Fun" degli Stooges diventa il brano in cui il cantante dei Sex Pistols sembra alienarsi dal pubblico e dai compagni: ogni volta ne dà un’interpretazione diversa, spesso improvvisando le parole. Quella introdotta da Lydon è quasi una forma di "espressionismo" applicato al rock, ed è qualcosa che apre nuove prospettive e permette nuove dimensioni dell’ "io": la scissione, l’alienazione, persino la schizofrenia. Ne sono testimonianza i testi per canzoni come "I Wanna Be Me" e "No Feelings": la scrittura di Lydon è frammentaria, quasi surreale, spesso privilegiando più la sonorità delle parole che non il significato. 
La maschera di "Rotten" è quella che consente a Lydon di esprimere la più cruda realtà, di gridarla al mondo senza censure. Allo stesso tempo, la deformazione della sua voce e della sua gestualità rivela anche una forma di messa in scena: Rotten vive una scissione tra realtà e finzione, in cui l'una cosa tende ambiguamente verso l'altra. Qui però non è la vita a salire a livello dell'arte, ma piuttosto l'arte a scendere a livello della vita: Johnny Rotten non è "Ziggy Stardust" o "Captain Fantastic". E' un personaggio quasi pirandelliano, una caricatura di se stesso che affascina e seduce nella sua dimensione grottesca e alienata, alla costante ricerca della propria identità smarrita.

Nell'ottobre 1976, il gruppo entra in studio per registrare alcune demo con il produttore Dave Goodman: questa session, insieme alla seconda del gennaio 1977, avrebbe dato vita a quello che è conosciuto (o sconosciuto) come Spunk, un album non ufficiale circolato sin dal 1977 e recentemente ristampato in cd. I nastri di "Spunk", se paragonati al successivo Never Mind The Bollocks, sono ben più grezzi e meno rifiniti. Se dal punto di vista strettamente tecnico si avverte la carenza di una produzione adeguata, siamo tuttavia di fronte a una delle più intense e genuine testimonianze dei quattro: non ancora compromesso con l'industria dei media e non ancora prigioniero della propria stessa immagine, il gruppo riesce a portare in studio l'impatto dirompente di quei live che li stavano già rendendo celebri. Le registrazioni di "Spunk", con l'ottimo Glen Matlock al basso, sono inoltre una prova evidente che, pur senza i "trucchi" dello studio, i Sex Pistols erano in grado di padroneggiare bene il proprio repertorio e che la presunta "carenza" di tecnica musicale era in realtà parte integrante dei moduli stilistici e dei valori espressivi della loro musica. Al di là dell'iconografia ufficiale del gruppo, questi nastri sono forse la maggiore testimonianza storica di quella che è stata la vera rivoluzione musicale dei Sex Pistols, nel 1976.

Mentre Lydon e soci contagiano il pubblico londinese con le loro esibizioni incendiarie, Malcolm McLaren definisce l'estetica del gruppo e quella del nuovo movimento musicale. Il punk è esploso a Londra perché, in qualche modo, era già presente nell'immaginario collettivo inglese: sfruttando le persistenze dell'immaginario, il geniale impresario getta un ponte ideale tra i novelli punk e i personaggi ottocenteschi dell' "Oliver Twist" di Dickens, giovani e spregiudicati teppistelli che vivevano nei pittoreschi e fumosi sobborghi londinesi. McLaren identifica se stesso stesso nel personaggio di Fagin, l'ebreo privo di scrupoli (così come anche McLaren aveva origini ebree) che nel celebre romanzo reclutava i ladruncoli per commettere i loro furti: i Sex Pistols si preparano a essere i "ladri" dell'industria discografica.
Con la collaborazione di Vivienne Westwood, il manager inoltre supporta il gruppo escogitando una serie di provocazioni: dopo la maglietta "anarchy" (con un ritratto di Marx), a suscitare scalpore è soprattutto la famosa maglietta "destroy", che mette insieme l'anticristo e una grossa svastica. Tale è il caos di simboli e simbologie, che il gruppo risulta allo stesso tempo militante ma politicamente ambiguo, suscitando le simpatie e le avversioni sia dell'estrema destra che dell'estrema sinistra.

Benché l'esibizione della svastica non fosse una novità assoluta nell'estetica del rock (lo fecero già gli Stooges e poi i New York Dolls), McLaren conduceva questa provocazione ai massimi livelli. E' tuttavia evidente che, nell'Inghilterra degli anni 70, che portava ancora i segni e i ricordi della guerra, la svastica era paradossalmente un emblema dalle connotazioni antinazionaliste. Era quasi un simbolo di caos e di anarchia. Infatti, sono proprio il caos e l'anarchia a essere celebrati nel primo singolo del gruppo, uscito nel novembre 1976: "Anarchy In The UK" è una delle pagine più incandescenti della storia del rock, e diventa il primo vero inno del movimento punk.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tuttavia, "Anarchy In The Uk" non è un'autentica canzone di protesta politica o di denuncia sociale (a differenza di quelle dei Clash che, almeno in parte, lo erano). In realtà, la battaglia dei Sex Pistols è più sul fronte dell’estetica che su quello della politica. Gli slogan e gli stessi simboli politici sono funzionali alla definizione di un'estetica, non a una effettiva posizione politica. Il "sistema" contro il quale combattono, non è tanto quello sociale ma piuttosto quello dell’industria musicale. I loro nemici non sono i politici, ma le rockstar. L'anarchismo da loro sposato ha poco a che vedere con l'anarchismo filosofico, ma è funzionale soprattutto a suggerire l’idea di "caos". Quella di Rotten e compagni è una vera e propria estetica del caos e della contraddizione. Il punk è anche questo: rigetto di tutti i valori, compresa la coerenza. I Sex Pistols sono infatti una contraddizione vivente: nascono come anti-rockstar ma, a loro volta, finiscono per creare nuove mitologie e per trasformarsi in rockstar. Vogliono distruggere il sistema dell’industria discografica, ma poi non esiteranno a compromettersi con lo stesso sistema, sfruttandolo il più possibile a proprio vantaggio. In un certo senso, la rivoluzione portata avanti da McLaren e dal gruppo era finta, costruita. Eppure, all’interno del mondo del rock, è stata verissima e con tante conseguenze.

Nell'ottobre '76, il gruppo firma un contratto con la Emi: nata in ambienti underground e in angusti locali, la musica dei Sex Pistols si prepara a conquistare il mercato internazionale e a diventare il nuovo fenomeno musicale. Negli stessi mesi, i quattro cominciano a entrare sempre più in contatto con i media: tanto più questi si schierano contro il gruppo, tanto più quest'ultimo ne trae vantaggi. E così avviene quel primo dicembre 1976, quando i Sex Pistols vengono invitati al popolare programma televisivo di Bill Grundy. Il giorno dopo, la band è sulle prime pagine di tutti i quotidiani inglesi in seguito alle provocazioni e le offese al conduttore (il quale ne aveva provocato la reazione).
E' il momento in cui il gruppo comincia a diventare davvero popolare, ma anche il momento in cui cominciano ad affiorare le prime tensioni e le prime crisi interne ed esterne. Come scrive Jon Savage, "lo scandalo Grundy creò i Sex Pistols, ma allo stesso tempo li uccise". Da quel momento in poi, infatti, il rapporto tra il gruppo e i media sarebbe diventato a doppio taglio: per essere all'altezza della propria crescente popolarità, i Sex Pistols sarebbero andati sempre più verso la strada dell'auto-distruzione.
Un mese dopo l'incidente con Grundy, e nonostante le buone vendite di "Anarchy In The UK", la Emi decide di liquidare la formazione per non rischiare di finire anch'essa sul banco degli imputati. Contro la compagnia discografica, Rotten e soci avrebbero scritto la canzone "Emi".
Dopo una breve parentesi con la A&M Records, sarebbero approdati alla neonata Virgin. Grazie anche all'ingaggio dei Sex Pistols, la Virgin diventò sempre più importante; per ironia della sorte, alcuni anni più tardi (nel 1992) sarebbe stata proprio la Emi a comprarne tutti i diritti…

1977: God Save The Queen

Da un punto di vista stilistico, non è facile analizzare da dove derivino i Sex Pistols: anche in questo caso, l’unica regola sembra essere la contraddizione, la convergenza di diverse istanze ma, allo stesso tempo, la loro negazione per formare qualcosa di nuovo. Nella loro musica si incontrano rock'n'roll, garage e glam, e il tutto alla luce delle più recenti esperienze provenienti dagli Usa (Modern Lovers, New York Dolls, Richard Hell, Ramones). Una componente di revival proviene dagli anni 50, dai quali i Sex Pistols ereditano il culto per il rock’n’roll delle origini, le giacche di pelle e le suggestioni del "live fast, die young"; dai primi anni 70, ereditano invece gli aspetti più "decadenti".
A essere assenti, o presenti per negazione, sono molti elementi della cultura anni 60: ossia tutto ciò che era filosofia hippie, Woodstock, rock progressivo, peace&love, beatlemania. Tuttavia, tra i gruppi nati nel decennio precedente, si può riscontrare l'influenza di Velvet Underground, Stooges e MC5, (in particolare, i primi per le attitudini sessuali, i secondi per gli elementi di performance, i terzi per un rock irruento e provocatorio). Ma non bisogna tuttavia sottovalutare, come spesso si fa, la grande eredità dei gruppi inglesi: i tanto detestati Rolling Stones, i Kinks, gli Small Faces, gli Animals, gli Who e i T-Rex. Un’ultima influenza musicale può essere rintracciata negli inconsueti gusti di John Lydon, in particolare nel rumorismo surreale di Captain Beefheart. Infine, l’estetica dei Sex Pistols è in qualche modo anche debitrice di David Bowie.

Forse può essere utile ricordare anche il repertorio di cover del gruppo, che passava da una sgangherata versione di "Johnny Be Good" a "Substitute" degli Who, da "No Fun" degli Stooges a "Roadrunner" dei Modern Lovers, fino a "Steppin' Stone" dei Monkees. Sid Vicious, in qualità di solista, si cimentò anche con un paio di classici di Eddie Cochran ("Something Else" e "C’mon Everybody"). In tutti questi casi, non è possibile distinguere la parodia dall’omaggio. Tuttavia, in un caso la parodia è esplicita e dichiarata: nella versione che Sid Vicious cantò di "My Way", cambiandone il testo. Nel 1957, Frank Sinatra aveva affermato che il rock era una musica brutta, sporca e cattiva. Negli anni 70, i Sex Pistols riscoprono i fondamenti originari di quella musica, spazzando via tutte le sovrastrutture intellettuali e mostrando il rock (e il mondo) per quello che è.

Il 1977 è l'anno in cui esplode, soprattutto a livello mediatico, la rivoluzione del punk: nell'anno in cui muore Elvis Presley, che era stato il simbolo del rock'n'roll, esso sembra reincarnarsi in nuove forme, ed è riscoperto da una nuova generazione di ribelli. Quella guidata dei Sex Pistols è quasi paragonabile a una seconda esplosione di rock’n’roll, nella sua versione aggiornata agli anni 70. All'origine, il rock’n’roll era nato come musica rumorosa e irruenta, era una forma d’arte anti-artistica e una forma musicale anti-musicale, in cui le capacità performative e le attitudini sessuali erano in primo piano sulla ricerca di suoni gradevoli. Spazzando via la stagione del "peace and love", con le sue utopie e le sue ipocrisie, i Sex Pistols sono i portavoce di un nuovo scontro generazionale e guidano la rivolta giovanile contro le fastose rockstar e i dinosauri del progressive. La rivoluzione "punk" porta i capelli corti e in musica rifiuta tutto ciò che è "ornamento"; si ricercano invece forme espressive semplici per gridare al mondo le più autentiche emozioni nella loro immediata urgenza. Nel 1977, i Sex Pistols non soltanto incarnano lo spirito del punk, ma sono la bandiera di una nuova generazione rock.

Nonostante il successo del gruppo sia in rapida ascesa, allo stesso tempo, il nuovo anno si apre all'insegna di una crescente incertezza. A febbraio, Glen Matlock abbandona la formazione: è il sintomo che qualcosa comincia ad andare storto. Dopo l’abbandono di Matlock, unica anima musicale e autore della maggior parte dei brani, i Sex Pistols cominciano a sfuggire ad ogni controllo: il fragile equilibrio tra musica e performance, tra vita e arte, comincia a spezzarsi. Le componenti performative sottomettono sempre più quelle musicali, e il gruppo è costretto ad essere all’altezza del grande circo mediatico che sempre più si costruisce intorno a esso. Con l'ingresso di Sid Vicious in qualità di bassista, si moltiplicano gli episodi di teppismo e aumenta il consumo di droghe: l'immagine del gruppo diventa sempre più aggressiva e pericolosamente instabile, sia sul palco che fuori.  

Il 1977 è anche l’anno del giubileo della regina e i quattro non si fanno trovare impreparati. Il loro regalo è una "God Save The Queen": un anti-inno (nazionale) che finisce per assumere, per negazione, la portata un inno (generazionale). Uscito nel marzo 1977, nonostante le numerose censure e boicottaggi, il singolo riscuote un enorme successo ed è l'unica voce stonata nell'euforia collettiva per il giubileo. La canzone porta ancora la firma di Glen Matlock, mentre il testo è, come di consueto, un'idea di John Lydon.
In "God Save The Queen" si respira un'atmosfera apocalittica, e si dipinge una società che ha bisogno dei miti nazionali per nascondere la propria inarrestabile decadenza. Le suggestioni nazistoidi del gruppo, insieme allo slogan "no future", trasformano la festa per il giubileo in un carnevale di follia collettiva che sottende l'inquietudine del "memento mori". Dietro la rabbia e la pungente ironia, nella musica dei Sex Pistols è presente una dimensione tragica: non è soltanto la voce degli emarginati, ma anche l'espressione di una forma di angoscia e disagio esistenziale. Dal "no future" deriveranno molte suggestioni del dark, e la tragedia diventerà realtà prima con Sid Vicious, poi con Ian Curtis.
Eppure, a differenza di quella che sarà la musica dei Joy Division, quella dei Sex Pistols possiede ancora istinti vitali: con la sua aggressività e la sua furia iconoclasta, il punk è musica di sopravvivenza in un mondo (interiore ed esteriore) sull'orlo del collasso.

"Never Mind The Bollocks" e la fine del gruppo

Preceduto dall'uscita dei singoli "Pretty Vacant" e "Holidays In The Sun", Never Mind The Bollocks, unico album dei Sex Pistols, esce nell'ottobre 1977. Sfidando le censure e le difficoltà di vendita, balza presto al primo posto nelle classifiche inglesi ed è destinato a diventare uno degli album più popolari della storia del rock.  
Prodotto da Chris Thomas (che aveva anche lavorato con i Beatles del "White Album"), è un disco per certi versi monumentale, e contiene almeno tre canzoni che possono essere definite veri e propri inni generazionali: le già citate "God Save The Queen", "Anarchy In The Uk", "Pretty Vacant". 

Contrariamente a quanto un ascolto superficiale possa suggerire, anche da un punto di vista strettamente musicale è un album impeccabile e con un’eccellente produzione, all’altezza della fama del gruppo. In un'intervista del 1992, Kurt Cobain dichiarò che era il disco con la migliore produzione che avesse mai sentito. Chi ne parla come di un lavoro rudimentale o di scarsa qualità, infatti, confonde due cose diverse: bisogna distinguere un brano eseguito malamente (per uno strumento scordato, per l’incapacità di mantenere i tempi, o per delle note suonate erroneamente al posto di altre), da un brano che è suonato nel modo in cui è concepito stilisticamente. In "Never Mind The Bollocks" non ci sono né errori, nè stonature o sbavature e, in quanto al fatto che non sia troppo complesso musicalmente, non lo è nella stessa misura in cui non lo sono centinaia di album rock prima di esso (dall'esordio di Elvis a Bob Dylan ai primi Rolling Stones e oltre).

A cominciare dalla sbalorditiva triade iniziale "Holidays In The Sun" – "Bodies" – "No Feelings", il suono dei Sex Pistols è coeso, potente, di grande impatto. E' il sound di un grande gruppo rock'n'roll. In "Anarchy In The Uk", attraverso parecchie sovraincisioni, si raggiunge un grandioso sinfonismo rock che fa conferire alla canzone lo status di inno.
La chitarra di Steve Jones sostiene un muro di distorsione ma, diversamente da quella di Johnny Ramone, indulge più verso l'hard-rock e a volte non lesina i riff chitarristici. In quei pochi ma potenti accordi sono contenuti, in una forma quasi minimalista, vent'anni di chitarra rock'n'roll: da Chuck Berry a Keith Richards, da Marc Bolan a Johnny Thunders.
La prestazione vocale di John Lydon è straordinaria in tutto l'album e dà prova di grande destrezza nel gestire un ampio registro vocale (come nello straordinario passaggio dalla strofa al ritornello di "Bodies"). Batteria e basso sono perfettamente cadenzati e coesi nel dosare la tensione emotiva.
Forse l'unico rimpianto è che, nella registrazione dell'album, siano state sacrificate alcune parti di basso di Glen Matlock, quelle che possiamo sentire in "Spunk", sostituite invece da parti più semplici e lineari, in "stile Ramones", e registrate da Steve Jones.  

Dopo il clamore dell'album, l'ultimo capitolo della storia dei Sex Pistols viene scritto durante l'infausta tournée americana del gruppo, conclusasi il 17 novembre al Winterland di San Francisco: testimoniato anche da un video di facile reperibilità, è l’ultimo live. Guardando quel video, si può facilmente percepire la cupezza, il gelo e l'inquietudine di cui è pervasa quell'ultima esibizione. A conclusione del concerto, uno stanco John Lydon ammonisce “avrete un solo e unico bis”: non può che essere “No Fun”. Mai la cover degli Stooges era stata così surrealmente concreta: lo spettacolo è finito, non c'è divertimento, restano solo l'amarezza e i rimpianti. Di lì a qualche giorno, a causa delle sempre maggiori ostilità con Malcolm McLaren, Lydon abbandonerà i compagni. Nei mesi successivi, dopo l'inizio di una lunga battaglia legale con l'ex-manager, Lydon darà vita ai Public Image. Steve Jones e Paul Cook, invece, continueranno per un altro anno, ma ormai i Sex Pistols sono un gruppo virtuale.  

Rimandando altrove il lettore per notizie più dettagliate su tutto ciò che è seguito, qui si prenderanno in considerazione soltanto due capitoli del dopo-Lydon: la morte di Sid Vicious e l'operazione “Rock’n'Roll Swindle”.

Sid Vicious: live fast, die young 

John Simon Richie, meglio conosciuto come "Sid Vicious", ha lasciato ai posteri almeno tre cose degne di nota: le prime due sono l’invenzione del "pogo" e la storica interpretazione di "My Way". La terza, quella più importante, è la propria stessa icona. Sid non ha aggiunto molto alla musica dei Sex Pistols (con l'eccezione di "Belsen Was A Gas"), ma ha dato un contributo fondamentale all'estetica e alle mitologie del rock tout court: se la musica dei Sex Pistols ha influenzato la produzione musicale di numerosissimi gruppi, Sid Vicious ha influenzato l'immaginario collettivo.

Rispolverando il mito di James Dean, il "live fast, die young", Sid lo aggiornò alla più decadente epoca di Lou Reed e David Bowie: dal primo prese il soprannome ("Vicious", dalla canzone di "Transformer") e l'esaltazione dell' heroin; dal secondo ereditò la capigliatura e l’identificazione tra arte e vita.
Nel 1977, tuttavia, Bowie e Reed erano patinate rockstar, ormai al riparo dai propri stessi eccessi, Sid era invece soltanto un ragazzo che sognava di diventare una rockstar, disposto a qualunque eccesso pur di diventarlo. Prima di entrare nei Sex Pistols, la sua storia era la stessa di tanti altri emarginati come lui: era stato cacciato da casa quando aveva quindici anni, e aveva vissuto di espedienti. Dopo esser diventato il fan numero uno del gruppo, onnipresente ai concerti punk londinesi, egli fece le prime prove insieme a Siouxsie, nel nucleo originario di quelli che sarebbero stati i Siouxsie and The Banshees.
Sid aveva una tecnica rudimentale, ma dimostrava la personalità giusta: nel febbraio 1977, dopo l'abbandono di Glen Matlock, ebbe finalmente l'occasione di diventare il bassista dei Sex Pistols. Ma in realtà Sid non diventò parte della musica del gruppo, ma piuttosto parte del loro spettacolo: perverso e fragile, violento e incosciente, sempre più cominciò a fare del "drug, sex and rock'n'roll" il proprio stile di vita. Ma la fragile identità di Sid non poteva sopravvivere a lungo ai miti di cui si alimentava; a una personalità così labile contribuì il consumo di eroina, a cui venne introdotto dalla fidanzata Nancy Spungen: Sid e Nancy si ritrovarono presto legati da un rapporto perverso di reciproca auto-distruzione, che avrebbe portato entrambi a morire a distanza di pochi mesi.

Nel teatro dell’assurdo e della crudeltà imbastito dai Sex Pistols, Sid Vicious e Johnny Rotten, pur essendo figure complementari, si distinguevano: a differenza di John, Sid portava così all’estremo la propria parte che finì per inverare ogni fiction. Laddove John Lydon era dilaniato da un conflitto tra sé e il proprio personaggio, e offriva il suo meglio quando metteva in scena il travaglio di questa scissione, Vicious invece cominciò sempre più a identificarsi con il personaggio stesso e non fu più in grado di prenderne nemmeno parzialmente le distanze. Mentre Rotten era consapevole del proprio ruolo, e in alcuni momenti giungeva a rifiutarlo, Vicious diventò una marionetta nelle mani di Malcolm McLaren e dei media: sia sul palco che fuori, le sue performance diventarono sempre più estreme e reali, al confine dove non è più possibile distinguere la finzione dalla realtà, l'arte dalla vita (e dalla morte).

Dopo lo scioglimento dei Sex Pistols nel '78, Sid tentò di intraprendere una carriera da vocalist, formando una serie di gruppi d'occasione con musicisti come Mick Jones, Glen Matlock, Keith Levene, Rat Scabies, Johnny Thunders e altri. Parte di questo materiale è raccolto nell'album postumo Sid Sings (1979), insieme a due delle tre cover che incise da solista: la già citata "My Way", "Something Else" e "C'mon Everybody". L'autore delle ultime due cover è Eddie Cochran, uno dei primi musicisti rock'n'roll, morto a ventun'anni in un incidente d'auto. Ed è qui che il cerchio si chiude: la storia dei Sex Pistols, originata dal culto per gli anni 50 di Malcolm McLaren, terminava con una morte che riportava in vita una delle mitologie originarie del rock'n'roll: la "gioventù bruciata" di James Dean. Sebbene in una versione più perversa e trasgressiva, le "pistole del sesso" si rivelano gli eredi di quella cultura del "live fast" e del suo inseparabile compagno: il "die young".

Nella notte dell’11 ottobre 1978, Nancy venne trovata morta. Sid fu arrestato come unico sospetto. A tutt'oggi non è possibile far piena luce sugli eventi di quella fatale notte di sangue e di follia. Il primo febbraio del 1979 fu la volta dello stesso Sid, stroncato da un’overdose di eroina: diceva spesso che non voleva vivere oltre i ventun'anni, e lo rispettò. Sopravvisse però la sua icona, posta nell'olimpo del rock insieme a quelle di tanti altri "eroi" morti prematuramente: Buddy Holly, Eddie Cochran, Jim Morrison, Marc Bolan, Ian Curtis, Kurt Cobain.

A precoce conferma dell'impatto che ebbe Sid Vicious sull'immaginario collettivo, pochi anni più tardi le vicende di Sid e della sua compagna diedero ispirazione per il film "Sid and Nancy" (1986), diretto da Alex Cox.

La grande truffa del rock’n’roll?

"The Great Rock’n’Roll Swindle" è il titolo di un film uscito nel 1980: diretto da Julian Temple, ha come oggetto la storia dei Sex Pistols secondo il punto di vista di Malcolm McLaren. La colonna sonora è una collezione di tutte le provocazioni del gruppo, con alcuni ospiti e alcune novità: tra le altre, c'è posto per "My Way" di Sid Vicious e "Belsen Was A Gas", un brano nazistoide con un crudo giro di chitarra degno dei "peggiori" New York Dolls; meritevoli di menzione sono anche "Lonely Boy" e "Silly Thing" due brani composti da Jones e Cook nel dopo-Lydon. Tra gli "special guest" c'è anche lo stesso McLaren, che si cimenta alla voce in "You Need Hands".

Per la realizzazione della pellicola, i Sex Pistols recitarono (quasi) nella parte di se stessi. In realtà, la partecipazione alle riprese fu limitata ai soli Vicious, Cook e Jones; John Lydon, a causa del totale rifiuto, è presente soltanto in filmati d'archivio. Il film si può in buona parte considerare un'opera di Malcolm McLaren e, a sua volta, l'argomento del film è il suo racconto (tendenzioso) di come gli stessi Pistols siano stati solo una sua creazione, ignari strumenti di un'astuta operazione commerciale. Dando l'apparenza di essere un documentario, la pellicola sembra fornire ottimi argomenti a tutti i detrattori dei Sex Pistols. Ma attenzione: a sua volta, anche il film stesso costituisce una fiction e l'intento documentario è palesemente falso e caricaturiale... dov'è allora la realtà e dove la finzione?

Le cose sono allora ben più complesse di come potrebbe suggerire una lettura ingenua e il film stesso non si presta a una lettura ingenua e immediata: essendo volutamente "esagerato", il punto di vista di McLaren non richiede una vera adesione da parte dello spettatore (né un totale rifiuto), bensì spinge a una riflessione. In realtà, siamo soprattutto di fronte a una provocazione, diretta in particolare all'establishment musicale. In "The Great Rock'n'Roll Swindle", i Sex Pistols stessi mettono in scena la loro limitazione tecnica e il fatto di essere manovrati da un astuto manager che, grazie a loro, è riuscito ad arricchirsi a spese delle compagnie discografiche. Ma tutto ciò è anche parte di un copione: un copione in cui McLaren è un astuto burattinaio e i Sex Pistols sono i suoi ignari burattini. Non soltanto il copione non è nascosto, ma è proprio ciò che viene rappresentato sulla scena, come nel meta-teatro: il capocomico mette in scena la storia della propria compagnia teatrale, usando gli stessi attori nella parte di se stessi e recitando a propria volta nella parte di se stesso.
In "The Great Rock’n’roll Swindle" la dimensione teatrale è esplicita, con effetti paradossali e stranianti: dov’è l’autore e dove l’opera? Se McLaren sembra l'"autore" del gruppo, egli è anche un "personaggio" dello spettacolo da lui stesso creato, così come nel film egli recita la parte di se stesso. D'altro canto, quelli che dovrebbero essere i personaggi (Vicious su tutti) non possono che essere al tempo stesso anche "attori", e quindi anche "autori" della propria stessa performance attoriale. Sebbene la pellicola non testimoni l'effettiva storia del gruppo, ma la esageri in modo da fare risaltare soltanto alcuni aspetti a scapito di altri, il fascino dei Sex Pistols è riposto anche in questa ambiguità, in cui non è possibile distinguere la realtà dalla finzione, l’opera dall’autore, Rotten da Lydon.

Se i live erano l’espressione più genuina e autentica del gruppo, The Great Rock’n’Roll Swindle si pone all’estremo opposto: in primo piano è l'artificio, che qui prende l'aspetto di una "truffa". Il vero artista sembra diventare McLaren, mentre i Sex Pistols diventano soltanto un' "opera". Questo non significa che i Sex Pistols siano stati davvero un gruppo creato a tavolino come sembra suggerire la pellicola; piuttosto, parte della loro "verità" era proprio nel mettere in scena anche l'artificiosità (come si è visto, è proprio nel conflitto tra la maschera e l'individuo, tra Lydon e Rotten, la migliore espressione del gruppo). I Sex Pistols sono caratterizzati da una perenne tensione tra opposti: tra musica e spettacolo, tra arte e vita, tra verità e finzione; la natura del gruppo non è mai riconducibile a uno solo dei poli oppositivi, ma è riposta proprio nella contraddizione e nell'ambiguità in cui l'una cosa si trasforma nell'altra.
Tuttavia, c'è un punto in cui gli estremi giungono a identificarsi: la finzione diventa realtà e l’attore è a tal punto irretito dal suo personaggio da restarne vittima. Si parla, ovviamente, di Sid Vicious. Sid è al tempo stesso il migliore e il peggiore attore del film, perchè è l'unico a non "recitare": in lui vi è una perfetta coincidenza tra verità e fiction. Al contrario esatto, John Lydon è l'espressione dello scarto e del dissidio tra l'una e l'altra cosa: essendo presente solo in spezzoni di filmati "veri", è l'unico a non essere un attore, svelando l'artificiosità della pellicola.

Ma c'è di più: "The Great Rock'n'Roll Swindle" non soltanto riscrive la storia del gruppo, ma contiene anche alcuni spunti di riflessione più generali, quasi un abbozzo implicito di storia del rock. Già il titolo stesso manifesta una forma di ambiguità: i Sex Pistols sono la truffa più grande, ma potenzialmente l'intero rock'n'roll è una truffa. A supporto di questa chiave di lettura, la colonna sonora ospita i due brani simbolo del r'n'r, in versione punk: "Rock Around The Clock" (Bill Haley) e "Johnny Be Good" (Chuck Berry). Ma cosa significa tutto ciò?

La storia della "truffa del rock’n’roll" era in realtà una roba vecchia: a ben vedere, la prima "truffa del rock’n’roll" era stato proprio il padre di quella musica, vale a dire Elvis Presley. Elvis era infatti un’opera più che un autore: era quasi un attore, ossia un grande interprete e performer, ma non un vero musicista. Eppure, quanti altri casi del genere, più o meno manifesti, nella storia del rock? Nella pellicola, McLaren ribalta la prospettiva: la "truffa" dei Sex Pistols viene dichiarata, è esagerata, spudorata, e ha successo proprio in quanto tale.

In un’epoca in cui qualunque rifiuto può essere camuffato e spacciato per "arte", e in cui il pop-rock stesso viene a volte spacciato per "arte", grazie magari ad abili manager e produttori, McLaren scopre le carte e mette esplicitamente in scena il tema della truffa: così come i Sex Pistols, allo stesso modo il rock tout court (e l’arte in generale) è potenzialmente soltanto una truffa. Ma forse è proprio qui che la prospettiva si può ribaltare ancora una volta: uno dei padri dell'arte contemporanea, Marcel Duchamp, aveva insegnato che la genialità dell’arte contemporanea consiste nell'avere un'idea per spacciare una potenziale truffa (come poteva essere la sua "Fontana") per una forma d’arte. La sua arte stessa era stata, in buona parte, un'auto-dimostrazione pratica di ciò, e dunque conteneva sempre una riflessione sulla stessa natura dell'arte. Con il film sui Sex Pistols, Malcolm McLaren compie una simile operazione meta-artistica per lanciare un messaggio generale di grande importanza e che contiene l'auto-dimostrazione del successo del gruppo: il rock è una forma d'arte contemporanea, è più estetica in senso lato che musica in senso stretto, e può essere "arte" più nel suo statuto (concettuale) anti-artistico che nella sua ricerca (tecnica) di espressioni artistiche. E' questa la tesi più interessante che si può ricavare da "The Great Rock'n'Roll Swindle". Da qui se ne possono trarre alcuni spunti per le considerazioni finali.

L'eredità storica dei Sex Pistols

I Sex Pistols sono entrati nella storia della musica rock in modo particolare: ne hanno rinnegato il passato, rifiutato l'evoluzione, messo in discussione il valore intellettuale, e hanno riportato il primato della performance sulla musica in senso stretto. Eppure, nel fare tutto ciò, hanno scritto un nuovo e importante capitolo di quella stessa "storia". In realtà, il loro rifiuto per il passato va di pari passo con un'operazione di recupero di quella che è la natura originaria del rock’n’roll style: con le loro provocazioni e le loro esibizioni dirompenti, hanno ricordato che il rock è soprattutto performance, spettacolo, fisicità, e che non sono mai state richieste competenze musicali di alto livello. Spesso si dimentica infatti che gruppi precedenti come Rolling Stones, Who, Stooges, MC5, avevano un approccio musicale in qualche modo simile a quello dei Sex Pistols e dei gruppi "punk".
A ben vedere, la storia del rock conosce pochi veri "musicisti" nel senso proprio del termine; in compenso, è ricca di ogni sorta di pittoreschi e delinquenziali personaggi, e di tutte le più stravaganti sottoculture. Per chi non se ne fosse reso conto, il rock non è soltanto musica: è parte integrante dell’immaginario collettivo, è moderna mitologia. 

I Sex Pistols sono stati allora soltanto un'estremizzazione di alcune caratteristiche che da sempre hanno fatto parte del rock. Tuttavia, la portata innovativa del gruppo è riposta proprio in quell'"estremizzazione": in modo spesso auto-ironico, sono stati forse i primi a compiere un'operazione meta-musicale, ossia una riflessione implicita sulla stessa natura del rock'n'roll. La musica dei Sex Pistols contiene sempre una forma di "critica militante", soprattutto di se stessa. In particolare nel repertorio di cover, sono sempre presenti riferimenti al passato del rock, a volte sotto forma di parodia, e accompagnati anche da prese di posizioni esplicite: "I Hate Pink Floyd" ne è l'esempio più semplice e diretto. A dimostrazione della componente auto-ironica dell'operazione, nell’amplificatore di Steve Jones c'era scritto “Guitar Hero” e sul palco emulava in modo parodistico le pose dei grandi chitarristi rock. Come si è visto, la maggior parte delle provocazioni di Lydon e compagni erano sul versante dell'estetica, e della storia del rock, e non sul versante politico-sociale. 

I Sex Pistols non sono stati certo il primo gruppo a scandalizzare, a macchiarsi di episodi incresciosi, a subire censure e "caccia alle streghe". La storia del rock, sin dalle origini, ha tantissimi precedenti: negli anni 60, ad esempio, i Rolling Stones avevano suscitato una simile ondata di scandalo per le loro provocazioni sulla droga e sul sesso, sia nelle canzoni che nello stile di vita fuori dal palco. Ma c'è tuttavia una differenza: i Sex Pistols non soltanto portarono la provocazione a livello contenutistico, ma lo fecero anche a livello formale, a livello strettamente musicale.

A dimostrazione della grande portata della provocazione, siamo di fronte a uno degli argomenti tutt’ora più dibattuti quando si parla della formazione. In "The Great Rock'n'Roll Swindle", Malcolm McLaren esprime il paradosso secondo cui "un gruppo che non sa suonare è meglio di un gruppo che sa suonare". Se la band in questione sono i Sex Pistols, allora può essere certamente vero. Ma come è possibile che un gruppo che "non sappia suonare" diventi un grande fenomeno musicale e che abbia così tanti eredi? Oggi, abituati a personaggi veramente creati a tavolino da abili manager e produttori, ma incapaci di suonare se non in playback (e proprio per questo apparentemente bravissimi), forse la cosa non stupisce troppo. Ma i Sex Pistols furono una cosa diversa: erano un gruppo autentico, e sapevano suonare la propria musica. Certamente non possedevano l'abilità tecnica dei Pink Floyd, ma ciò non ha alcuna rilevanza nella misura in cui si opponevano a tutto ciò che i Pink Floyd rappresentavano. Il loro disinteresse per la tecnica era espressione di una concezione estetica opposta rispetto a quella dei gruppi "tecnici". Questo significa che, a ben vedere, la tecnica musicale dei Sex Pistols non era affatto "insufficiente": era parte integrante dello stile e del contenuto della loro musica (così come, in modo diverso, lo è quella dei Pink Floyd). Del resto, come si può suonare "bene" una canzone concepita proprio per esprimere emozioni "dissonanti"? Sarebbe un po' come voler dipingere "bene" (in modo classico) "L'Urlo" di Munch...

Ciò che più conta, i Sex Pistols sono stati i primi a negare esplicitamente la preminenza della tecnica musicale, fino addirittura a irriderla. Nella pratica del rock, tuttavia, non era certo una novità: il mondo è pieno di gruppi poco capaci di suonare, e anche la storia del rock. La differenza è che, in genere, la maggior parte degli "artisti" fa di tutto per nasconderlo, mentre Lydon e compagni fecero esattamente il contrario: rendendo manifesta la propria (relativa) limitatezza tecnica, la misero in scena e la trasformarono in parte integrante del loro spettacolo. Nel teatralizzare la propria stessa esibizione, resero ancora più relativa l'importanza della tecnica musicale: un concerto dei Sex Pistols era concepito anche e soprattutto dal punto di vista dello spettacolo, in cui la musica in senso stretto era solo una componente, ma non l'unica: il cantato di John Lydon era sempre a metà strada tra musica e parola, e non è mai possibile capire dove finisce la musica e dove cominciano gli elementi di performance. Se dunque i loro live erano scarni dal punto di vista tecnico-musicale, erano tuttavia grandiosi dal punto di vista concettuale-performativo: i Sex Pistols non furono grandi musicisti, ma furono grandi animali da palcoscenico. Per questo motivo, per capire il significato storico del gruppo, è indispensabile vedere anche i documenti visivi, i live che sono stati immortalati (per esempio, quello al LongHorn di Dallas del '78, oggi reperibile anche in Dvd).
Per un attimo, immaginiamo che i Sex Pistols fossero musicisti di talento ma che recitavano la parte di chi sa suonare "male". Nella misura in cui è il risultato che conta, il risultato sarebbe lo stesso. In buona parte, è stato proprio così: se è vero che i quattro non erano musicisti esperti, è vero al tempo stesso che di solito s'impegnavano per fare del proprio "peggio", in modo spesso auto-ironico. Questo è anche il motivo per cui a volte l’effetto era tanto più riuscito quanto "peggio" suonavano, ossia tanto maggiore era la deformazione che subiva la musica (e soprattutto la voce di Lydon). Il rock è pieno di registrazioni di live “terrificanti”: i Sex Pistols riuscirono a trasformare quel "terrificante" in un'esperienza estetica, allargando l'ambito estetico del rock a ciò che prima poteva essere considerato soltanto "brutto".

Con il loro disinteresse per la "buona fattura" a vantaggio dell'espressione, i Sex Pistols hanno contribuito a introdurre nella musica popolare un principio che, almeno sin dall’avvento dell’espressionismo, sembra ormai una conquista dell'estetica moderna: il valore di un'opera d'arte non è riposto nella complessità dello stile, nella maggiore o minore perizia tecnica, ma in tutto ciò che viene espresso tramite lo stile e la tecnica. Dopo decenni di avanguardie, di arte e di anti-arte di tutti i generi, non soltanto questo principio sembra ovvio, ma si è anche affermato il principio che l'idea conta più della fattura, e che l'espressione dell'artista conta più dell'opera stessa. Portando all'estremo questi principi, i Sex Pistols hanno contributo all'affermazione di una nuova ricerca musicale, affrancata da ogni ridondante tecnicismo e volta invece a rendere ogni tecnica strettamente funzionale all'espressione. Dopo i Sex Pistols, chiunque avesse "qualcosa da dire" ha potuto farlo senza preoccupazioni per la tecnica, lasciando che essa fosse sempre un mezzo e mai un fine.

Non è un esagerazione affermare che le provocazioni dei Sex Pistols hanno, nell’ambito della musica pop-rock, un ruolo paragonabile alle provocazioni dei dadaisti (o forse dei futuristi) nel mondo dell’arte visiva. A ben vedere, pur senza averne la piena consapevolezza, hanno fatto propri i principi più estremi delle avanguardie artistiche del Novecento, contaminandoli con la "pop-art" e applicandoli al mondo della musica rock: il rifiuto della tecnica a favore dell’espressione, la messa in discussione (fino alla parodia) del ruolo dell’artista, la performance che prende il posto dell’opera, il caso e il "caos" nell’arte, la ricerca dello scandalo e dell’antagonismo con lo spettatore, l’opera concepita come slogan, come critica allo stesso sistema artistico, come anti-opera e come anti-arte. La differenza è che, laddove certe forme di anti-arte d'avanguardia sono presto rientrate nei circuiti d'arte e nei musei, i Sex Pistols erano invece (e sono tuttora) autenticamente lontani da ogni velleità artistica in senso stretto.

Il recente rifiuto del gruppo di entrare nella "Rock'n'Roll Hall Of Fame" è allora una prova che la loro è una forma d'"arte" ancora viva, che non vuole rassegnarsi a esser imbalsamata nei "musei" e nei libri di storia del rock. Questo è anche il motivo per cui spesso la critica specializzata evita di affrontare direttamente i Sex Pistols: se ne ricorda soprattutto l'importanza storica, nel tentativo di sfuggire a un'analisi su basi estetiche che rischierebbe di scomodare alcune certezze utili per quel "museo del rock". 
Sono ormai trascorsi trent'anni dal '77, e più di cinquanta dalla nascita del rock'n'roll, ma sembra che la musica dei Sex Pistols riesca ancora a mantenere uno spirito anticonformista, sfuggendo caparbiamente ai tentativi di farla rientrare nell'orizzonte della "cultura".
Mi viene il dubbio che questa monografia, nel suo piccolo, sia andata in una direzione opposta. Ma anche la contraddizione, si sa, è l'essenza del rock'n'roll.

(25/07/2007)

Bibliografia essenziale:

John Savage - Il Sogno Inglese (Arcana ed.)
Dave Laing - Punk, storia di una sottocultura rock (E.D.T, 1991)
Federico Guglielmi - Punk, piccola enciclopedia (Giunti)

Sex Pistols

Discografia

SEX PISTOLS
Never Mind The Bollocks (Virgin, 1977)

9

Spunk! (bootleg, 1977; ristampa 2006)

7,5

The Great Rock 'n' Roll Swindle (soundtrack, 1979)

7

Filthy Lucre Live (Live, 1996)

6

SID VICIOUS

Sid Sings (1979)6,5
Pietra miliare
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