Sonic Youth

Sonic Youth

Una nazione alternativa

Più di ogni altra band, hanno segnato lo sviluppo del rock alternativo americano come lo conosciamo oggi. Grunge, noise-rock, post-hardcore e gran parte dell'indie-rock anni 90 sono nati sulle loro fondamenta. Oggi, da divi dell'immaginario underground, i Sonic Youth continuano la loro epopea. All'insegna di un rock chitarristico "totale", una sorta di monstrum indefinibile che incrocia le sintassi più disparate

di Alessandro Nalon, Raffaello Russo, Francesco Nunziata, Claudio Lancia

I Sonic Youth (i chitarristi e cantanti Thurston Moore e Lee Ranaldo, il batterista Steve Shelley e la cantante e bassista Kim Gordon) sono stati la band che più di ogni altra ha segnato lo sviluppo del rock alternativo americano come lo conosciamo oggi, imponendosi anche a livello di immagine come la formazione alternative rock per eccellenza, fino a raggiungere, assieme alla notorietà mediatica, uno status di divi dell'immaginario alternativo. Grunge, noise-rock, post-hardcore e gran parte dell'indie-rock anni 90 devono la loro esistenza anche e soprattutto all'operato dei Sonic Youth, che hanno funto da catalizzatori nel processo di assimilazione dei linguaggi espressivi del rock e della musica d'avanguardia da parte della generazione di musicisti del dopo-punk.
La loro portata rivoluzionaria si snoda lungo tre assi: il primo è quello già accennato, di sintesi di generi e sonorità lontane, quando non antitetiche. La musica dei quattro newyorkesi (cinque dal 2000 ad oggi) è in realtà un rock chitarristico "totale", una sorta di monstrum indefinibile che incrocia la sintassi del garage-rock, del punk, della no-wave, dell'hardcore, applicandole ora alla trance del rock psichedelico, ora al pop chitarristico più mansueto, ora a tessiture free-form o all'hard-rock. Intellettuali, ma grandi conoscitori del rock e appassionati di cultura pop, i Sonic Youth hanno fatto conoscere i Grateful Dead al popolo iconoclasta dell'hardcore e delle piccole etichette indipendenti, inglobando le suggestioni di trent'anni di pop music in una massa sonora che sapeva essere rabbiosa, nichilista, sognante, delicata, pesante, disturbante, paurosa e sensuale, a volte allo stesso tempo. Sono stati definiti "noise-rock" per l'abbondanza del rumore nelle loro composizioni, ma tante altre definizioni sarebbero perfette (ma pur sempre limitative) per inquadrare le tante facce della loro musica.
Il secondo punto cardinale è quello prettamente tecnico: i Sonic Youth hanno cambiato il modo di concepire la chitarra elettrica, usandola in modo totale, cioè spingendosi oltre il suo utilizzo ortodosso. Sfruttando la lezione del compositore Glenn Branca, i chitarristi Moore e Ranaldo suonano lo strumento chitarra nella sua interezza, sfruttandone la componente fisica (corpo, manico, elettronica) tanto quanto quella melodica (note, accordi, scale), arrivando a preparare le chitarre, modificarne l'elettronica, percuoterle con oggetti, cimentarsi in droning e feedback, o - nelle parti melodiche - sperimentare accordature atipiche. La stragrande maggioranza delle loro canzoni è costituita da poche note e semplici accordi, ma suonati con accordature inusuali che contribuiscono (anche grazie a un uso preponderante dell'effettistica) a generare quel suono storto, sgangherato e liquefatto che hanno perfezionato nel corso degli anni.
Per finire, fondamentale è stato l'apporto iconografico che hanno dato alla cultura underground, coi loro testi surreali e stranianti, il loro look giovanile e stravagante e la loro etica commerciale che ne ha fatto prima delle star indie (specie Kim Gordon, ormai vera icona "femminista" del rock), poi dei veri e propri mecenati, sempre alla ricerca di giovani band e nuove realtà alternative da promuovere, come è successo agli italiani My Cat Is An Alien scoperti da Thurston Moore.
Tutto questo è stato il presupposto di una rivoluzione seminata negli anni Ottanta ed esplosa il decennio successivo con una serie di band più o meno debitrici (Nirvana, Unwound, Pavement, Fugazi, Polvo i più significativi) che seguendo la pista dei maestri hanno reso grande l'indie-rock americano.

L'avventura della band comincia a fine anni Settanta, quando lo studente universitario Thurston Moore si trasferisce a New York, avvicinandosi all'hardcore (suonò negli Even Worse) e alla scena no-wave. Quest'ultima gli permette di conoscere Lee Ranaldo, chitarrista dell'entourage di Glenn Branca, in occasione del Noise Fest, un festival no-wave organizzato proprio da Moore, in cui suona per la prima volta dal vivo con gli Arcadians, band che comprende lui e la sua ragazza e futura moglie Kim Gordon. Una volta rimediato un batterista, il gruppo viene rinominato in "Sonic Youth".

Sonic YouthIl primo vagito dei Sonic Youth viene registrato per la Neutral di Glenn Branca e inciso con una formazione provvisoria (alla batteria Richard Edson, futuro attore cinematografico e televisivo). Sonic Youth è un mini-Lp coraggioso, che riflette un certo modo di sentire la musica, figlio del post-punk meno ortodosso, dell'avanguardia e della no-wave. Il disco è un piccolo manuale sull'uso improprio (o alternativo, se vogliamo) della strumentazionerock. "The Burning Spear", il capolavoro dell'opera, ce ne dà una prova: la batteria, figlia del post-punk più storto, stende un ritmo secco e squadrato con in sottofondo il basso, intento a ripetere un semplice giro groovy e rimbombante: fin qui nulla che non si sia già sentito. Ma cos’è quel tintinnio metallico? E quel barrito dissonante? Il primo è il rumore di una chitarra suonata con due bacchette, prima sfregate tra di loro sulle corde, poi usate come strumento di percussione con cui Moore colpisce il corpo della chitarra; il secondo viene da... un trapano! Ecco che con strumenti preparati i quattro riescono a confezionare un brano rock ritmico e con un certo appeal melodico, sebbene non venga suonata (basso a parte) nemmeno una nota.
Gli altri pezzi sono meno radicali ma ognuno propone idee valide e personali: "I Dreamed I Dream" si trascina spinta da due chitarre ripetitive e tintinnanti, "She's Not Alone" rincara con un groove tribale e l'uso della chitarra ridotto a pura funzione ritmica, "The Good And The Bad" addirittura dà propulsione al noise martellante con un ritmo funk à-la Killing Joke prima maniera. Tutto ciò è un'anteprima moderata della musica infernale del successivo Lp e un manifesto interessante - seppur acerbo - sull'aria che tirava nella New York sotterranea nei primi anni Ottanta.

Nel 1983 dopo un piccolo cambio di formazione (Jim Sclavunous e Bob Bert sostituiscono Edson alla batteria) vede la luce il loro primo album Confusion Is Sex, sempre su Neutral.
Il disco fa propri i canoni orrorifici della no-wave (rumore metallico, percussività ossessiva, squilibrio psichico, apocalisse metropolitana), combinandoli alla perfezione in una sequenza di brani eccezionali in quanto a forza espressiva ed elaborazione sonora. La vera rivoluzione sta nell'impianto chitarristico: il suono e lo stile di Moore e Ranaldo si distinguono subito da quelli degli altri no-waver per le loro tessiture ordinate, a volte al limite della trance psichedelica, mentre Kim Gordon suona giri di basso elementari e ripetitivi, decantando l'alienazione e l'ansia metropolitana con la sua voce gelida.
"She's In A Bad Mood" si presenta come il brano più musicale, con un finale martellante che farà da abc per le future generazioni di noise-rocker. Da qui in poi comincia la discesa nei meandri più malsani di quel mostro chiamato metropoli: un susseguirsi di brani freddi e atonali in cui aleggiano gli spettri e gli incubi di relitti umani.
La lunga nenia di "Protect Me You" e il delirio di "Shaking Hell" (il brano più prettamente no-wave) sono esempi perfetti della poetica del gruppo: ansia, paura, ossessione per il caos e la perdita di lucidità. La psicotica "Confusion Is Next" è uno degli apici del disco: il basso pulsa inarrestabile, mentre il clangore distorto e cacofonico delle chitarre fa da sfondo a frasi ripetute quasi per inerzia da Moore, fino al finale quasi hardcore; nemmeno i baccanali dei Velvet Underground e il rumore sinfonico di Branca erano arrivati a dipingere scenari di completa pazzia come questi. Ma la confusione è anche sesso. Sesso come piacere estremo, violento, simulato dalle sventagliate assordanti di Ranaldo (che pone il suo sigillo al disco con la splendida "Lee Is Free"), e dal battito meccanico di "The World Looks Red", surreale nel suo essere ballabile nonostante i rumori anormali prodotti dalle chitarre.
Confusion Is Sex è tuttora uno dei dischi più estremi e violenti mai registrati - al punto da essere il preferito di molti fan del gruppo - e mette in luce le numerose idee brillanti dei primi Sonic Youth, che già all'esordio sfoggiavano una capacità di gestire la massa sonora praticamente sconosciuta a qualsiasi altra band alternativa del periodo.

Successivo di qualche mese, l'Ep Kill Yr Idols - inizialmente pubblicato solo in Germania dalla Zensor ("quando a nessuno sembrava importare di pubblicare un nostro disco") - oltre a ripescare "Protect Me You" e una versione infuocata dal vivo di "Shaking Hell", presenta tre inediti: l'art punk in crescendo, come dei Birthday Party sulle rive dello Hudson, della title track; il cerchio di fuoco del cerimoniale di "Brother James" e la sibillina "Early Americans".

Nel 1984, reduci da un disastroso tour in quel di Londra, i Sonic Youth tengono una serie di esaltanti concerti a New York. Nel frattempo, dopo il matrimonio tra Kim e Thurston, la band entra nei Before Christ Studios di Brooklyn dove, tra settembre e dicembre, registra, con Bob Bert di nuovo dietro le pelli e il supporto tecnico di Martin Bisi e John Erskine, il materiale che convoglierà in Bad Moon Rising, opera seconda che, già nel titolo (che ricalca quello di una canzone anti-bellica dei Creedence Clearwater Revival, pubblicata nel 1969 sull'album "Green River"), esprime una visione fosca e claustrofobica dello stato delle cose negli States assediati dalla Reaganomics. Mediante un flusso di coscienza lisergico (senza soluzione di continuità, infatti, i brani scivolano uno dentro l'altro), Bad Moon Rising attiva una percezione sconfinata, elevando i temi della follia e della morte a cardini di un disegno lirico in cui le stesse diventano nient'altro che una via di fuga verso una libertà fatta di visioni ancestrali, di estasi sibilline, di corse a perdifiato attraverso deserti che si estendono a perdita d'occhio, fino al limite massimo del mondo, fino al baratro ultimo della ragione.
Viene, insomma, superata, dopo averla digerita, la tensione apocalittica e "negativa" del disco precedente, per imboccare la strada di una psichedelia rumorista contaminata dal nervo scoperto di un misticismo sovversivo e intimamente terreno. Brucia, dunque, la testa di zucca dello spauracchio che si staglia contro un orizzonte dai colori smorzati, mentre i grattacieli della Grande Mela, nel contrasto di luci e ombre, nascondono marciume e degrado, amore e disperazione, litanie inascoltate di esseri derelitti circondati dal via vai di altri esseri, anch'essi reietti, ma senza nessuna consapevolezza. Eppure, questa è una città dove scoppi improvvisi di speranza e di candore tumulano, anche solo per brevi attimi, il terrore e l’angoscia, spingendo altrove il cuore e la mente. Corde di cristallo, arpeggiate come in trance, scivolano, dunque, verso panoramiche tridimensionali di ebbra nostalgia: il cuore nello stomaco, a pompare sangue che non riverserai altrove, trattenendolo nelle viscere come una memoria che solo durante notti insonni disseppellirai come un'arma contro l'estinguersi, lento e inesorabile, della tua fiamma ("Intro").
E quei dedali di atonali convulsioni che trasfigurano la purezza del delirio, lanciando la cavalcata desertica di "Brave Men Run (In My Family)", come dei Meat Puppets a doppia velocità che insistono/resistono dentro tempeste di sabbia, prima di concedere il palcoscenico al mantra dell'anomia di "Society Is A Hole". Una società che pone distanze, lasciando che la menzogna diventi norma ("...it makes me lie to my friends..."), mentre cresce a dismisura l'assalto del "sacro rumore".
Tutto è contagiato, infetto, talmente confuso che le differenze svaniscono, per dare spazio a una babele divina dove, tra le altre cose, gli amici sono solo "ragazze chiuse in corpi di ragazzi". E, mentre tutto è frammentato, prossimo alla disintegrazione, l'unica ancora di salvezza è la ricerca della pace ("We are living in pieces/ I want to live in peace").
Aperta da una rivisitazione very lo-fi e disorientante di "Not Right" degli Stooges, "I Love Her All The Time" è dapprima dichiarazione d'amore sotto forma di letargico ardore, poi sublime, infernale orgia tribale, disinnescata da una delle distorsioni più traumatizzanti di sempre: chitarre che prendono letteralmente fuoco, stuprate con bacchette e accordate nei modi più assurdi. A questi Sonic Youth non interessa soffermarsi sull'atto compositivo, quanto, piuttosto, tradurre in suoni, con ogni mezzo possibile, determinate alterazioni della coscienza. Poi, nella notte, un treno che si fa strada, abbagliando con le sue luci diamantine. Scordature e recitato sonnambulo, crescendo ritualistico ("Ghost Bitch"), fino alla catalessi elevata a danza pellerossa in "I'm Insane" (con coda di frequenze e voci aliene), in un cerchio di fuoco in cui il matto declama la sua pazzia, delocalizzandone la "ratio" ("Inside my head my dog's a bear/ She was significant").
Concettualmente, il disco si chiude con la figura depressa di chitarra che muove la sua agonia oltre il cerchio caotico di "Justice Is Might". Ma da un punto di vista "lirico", la furente discesa negli inferi di "Death Valley '69" (ispirata ai massacri della "famiglia" Manson e forte della partecipazione vocale di Lydia Lunch) ne rappresenta la risoluzione effettiva, con i suoi sovratoni allucinati, il clima orrorifico, la sua galoppata sfrenata attraverso canyon e foreste, fiumi e montagne di un'America illuminata da fuochi d'artificio al napalm.

Sonic Youth - Thurston MooreDopo la sbornia visionaria della "luna cattiva" e l'arrivo del batterista Steve Shelley, proveniente dai punkers Crucifucks, arriva la chiamata del chitarrista dei Black Flag, Greg Ginn, che mette la band sotto contratto per la sua SST, etichetta per per la quale, nel maggio 1986, esce Evol, da molti considerato come il vero capolavoro della band.
Evol rappresenta uno snodo essenziale nell'ambito dell'evoluzione sonora del quartetto. Mediando, infatti, tra lo sperimentalismo rumorista dei primi lavori e una scrittura più orientata verso il formato-canzone, questo disco può, a ragione, essere considerato come una sorta di spartiacque tra la prima e la seconda fase della band. L'oscurità malsana che avvolgeva il disco precedente viene qui sostituita da chiaroscuri finanche romantici, anche se a trionfare è pur sempre il turbamento sonico. Se, dunque, il primo minuto di "Tom Violence" (con quell'incedere epico e indolente) fa pensare a una normalizzazione in atto, i restanti due ci trascinano in un'oscura mareggiata di rumorismi fibrillanti che bruciano come tizzoni ardenti in un letto di ghiaccio.
La violenza è "un sogno", sentenzia Moore. Ma è un sogno che sconfina, di lì a poco, nell'intimo di una dichiarazione sommessa come quella di "Shadow Of A Doubt". Mentre le chitarre ticchettano un carillon tiglioso, Kim bisbiglia, quasi in trance, il segreto che scinde realtà e immaginazione: un dualismo, quest'ultimo, acuito dallo scontro tra il candore avvelenato di un'elegia notturna e lo squarcio disastrato degli accordi in rotta di collisione contro la verità che si manifesta, nuda e cruda: "It's just a dream/ It's just a dream I had". Il sogno, insomma, come alveo dentro cui la musica torna, continuamente, per rigenerarsi. O come sentiero verso l'invisibilità, vero antidoto all'esserci in frantumi: "My mother used to say / 'You're the boy that can enjoy invisibility'/ I'm the boy that can enjoy invisibility/ Close your eyes make a wish/ Cross yourself/ See yourself/ Feel yourself".  Introdotto da un groviglio di sinistri frastuoni, il carillon di "Secret Girl" sospende questa chanteuse del degrado morale newyorkese nel limbo di una percezione temporale inerte. Non più un futuro da scoprire giorno per giorno, ma solo un presente eterno che scava tra le macerie dei ricordi.
Ma la componente onirica, nasconde, naturalmente, anche una controparte diabolica (fino al culmine macabro, depresso e dissociato di "Marilyn Moore"), anche quando le soluzioni lasciano presagire una più decisa virata verso territori "pop", come nel caso del cantilenare fiero del singolo "Star Power", repentinamente immerso nell'acido rovente di un (pre-)grunge lisergico.
Il clima allucinato e l'impeto anarchico della "luna cattiva" ritornano nel delirio di "In The Kingdom #19", con Mike Watt al basso: collasso free-form di spoken word e derelitta quotidianità metropolitana, in bilico tra punti di fuga diversi e contrapposti (così come, del resto, il baccanale strumentale di "Death To Our Friends" s'agita, furibondo, tra fughe esponenziali e mulinelli tempestosi). La marziale e Velvet-iana "Green Light" gira, invece, su se stessa come un mantra di scarnificazione, prima di scivolare ("Sister" è appena dietro l'angolo...) tra le fauci assassine di un dirupo atonale, verso l'incanto di una nenia maligna.
Se Evol è titolo ambiguo (è "love" al rovescio, e si pronuncia come "ivol", in assonanza con "evil"), allora la chiave di lettura è racchiusa in quel capolavoro dal minutaggio infinito (∞) che è "Expressway To Your Skull" (indicata sul retro di copertina col titolo di "Madonna, Sean and Me" e sul foglio delle liriche con quello di "The Crucifixion Of Sean Penn"): epico crescendo di febbrile, nitida, sarcastica ("We're gonna kill/ the California girls") desolazione, votata alla ricerca di una felicità senza fine ("We're gonna find the meaning/ Of feeling good"), attraverso distruzioni dissonanti e figure di basso che, come in un piano sequenza alla rovescia, ridiscendono verso il centro dell'Universo, immergendosi in un drone imperituro. Locked groove dell'angoscia (di un'angoscia che deturpa i falsi miti del flower-power e dell'estate dell'amore), dove i suoni sono pure immagini scolpite tra le maglie del silenzio.

Entusiasta del disco, e in particolare del brano "Secret Girl", il regista Ken Friedman chiese alla band di scrivere la colonna sonora del suo road-movie, Made In USA. Lontano dagli sperimentalismi dei dischi precedenti, il quartetto si concentra un po' a sorpresa su brani per lo più strumentali, dai toni chiaroscurali e immaginifici, raramente comunque davvero capaci di toccare le corde giuste. Brani trasognati quali "Hairpiece Lullaby 1 & 2", "Moon In The Bathroom", "Lincoln's Gout", "Coughing Up Tweed" e "The Dynamics Of Bulbing" costringono il tessuto sonoro della band nel solco di un tradizionalismo impressionistico che, naturalmente, ha nella grande madre America il suo baricentro emotivo. Per certi versi si potrebbero azzardare paragoni con il Ry Cooder di "Paris, Texas" (si vedano, per esempio, anche le quattro variazioni di "Smoke Blisters", in cui davvero sembra di essere al cospetto della tacita imponenza del deserto), ma la scrittura non sempre è all'altezza della situazione, mostrando, spesso e volentieri, un certo grado di disagio propositivo, oltre che una ripetitività di fondo. Se "Web Of Mud 1, 2 & 3" sperimenta con clangori, dissonanze e armonici introversi, il resto del disco è conteso, in maniera alquanto caotica, tra le scintille power-pop di "Bachelor's in Fur", "Full Chrome Logic" e "Cork Mountain Incident", l'enfasi di "Tuck N Dar", gli accenti garagisti e i tocchi sibillini di "Thought Bubbles" e il country vagamente western di "Rim Thrusters". Si contano, inoltre, tre revisioni di "Secret Girl": "The Velvet Plug" concede molto più spazio alle ragnatele "concrete" dell'intro, mentre ne rallenta la parte melodica; "Tulip Fire" riduce quest'ultima a pulviscolo metallico e, infine, "O. J.'s Glove Or What?" si perde dietro una coltre di mistero.

Reduci dai consensi raccolti da Evol e dall'ingresso nella scuderia dell'importante etichetta SST, l'anno successivo i Sonic Youth pubblicano Sister, album che accentua la loro attenzione per trame melodiche rallentate, percorse da continui giochi di dissonanze, e nel contempo li consacra quali abilissimi autori di canzoni dalle tinte diversissime: allucinate, ironiche, scatenate, visionarie.
L'album rappresenta un'importante transizione verso la "maturità sonica", verso una precisa e personalissima definizione di un post-punk fatto di ballate abrasive, frammentazioni ritmiche, riff incendiari, ma che testimonia anche lo sforzo volto alla riduzione in "canzoni" dalla durata media di quattro minuti delle lunghe cavalcate dei dischi precedenti. Ne risulta l'album forse più "rock" fino a questo momento, che omaggia in maniera dichiarata il punk-rock più classico (Stooges in testa) in brani rapidi ed espliciti come "Catholic Block" e nella cover dei Crime "Hot Were My Heart", senza con ciò smarrire nessuna delle peculiarità per le quali i Sonic Youth cominciavano ad affermarsi su più vasta scala.
Accanto a ballate elettriche al contempo nervose e fluide (e spesso anche al loro stesso interno) convive, infatti, tutta l'ormai abituale costellazione di distorsioni e destrutturazioni che intervengono a sporcare con pathos psicotico frammenti di canzoni dai tratti altrimenti quasi radiofonici: le splendide "Tuff Gnarl" e "Pipeline/Kill Time" possono a ragione considerarsi quali emblemi ideali dell'equilibrio conseguito tra le due anime artistiche della band newyorkese e della sua maestria nel bilanciare sperimentazioni rumoriste e impeto punk con l'accresciuta fruibilità di una scrittura che comincia a contemplare in maniera più netta anche la melodia.
Dalla psichedelia aspra e sbilenca dell'iniziale "Schizophrenia" agli elaborati crescendo di "Kotton Krown", fino alla febbrile concisione della conclusiva "White Cross" si cominciano a intravedere con nitidezza i tratti che caratterizzeranno la parte centrale della produzione della band e che troveranno compiuta espressione già nel seguente, magnifico Daydream Nation.

Ultimo disco pubblicato per la SST (tralasciando il live Sonic Death rilasciato nel 1988 e contenente esecuzioni on stage comprese tra il 1981 e il 1983), l'Ep Master-Dik rappresenta uno dei momenti sicuramente più anomali della loro carriera. Musicalmente parlando, trattasi di un lavoro altamente incoerente, che cerca a tutti i costi di risultare sconcertante. Tra una rilettura di "Master Dik" che, oltre a sostituire Shelley con una drum-machine (finendo per apparire come una via di mezzo tra i Big Black meno bellicosi e i cugini timidi dei Run DMC!), vede anche la presenza di J Mascis alla chitarra solista, e una cover davvero fuori luogo dei Ramones ("Beat On The Brath"), il "grosso" del disco è appannaggio di mini-suite come la strampalata "Under The Influence Of The Jesus & Mary Chain/Ticket To Ride/Master-Dik/Introducing The Stars" (dove si ascoltano sprazzi di un'intervista con un giornalista francese, una bislacca ripresa dei baronetti di Liverpool e scompigli assortiti) e il caotico, grossolano divertissement di "Ringo/He's On Fire/Florida Oil Drums". Tralasciando le più che superflue "Chinese Jam" e "Vibrato/Guitar Lick/Funky Fresh", presentano, invece, qualche motivo di interesse, i field recordings di "Our Backyard". Ma, a conti fatti, si tratta di materiale per completisti incalliti.

I Sonic Youth nel 1988 avevano già alle spalle una serie di album eccellenti che evidenziavano un marcato progresso tecnico e stilistico verso una canonizzazione delle loro dissonanze, in direzione di una forma più orientata alla canzone rock. Se "Sister" ribolliva di pulsioni garage-rock, il doppio Lp Daydream Nation fu il passo definitivo verso la codificazione del noise-rock come lo si intende oggi: brani strutturati in strofe e ritornelli (salvo qualche sbandamento o coda rumorista) con melodie vocali e riff veri e propri, ma che mantengono in questo caso l'uso non ortodosso della strumentazione che ha caratterizzato i primi sei anni di gioventù sonica.
Il miracolo di Daydream Nation sta proprio nel piegare le armonie dissonanti tipiche della band al formato rock, anziché a contorte sinfonie del degrado. Anche il clima cambia, si fa più variegato, con atmosfere di più ampio respiro che vanno dall'inno generazionale alla sfuriata punk al trip lisergico, con la costante di un mood spaesato e malsano, che serpeggia tanto tra le righe dei versi stranianti e surreali, quanto tra le colate di rumore di Lee Ranaldo.
Proprio un rock-anthem apre il disco, cantando di una "Teenage Riot" che rappresenta il manifesto della cultura underground nata attorno alle etichette indipendenti negli anni Ottanta. È un brano ruggente e senza tempo, che esplode dopo un incipit lieve e che scodella un riff tanto sbilenco quando perfetto, mentre Moore canta con l'irruenza di un ragazzino. Sempre lui è il protagonista di "Silver Rocket", un punk-rock supersonico inghiottito in un intermezzo noise sconnesso, da cui il riff portante riemerge pian piano con un crescendo devastante.
La prima metà del disco ospita i due capolavori di Kim Gordon, "The Sprawl" e "Cross The Breeze", due magnifici esperimenti sul formato canzone. La prima parte con un andamento alla Velvet Underground con tanto di testo recitato, per levitare in una coda amorfa e straniante in cui gli strumenti ripetono una frase in loop; la seconda, al contrario, si fa canzone dopo una cavalcata elettrica martellante.
Aggiungono colore al disco "Hey Joni" e "Eric's Trip", due ballate firmate da Ranaldo che dimostrano il suo amore per la psichedelia americana; inconfondibile il suo timbro reediano/dylaniano, tra il canto e il declamato.
Il secondo Lp dell'album inasprisce il clima, prima con la ballata "Candle", poi con le distorsioni massimaliste di "Rain King", esempio di tortura sistematica degli strumenti. Per finire, l'imponente suite "Trilogy", che si svolge in tre movimenti; è un brano colossale, che passa dalle pulsioni minacciose del primo movimento alla psichedelia del secondo, per finire con la scarica hardcore dell'ultimo.
Daydream Nation è un album totale che nasce per diventare un classico e segnare il passaggio definitivo dagli anni Ottanta agli anni Novanta. I suoi solchi riescono a concentrare rabbia, disillusione, speranze, sogni e incubi di un'intera generazione che con i Sonic Youth si farà adulta e approderà al decennio successivo, portando al suo sviluppo definitivo il rock alternativo americano del decennio precedente.

Dopo essere diventati gli alfieri del rock indipendente americano, i Sonic Youth seguono la scia di Rem e Husker Du e firmano per una major, ponendo fine alla prima fase della loro carriera; questa scelta sarà oggetto di critica da parte di numerosi fan (alcuni arrivano a considerarli finiti dal punto di vista artistico da questo momento).

"Punk went good with Madonna (…) I put a picture of Madonna on my bass" (Mike Watt).

Ciccone Youth è un bizzarro supergruppo avant-pop allestito dai sonici con l'amichevole partecipazione di Mike Watt, bassista di Minutemen e fIREHOSE (più J Mascis in un brano), sperimentando incessantemente in studio improbabili jam elettro-noise-rock e pseudo-cover di Madonna (e Robert Palmer).
Un insieme a base di demenziali abbozzi di canzone, sample e cut-up, cantato debosciato ("Into The Groovey") e un insolito beatbox drums che affianca le chitarre metalliche connotando marcatamente i suoni ("Macbeth", "Platoon II", "Me & Jill/Hendrix Cosby", "March Of The Ciccone Robots", "Children Of Satan/Third Fig" dalle sincopi Talking Heads).
Come prendere questo progetto... per ciò che è: uno squilibrato, divertito ritrovo situazionista ("kind of scary", secondo Watt), sorta di tour isterico-sornione da parte di campioni del rock-underground.
Anticipato nell'86 dal singolo "Into The Groove(y)/ Burnin' Up", The Whitey Album esasperò le attese per poi illudere, riducendosi a poco più d'un canovaccio di dubbia identità, un coacervo dispersivo e un po' spossante, con assai meno corpo di quel "White Album" da cui prendeva le mosse.
Non mancano tuttavia episodi godibili, persino irresistibili: si pensi alla coolness di "Burnin' Up" ad opera di Watt, o all'impeccabile cover di"Addicted To Love" ad opera di una sensuale Kim o a "Making The Nature Scene", e ai suoi versi all'hip-hop con recita allucinata.
Per quanto i colpi a segno sbuchino casualmente "sfoltendo" disomogeneità e noiose intro spoken, The Whitey Album è un buon anticipo di ciò che lì a poco sarebbe stato chiamato slacker-rock.
Oggetto di varie ristampe durante gli anni, il remaster del 2006 dell'album aggiunge una trascinante alternate di "Macbeth".
Per completisti del gruppo e appassionati del pop low-fi più sperimentale.

Sonic Youth - Kim GordonGoo (1990) è il primo album a nome Sonic Youth a uscire per la Geffen Records, ed è un album di assestamento dopo la scossa rivoluzionaria del predecessore. La band infatti addolcisce leggermente la medicina di Daydream Nation, smussando gli spigoli di certe distorsioni e contraendo i tempi di certe digressioni strumentali; d'altro canto il suono si fa più robusto, quasi grunge, a dimostrazione di come Moore e soci sapessero cosa stava emergendo a Seattle in quegli anni. L'album suona per lo più poco incisivo, scorrendo senza regalare molti momenti di alto livello, a partire dall'incipit "Dirty Boots", che suona come una versione più caciarona di "Schizophrenia".
I brani veramente significativi sono quelli che conservano le dilatazioni psichedeliche del disco precedente, come "Tunic (Song For Karen)", con una Gordon eccellente che passa dal recitato a un cantato suadente, mentre gli strumenti deragliano dalla melodia portante del ritornello. Gli altri capolavori del disco sono la cavalcata epica di "Cinderella's Big Score" e il colosso finale "Titanium Expos", un brano camaleontico cantato da Moore e Gordon che incrocia il noise ossessivo dei Big Black con la psichedelia più acida.
Il resto della tracklist è diviso tra brani decisamente deboli (come il punk-pop sfigurato di "Mary-Christ", l'hardcore di "Mildred Place" o "My Friend Goo" e il suo riff di basso distorto) ad altri non esaltanti ma di buon livello, come "Kool Thing", con Chuck D dei Public Enemy ospite alla voce (Moore è sempre stato un appassionato di musica hip-hop) e "Disappearer", sullo stile dei precedenti dischi.
Nonostante la presenza di pezzi raffazzonati o deboli, Goo spiana la strada per il successo di pubblico degli album successivi; i Sonic Youth cessano di essere un fenomeno alternativo e divengono delle icone vere e proprie del rock americano.

Dopo un disco di transizione i Sonic Youth approdano a un nuovo suono, spogliato dell'elemento etereo e liquido che li ha sempre contraddistinti e caratterizzato da un timbro più sporco e massivo, in linea con le sonorità trasandate dell'era grunge, ormai al suo culmine. Con Dirty (1992), infatti, la band newyorkese dà la sua interpretazione di quel grunge di Seattle del quale era stata essa stessa ispirazione. Da un lato qualche purista storce il naso, dall'altro arriva un successo finora inimmaginato, frutto del loro album più accessibile al grande pubblico.
Il disco è un esperimento riuscito a metà; da un lato emerge il genio di un tempo, espresso in alcuni brani che rivaleggiano con qualsiasi classico del loro repertorio passato, dall'altro compare una manciata di pezzi - tra cui i singoli - che declassano i Sonic Youth da maestri a discreti mestieranti all'inseguimento dell'ultima tendenza. I giri di basso minimali di Kim Gordon fanno spazio a pesanti riff distorti, il canto efebico di Moore si fa sgolato e svogliato come quello di Cobain (Gordon invece sembra imitare le urla delle riot grrrl) e pure gli arabeschi delle due chitarre si compattano in riff più monolitici. Nascono così i pezzi più diretti e trascurabili del disco, "Drunken Butterfly", "100%" e "Youth Against Fascism", con solo qualche trovata a salvarli dalla mediocrità (per esempio il riff dell'ultima, suonato strofinando la bacchetta della batteria sulle corde).
Per il resto l'album offre episodi di tutto rispetto, come la cavalcata "Chapel Hill" e le solenni "JC" e "Theresa's Sound-World", in cui rivive quel suono limpido, cristallino e bruciante che ha reso grandi i Sonic Youth. "Sugar Kane" è un altro apice, un brano continuamente sconvolto da esplosioni di rumore epiche e agganci pop; la disperata "Wish Fulfillment" è una grandissima prova di Ranaldo, con una strofa arpeggiata e una distorsione titanica che cresce fino a esplodere nel ritornello.

Smaltita l'esperienza del grunge, i Sonic Youth hanno l'intelligenza di saperne uscire prima che il carrozzone di Seattle si schianti, nel momento del suicidio di Cobain. Experimental Jet Set, Trash & No Star del 1994 è infatti un album avventuroso, difficile e anticommerciale, che però ottiene gran successo di pubblico nonostante la band abbia rinunciato al tour di promozione a causa della gravidanza di Kim Gordon.
Messi da parte i chitarroni di Dirty, si affaccia un suono più cupo e rugginoso, che serpeggia in alcuni dei brani più angosciosi mai composti dai Sonic Youth. Quelle del disco sono delle non-canzoni che trovano la loro bellezza ideale nell'incompletezza, nel gusto per il grezzo, il non lavorato, il trasandato. Si capisce dai primi secondi della perla lo-fi "Winner's Blues" che le cose sono cambiate; anche il singolo "Bull In The Heather" mostra i Sonic Youth in una veste inedita, con un brano senza alcun tiro melodico, diviso tra arpeggi docili e rumori di corde sfregiate coi plettri.
I restanti pezzi sono tutti dei piccoli capolavori: si va dalla ballata "Self Obsessed And Sexxee" alla psichedelia agrodolce di "Sweet Shine", passando per momenti di classica schizofrenia come "Androgynous Mind" e "Starfield Road", scossa da cacofonie elettroniche.
A riallacciarsi all'esperienza grunge è la sola "Screaming Skull", che nel testo rievoca gli anni del periodo SST, prima che il gruppo raggiungesse la notorietà.

Dopo due lavori che li hanno portati a raggiungere considerevoli vette di popolarità (anche in seguito a quale malinteso accostamento al grunge), i Sonic Youth attraversano un altro dei tanti momenti di snodo della loro carriera. Chetatosi, almeno in parte, il clamore di quanti ne aveva scoperto le gesta solo dopo oltre dieci anni di attività, la band licenzia un album estremamente complesso e certamente non adatto a ingraziarsi nuovi adepti. Washing Machine rappresenta da un lato il ritorno a un'ispirazione primigenia, costellata da impennate post-punk e da un placido lavorio su trame dissonanti, e dall'altro la definitiva transizione a una "maturità sonica", artistica, anagrafica e anche personale, visto che si tratta del primo lavoro dopo la nascita di Coco Hayley, figlia di Kim Gordon e Thurston Moore.
A smentita di ogni possibile aspettativa di stanchezza, si tratta di un album denso e assolutamente vitale nel quale convivono fianco a fianco accuratissime trame elettriche, incursionipunk e ballate più pacate, dai toni in un paio di occasioni decisamente sfumati. Anche in questi ultimi casi non mancano, tuttavia, gli ormai caratteristici intarsi di suoni e tenui asperità, seppur serventi a brani morbidi come la quasi ninnananna "Unwind" e la canzoncina tutta al femminile (vi partecipa anche Kim Deal) "Little Trouble Girl".
Si tratta però di episodi isolati nell'oltre un'ora di durata del disco, lungo la quale la band dimostra di non aver smarrito l'urticante carica di un tempo: ottime prove possono essere gli scatenati pezzi cantati dalla Gordon, cui la maternità non ha sottratto lo spirito da sex-symbol alternativo, ancora capace di esternarsi nell'allucinata destrutturazione della title-track e nell'insistita provocazione no-wave di "Panty Lies".
Ma l'essenza centrale del lavoro e del maturo equilibrio tra elucubrazioni noise e melodie spigolose sotto forma di canzone risiede nei fluidi intrecci chitarristici che si prestano tanto a stranianti iterazioni armoniche, quanto a crescendo urticanti, che spesso convivono all'interno dello stesso brano. Il suono dei Sonic Youth ormai quarantenni è tutto nello spirito di una eterna giovinezza punk di "Becuz" e "No Queen Blues", ma anche nella disincantata consapevolezza di brani come "Junkie's Promise" e "Skip Tracer", che trovano esito ultimo nel finale spiazzante di "Diamond Sea": venti minuti intensi e sfumati, quasi la colonna sonora di un sogno che abbraccia un'intera esperienza artistica e dimostra la grandezza di una band capace di utilizzare linguaggi differenti e di riuscire nella non agevole impresa di convogliare in forme fruibili suggestioni e sperimentazioni riconducibili all'intenso percorso della sua formazione musicale.

In parallelo con l'uscita di Washing Machine, la band dà l'avvio a una serie di produzioni parallele, sulla sua neonata etichetta Sonic Youth Recordings, improntata a finalità dichiaratamente più sperimentali, nelle quali dar libero sfogo alla voglia di percorrere nuovi itinerari musicali, ancora presente come lo era alle sue origini.
Questo ritorno allo spirito esplorativo iniziale (più dal punto di vista concettuale che da quello strettamente musicale) si evidenzia anche nel successivo A Thousand Leaves, che peraltro segue da presso le prime due produzioni targate SYR, Anagrama e Slaapkamers Met Slagroom.

Nel maggio '97, non ancora diradati i vapori del doppio Washing Machine, i Sonic Youth pubblicano un enigmatico mini-cd cartonato, dal nome Anagrama (SYR 1). Questo lavoro inaugura l'etichetta Sonic Youth Records (che Thurston affianca alla propria label, la Ecstatic Peace!) e intraprende un progetto in cui esaltare vocazioni sperimentali, favorire pulsioni intellettuali e tuffi avanguardistici limitati dalle pressioni dell'industria discografica.
Secondo la critica si tratta di un ritorno duro e puro al passato del gruppo: un riappropriarsi delle origini e di quell'istinto lucido e sporco dei primi quattro album prima che l'acquiescenza pop dei vari Goo, Dirty ecc. s'insinuasse e prevalesse sulle altre anime "soniche".
Rimorso di coscienza o meno, Moore e soci si addentrano in questo cammino "oscuro" con spregiudicata determinazione.

Anagrama si presenta in un cartonato che richiama con evidenza la collana di elettronica avvenirista anni '60 della Philips denominata Prospective 21° Siécle. Simili, infatti, sono le ambizioni e le intenzioni: proporre suoni che inseriscano "il preesistente in un contesto inconsueto" (per citare Vittorio Gelmetti) e gettino luce su attrazioni inusuali e acute, indagando nelle pulsioni umane ataviche e inconsce.
Quattro improvvisazioni strumentali saggiano il terreno. Se l'atmosfera da zero gravitazionale della miniatura "Tremens" richiama il post-rock coevo, la lunga title track offre un riflessivo riepilogo delle sonorità del gruppo. Poi è la volta di oscillazioni di synth, loop di chitarra e rumore bianco in perlustrazione ("Improvisation ajoutée", "Mieux- de corrosion"), a mostrare il lato più disturbante e astratto del nuovo corso.

A fine estate '97 è la volta del secondo mini-cd: Slaapkamers Met Slagroom, sorta di continuum del precedente, ma costruito anche su idee strumentali poi in A Thousand Leaves.
La title track è una possibile replica noise della tortoisiana suite "Djed": introduce un riff di Thurston Moore fiancheggiato dalla batteria, ripetuto ad libitum; a seguire innesti di feedback e distorsori a innalzare un fragoroso vento kraut-rock sullo sfondo. Il baccano si accentua nel corso del brano (a ricordare gli Stereolab più cosmici e ipnotici), tra drumming incalzante e gorghi chitarristici. Il flusso orchestrale domina la scena fino al brusco spegnimento e passaggio al successivo "Stil", gorgo minimalista conteso da distorsioni di chitarra e percussioni celestiali. La band cesella poi "Herinneringen", minuzia percorsa da bizze vocali di Kim Gordon.

Il terzo episodio di questa serie parallela dà luogo alla prima collaborazione dei Sonic Youth col musicista chicagoano Jim O' Rourke, uno dei più ingegnosi talenti compositori per l'avanguardia e la sperimentazione rock degli ultimi vent'anni. Il musicista come programmatore, come "ponte nodale" che origina nuove possibili prospettive musicali e angoli surreali; che restituisce ambiguità e infonde fascino dell'ignoto.
Con la sua sapiente tramatura di dinamiche sonore, di varietà timbriche e sintesi vorticose, Invito Al Ĉielo mette a segno un colpo da maestro, segnalandosi tra gli essenziali album della neo-etichetta, ma anche tra i più notevoli lavori firmati Sonic Youth in tempi recenti.
Sono di scena due lunghe e avvolgenti composizioni ambient disseminate di tratti creativi, esposte come febbrili universi ermetici dai battiti inquieti e onirici. Un viaggio spirituale e drammatico che prefigura un nuovo ordine: la congiura cerimoniale ed evoluta di O' Rourke, musicista d'eredità classica, trionfa e menda quanto nei precedenti SYR era ancora di vago e sfocato, insinuandovi una nuova logica geometrica e potente energia vitale. La title track e "Radio-amatoroj" sfoderano ampie sintesi rock e avanguardia d'alto livello; un alienato e diafano fondo ambient è allucinato da assalti lisergici e coloriture noise, volteggi di tromba e inserti glitch laptop. Straniti percorsi melodici dal distinto senso opaco-futuristico vengono sviluppati gradualmente tra armonie e dissonanze di synthe amplificatori, manipolati secondo lo Stockhausen "intuitivo" dell'opus "Aus Den Sieben Tagen".
E’ un continuo esplorare immagini terrene e parvenze celesti, tra ascese e perlustrazioni nello spazio: motorik kraut-rock in avanscoperta, sembianti post-rock di chitarre in perenne accompagnamento-strumming sospeso sul margine del vuoto, pulsazioni celestiali di tastiera, episodiche bordate noise. E ancora, balugini, residui e ronzii, onde radio e rumore astratto, clangori e percussioni strumentali.

Sonic YouthIl successivo album A Thousand Leaves si presenta come un lavoro ponderoso, con la sua ora e un quarto di durata totale e brani in prevalenza lunghi e articolati, che allontanano vieppiù la band dalla dimensione indie-rock alla quale era stata accostata, per restituirla agli originari giochi a incastro tra vortici sonori, feedback e dissonanze.
Quasi a fare da contraltare all'accurata elaborazione dei suoni in lunghe piéce che rappresentano vere e proprie sinfonie soniche costellate di variazioni, l'album mostra i Sonic Youth impegnati in un paio di spunti decisamente più immediati, costituiti dalla solare popsong "Sunday" e dall'andamento jingle-jangle con cui inizia la peraltro aspra e destrutturata "Female Mechanic Now On Duty".
Per grandi linee, gli episodi che vedono alla voce la Gordon sono quelli più diretti e nervosi, saggi di un rock'n'roll i cui tratti spigolosi evidenziano ancora la vibrante sensualità delle sue interpretazioni ("French Tickler", "The Ineffable Me").
Di contro, alla maggiore compassatezza di Thurston Moore e Lee Ranaldo sono affidati i brani che meglio rappresentano la cifra stilistica di questo stadio evolutivo della band: un momento in cui non vengono certo deposte le chitarre roboanti né abbandonate le incursioni dissonanti del passato, ma vengono più spesso diluite in una quiete apparente, nella quale l'inquietudine suona sotto traccia, esaltando con semplicità trame stratificate e visionarie. È il caso della minuta perfezione di un cristallo di neve, resa in maniera straordinaria nella trasognata "Hoarfrost" e nella sentita elegia ad Allen Ginsberg racchiusa negli undici minuti di piccoli vortici e melodie avvolgenti di "Hits Of Sunshine".

Con modalità soltanto parzialmente diverse rispetto a quelle abituali, i Sonic Youth mostrano di mantenersi ancora a ottimi livelli di ispirazione e, se non fosse per di due brani finali di un album già lungo e articolato, si potrebbe considerare A Thousand Leaves quale vero e proprio manifesto dell'età matura della band newyorkese.

Come anticipato, il terzo episodio della serie SYR, Invito Al Ĉielo, segna l'incontro e l'inizio della collaborazione con Jim O' Rourke, che per qualche tempo si aggregherà in pianta stabile alla band, della quale costituisce parte integrante anche nel successivo NYC Ghosts & Flowers. Nell'album, l'apporto di O' Rourke è invero limitato a tre soli brani, nei quali contribuisce al basso e all'elettronica, risultando tuttavia più evidente dal punto di vista compositivo.
Interamente ispirato a una New York visionaria e decadente, il lavoro segna un ulteriore deragliamento dal suono recente della band, verso destrutturazioni che adesso prescindono quasi completamente dalle linee armoniche per privilegiare iterazioni ritmiche, mantra oppressivi, spoken word, spasmi e rumorismi minimali. Nei claustrofobici paesaggi urbani dipinti stavolta nel conciso volgere di poco più di quaranta minuti, non vi è più spazio alcuno per gli intermezzi in forma di canzone, né per il progressivo svolgimento dei lunghi brani dell'album precedente, ma tutto scorre intorno a una ricerca sul suono intesa, più che al rumore in sé, all'intersezione di orditi strumentali e alla conseguente creazione di atmosfere spettrali. Il tono e la dedica dell'album a New York sembrano quasi inquieti presagi di sventura, di paesaggi post-atomici dai tratti respingenti, che in definitiva aggiungono poco alla recente evoluzione dei Sonic Youth, riducendo a strutture scarnificate la ritrovata vena sperimentale dei lavori immediatamente precedenti e delle prime pubblicazioni SYR, dalle quali NYC Ghosts & Flowers finisce per non discostarsi più di tanto.

Accreditato ai Sonic Youth assieme a numerosi ospiti (William Winant/ Jim O' Rourke/ Takehisa Kosugi/ Christian Wolff/ Christian Marclay/ Coco Hayley Gordon Moore/ Wharton Tiers), il monumentale doppio Lp/Cd Goodbye 20th Century (1999) è un viaggio che preannunciamo difficile ma affascinante, che ripercorre omaggiando il ventesimo secolo al capolinea, in libere interpretazioni di brani di musica contemporanea.
Privilegiati sono alcuni tra i massimi autori del secolo, come John Cage, George Maciunas, Pauline Oliveros, Steve Reich, Cornelius Cardew, Christian Wolff. Alla produzione è nuovamente Jim O' Rourke, assieme a William Winant; onnipresenti nelle tracce, i due assistono e dirigono il cerimoniale in studio.
Straordinaria, in Goodbye 20th Century, è in particolare la presenza di alcuni tra gli autori originali, che fornisce un beneplacito e il risolutivo senso prospettico al progetto, ambizioso quanto encomiabile.
La Oliveros addirittura compone un brano per l'occasione, dal nome "Six For New Time - For Sonic Youth".
Goodbye 20th Century è una ricognizione poetica, una libera digressione artistica la cui ricercata sequenza e la calma forza di carichi di energia musicale acquisiscono un intrinseco valore estetico. Un excursus riconducibile al modello e perfettamente autonomo allo stesso tempo, che incede in molteplici direzioni e tra sinuose conflittualità, ritrovando un equilibrio e un respiro classici.
La dinamica della musica è percorsa da un senso agitato e incombente, un fremito irruente e stregato, un crescente e cangiante dinamismo. Se non è l'apice espressivo della serie SYR, certo è il più emblematico, che riverisce torcendo e che si annovera tra i più integri monumenti artistici all'arte del ventesimo secolo.

Proseguono, intanto, le soniche e sediziose elucubrazioni targate Sonic Youth Records. A tener banco stavolta è la sola Kim Gordon, assieme a due musicisti d'estrazione newyorkese: Ikue Mori a batteria ed electronics e DJ Olive (ovvero Gregor Asch) ai turntables.
SYR 5 - キム ゴ一ドン* / DJ カリ一ブ* / イクェ モリ* ミュ乛ジャル パ一スペスティブ  (1999) è un autentico trip elettro-psichedelico dal fascino cinematico, suddiviso in sezioni dal flusso erratico. Un composto ricco di impulsi energici, undici sezioni di elettroacustica, impro-rock e industrial in libera coazione. Un esempio straniante e proteiforme di cosiddetta "illbient music": per dirla con uno dei suoi artefici, Dj Olive, si tratta di un misto di ill (una sorta di infezione benigna, taumaturgica) e ambient, variamente infuso di estro collage, inserti sensitivi "dub-soundscapes"; le cui origini sarebbero da rintracciarsi nei primi anni 90 in quartieri della Grande Mela come Brooklyn e Manhattan (un'utile compilation ricognitiva è "Incursions In Illbient", Asphodel Records, 1996).
SYR 5 propone un allucinato e variopinto cataclisma sonico, come apparso in dormiveglia; un'esplosione surreale e pirotecnica piacevole a contemplarsi, drappeggiata da tastiere e organi vintage e tessuta da battenti chitarre elettriche (della Gordon), tra miriadi di schegge noise, loop e sample evocanti immagini profetiche e reminiscenze. Il semirecitato della Gordon è sommesso e ansiogeno, una rocket-girl in preda a deliri e visioni celestiali, come subisse sulla propria pelle, improvvise, le tempeste di questo narcotico e polimorfo elettro-shock musicale.

Il cammino della gioventù sonica riparte due anni dopo, con il valido Murray Street (2002). Deviato, ma senza eccessivi colpi di scena, l'album racchiude i geni odierni di Lee Ranaldo e soci: l'ingegno ammaliante nel realizzare brani dove il rumore si fonde alla melodia, il saperlo fare esaltando ogni singolo istante, da quello d'avanguardia a quello meno obliquo, pur restando fedeli alle coordinate che da sempre caratterizzano la formazione newyorkese. Jim O' Rourke, ormai, è entrato nell'organico della band e certe aperture, con vaghi e lontani echi pop, possono dipendere soprattutto da lui.
Le iniziali "The Empty Page" e "Disconnection Notice" sono i tipici brani Sonic Youth per la voce di Thurston Moore: melodicamente grezzi, con una frenesia che sembra apparente, salvo giungere puntuale con le concrete deflagrazioni finali. Meno originale, ma sempre piacevole, la successiva "Rain On Tin", in cui l'incessante (e mai eccessivo) muro sonoro finale, costruito sulle loro tipiche chitarre, ha il sapore di un "già sentito" che non dispiace riascoltare. Con "Karen Revisited", traccia che supera i dieci minuti, l'album raggiunge uno dei suoi punti più alti: un'ipnosi deviata, ma accessibile, incontra la sua perfetta evoluzione nel momento in cui la trama delle canzone viene abbandonata e subentra quel rumore effettato che molti hanno tentato inutilmente di emulare. "Radicals Adults Like Godhead Style" appare, pur non dispiacendo, come una "Theresa's Sound World" meno riuscita, mentre nelle conclusive "Plastic Sun" e "Sympathy For The Strawberry" è, finalmente, il turno della voce di Kim Gordon, stupenda nel passare dalla screziata schizofrenia del primo pezzo alla catartica dolcezza del secondo.

Sonic Nurse (2004) conferma una maggiore ricerca del riff limpido, dell'intreccio chitarristico elegante. "Pattern Recognition" è un potente brano pop, con Kim Gordon che canta alla sua solita maniera. Il placido ritmo di "Unmade Bed" ci introduce al primo brano cantato da Moore, con il suo bridge affidato a chitarre neanche troppo rumorose, che ricordano quasi il Neil Young più elettrico. "Kim Gordon And The Arthur Doyle Hand Cream" fa fare alla bassista la solita parte della furastica alle prese con gli idoli giovanili di massa, un brano che vorrebbe dare uno schiaffo all'album, con gli spigoli sbilenchi delle chitarre, ma che si risolve anch'esso con il solito ritornello vecchio e decrepito.
E' inutile a questo punto descrivere pezzi come "Stones" e "Dude Ranch Nurse", deja-vu noiosi e prevedibili, tra dissonanze consuete e intrecci di chitarra. Eppure, in conclusione, i nostri piazzano un brano che vale la pena ricordare: "I Love Golden Blue" ha un'introduzione quasi ambient, si trasforma poi in una musica in perenne tensione, estatica e eterea, dove Kim Gordon canta quasi sottovoce; anche quando farebbe presagire una scontata esplosione, la scelta è di frenarla in una stasi soffusa. Un brano in punta di piedi, che spiana la strada al pezzo conclusivo, dove Moore lancia questa specie di combriccola Crazy Horse in una ballata serena e quasi divertente.

Sonic YouthNel 2006 Rather Ripped segna la nuova svolta verso territori più propriamente pop-rock.
Il delizioso giro di apertura di "Reena" è perfetta sintesi del nuovo essere: Gordon a cantare come una diciottenne, spensierata in ogni sua fibra, il pezzo che scorre tranquillo, morbidissimo, la breve carica strumentale a distorsioni edulcorate, e ancora giri a salire, a salire. Sarà l'unico pezzo totalmente a fuoco del disco. Già, perché ben presto si inizierà a dover fare la conta dei superstiti. Non da subito, però: occorre far trascorrere il tempo di una "Incinerate", anche qui giro dolce e lievemente squillante, con un sorprendente assolo di chitarra. Ecco cosa volevano dire le interviste in cui si parlava di hard-rock!
"Do You Believe In Rapture?", arpeggi docili e arpeggi cupi a flirtare regala però il primo sbadiglio. Percussioni vagamente tribali e soli di chitarra provano a rendere graffiante la ordinaria "Sleepin' Around"; venti elettronici tentano lo stesso con "What A Waste". "Jams Run Free" trova uno degli spunti più interessanti, con un buon giro di tastiere, ma Gordon che sussurra l'amore è una cosa che non si può sentire e la distorsione marchio di fabbrica non aiuta. "Rats" trae vita da uno sprazzo blues/hard-rock a tinte cupe. "Turquiose Boy", dilatazione classica, ben arpeggiata ma non sviluppata adeguatamente, si apre troppo tardi e senza grinta. "Lights Out", sussurro caldo di Moore e solo avvolgente, diventa alla fine una delle soluzioni migliori. "Neutral", invece, spreca un inciso tanto abusato quanto efficace in una costruzione stucchevole.
Siamo agli sgoccioli, ma c'è spazio per lanciare la pietra del riscatto: trattasi di un (semi-)strumentale molto più classico, "Pink Steam", che, con i suoi intrecci e mescolanze, si lascia ascoltare. E per chiudere il colpo di coda senza guasti, arriva "Or", un'outro delicata, dark, e vagamente metallica.

Giunti agli sgoccioli del rapporto contrattuale con la DGC- Geffen, i quattro maestri del noise rock raccolgono una manciata di outtake, b-side ed inediti in un album- commiato con la label che diede loro la possibilità di passare sulla sponda major all’indomani della deflagrazione nucleare di Daydream Nation. The Destroyed Room. B-Sides and Rarities è un omaggio graditissimo per tutti i malati di completezza della discografia dei Sonic Youth, ma non è certo etichettabile come una raccolta di avanzi di magazzino o di seconde scelte, bensì una sequenza di brani che evidenziano una volta di più lo spirito pionieristico e sperimentale che ha sempre caratterizzato la carriera dei newyorchesi. Il periodo preso in considerazione va da Experimental Jet Set Trash And No Star a Rather Ripped, escludendo rarità del periodo precedente già riunite nelle esaurienti deluxe edition che hanno degnamente celebrato i primi due lavori del gruppo marchiati Geffen: Goo e l’indispensabile Dirty. Le tracce più recenti sono tre outtake di Sonic Nurse: oltre a “Kim’s Chord”, che parte delicata per poi divenire disturbata, e “Beautiful Plateau”, pregna di sfumature simil dark, entrambe già incluse nella japanese version dell’album, troviamo “Fire Engine Dream”, vera e propria ipnotica jam che apre la selezione. Sempre del 2003 è “Loop Cat”, edita nella compilation “You Can Never Go Fast Enough”. A due anni prima risalgono “Fauxhemians”, già presente nella compilation “All Tomorrow’s Party”, ”Queen Anne Chair” e “Three Part Sectional Love Seat”, provenienti dalle stesse session di registrazione ma mai pubblicate. La strumentale “Campfire” (2000) era nella misconosciuta raccolta, “At Home With The Groovebox”, mentre l’acustica “Blink” (1999) fu parte integrante della colonna sonora (prodotta da Scott Walker) del film drammatico francese “Pola X”, con Guillaume Depardieu e Catherine Deneuve. In chiusura è posta la torrenziale “The Diamond Sea” (1995), già in Washing Machine ma qui presente con un ending alternativo rispetto a quella versione. Gli episodi più datati sono “Razor Blade” (1994) e la T-Vox Version di “Doctor’s Order”, entrambe b-side del cult single “Bull In The Heater”, e “Is It My Body?” presente sia sul retro di “Sugar Kane”, che in un “Alice Cooper Tribute” edito dalla Sub Pop nel 1991. “Doctor’s Order” e “Is It My Body?”, sono state inserite esclusivamente nella versione in doppio vinile, mentre sono rimaste fuori dalla tracklist del cd. Per l’immagine di copertina, rappresentante una stanza messa a soqquadro, è stata scelta un’opera del 1978 dell’artista canadese Jeff Wall, noto per gli studi sul processo fotografico noto con il nome di Cibachrome.

Evidenti slanci melodici daranno vita al compiuto Trees Outside The Academy, il secondo disco solista di Thurston Moore, lontanissimo dai ghirigori del suo debutto di dodici anni prima, più vicino a un folk-rock cantautorale e delicato. L'album (registrato con J Mascis) suona più fresco dei due dischi precedenti con laband: i classici non ci sono, ma l'esecuzione chitarristica è alle volte geniale, impeccabile nel suo associarsi alla voce ormai matura di Moore.

Registrato in occasione di un benefit all'Anthology Film Archives, New York, nell'aprile 2003, Koncertas Stan Brakhage Prisiminimui (2005, SYR 6) sonorizza proiezioni del cineasta Stan Brakhage, scomparso quello stesso anno (1933-2003). In tre lunghe tracce senza titolo, i blocchi sonori delle chitarre metalliche si stendono sulle indimenticabili, definitive sequenze di un grande maestro le cui opere autentiche e sovversive, crude e scomode, mostrano la realtà e la fisicità dell'uomo senza inganno, segnando un prima e dopo nell'avanguardia d'ogni tempo.
Assieme al percussionista ed artista multimediale newyorkese Tim Barnes, i Sonic Youth amalgamano corpo del suono e corpo dell'uomo. Con sovrapposizioni e dissonanze d'impatto essi leggono e trovano puntuali permutazioni e affinità col destabilizzante flusso visuale in oggetto, favorendone l'assimilazione (ora in cospetto poetico, ora in stato di panico), in densi e avvolgenti flussi di suoni panacea.
Un magma di detriti cola inesorabile e lento a valle.

La prima delle due pubblicazioni del 2008 targata SYR, settima di questa etichetta, consiste in due lunghe improvvisazioni, ciascuna per lato-facciata. La prima, J' Accuse Ted Hughes (SYR 7), è stata incisa dal vivo nell'aprile 2000 all'"All Tomorrow's Parties" a Camber Sands, Inghilterra, mentre i Sonic Youth promuovevano l'album NYC Ghosts & Flowers. Si tratta di una impro-session noise fosca e magmatica, che in principio doveva sonorizzare un progetto sull'opera di Hughes. Gli intrecci chitarristici generati come agoni metafisici, jam conflittuali di forte impatto tra Moore e Ranaldo tessono un universo indeterminato e distorto, sfrenato e allucinatorio. Un flusso ulcerato che prolifera inestricabile e angoscioso via echi, feedback e rintocchi oscuri. Il canto in trance crudo e lacerato della Gordon irrompe in questo monoverso alienato e accentua ostilità e sparge inquieta lusinga.
La seconda traccia, "Agnès B Musique", è invece realizzata in studio a New York nel 2003 e vede nuovamente la presenza di Jim O' Rourke per l'ennesimo sortilegio acustico del suo ingegno visionario. Un sereno gorgo elettroacustico a base di rintocchi, manipolazioni armoniche di laptop e chitarre contamina il perimetro e riequilibra i cataclismi della prima facciata. Ambient-drones costantemente punteggiato tra climax e avvalli, celestiali cascami di staccato chitarristici, trame e dinamiche in divenire di slancio utopico e di allucinata intensità si riversano ovunque senza sospensione.
Di lì a poco, fa seguito Andre Sider Af Sonic Youth (SYR 8), un'unica istantanea improvvisata al Roskilde Festival, Danimarca. Una traccia ricavata da un'ora di concerto nel luglio 2005 che stende un ponte tra tradizioni musicali diverse. Le corde di Ranaldo, Gordon, Moore, O' Rourke (dimissionario dalla band nello stesso anno) sono "in tenzone" con Merzbow, musicista radicale giapponese a laptops e power electronics e Mats Gustaffson, sassofonista svedese. Confluiscono dunque le esperienze noise della Grande Mela, il rumorismo radicale dal Sol Levante e le correnti dell'improvvisazione libera europea. Gli attanti occupano il perimetro spartendosi gli ingressi strumentali, assetti e architetture, giochi e contrappesi. Si leva un turbine solare al cui impeto aggressivo si sommano, strazianti e sovversive, chitarre ed electronics (Merzbow), o lo sbraitante soliloquio del sax (Gustaffson) e uno stuolo di percussioni tribali (Steve Shelley) a contraltare.
L'esito di questo progressivo contrasto cromatico tra corpi e respiri strumentali è una sorta di rumore dell'estasi. Un assordante magma free-jazz, una multiformità memorabile ove convivono istinto primitivo e rigore formale.
L'album è un'esplosione tonale di grande forza espressiva, un sussulto di lancinante ossessività ed esasperazione cromatica, la cui ipertermia plagia superfici, fonde linee e volumi che, dagli originari spazi solisti, si protendono verso nuove ipotesi formali e mutati valori plastici.

Dopo una parentesi di tre anni, dedicata per lo più all'esplorazione del loro lato più sperimentale, riservato alle uscite per SYR, i Sonic Youth licenziano un nuovo lavoro, The Eternal (2009), che vede la band confrontarsi ancora una volta con il proprio suono consolidato e con la ricerca di un approccio più ruvido e diretto, capace di rinverdire i fasti degli album pubblicati tra la seconda metà degli anni 80 e i primi anni 90. Sarebbe la via giusta da percorrere, se non fosse che, come già nei due mediocri Sonic Nurse e Rather Ripped, prevale nettamente la sensazione di trovarsi in presenza di un pallido simulacro del tempo che fu, costituito quasi da un'auto-emulazione, filtrata sì dalla straordinaria padronanza dei propri mezzi, ma talvolta tristemente fuori luogo.
Il marchio di fabbrica della band è ancora chiaramente distinguibile nell'aspra immediatezza dell'iniziale "Sacred Trickster", nell'insistenza ritmica di "What We Know" o nello smussato nervosismo elettrico di "Thunderclap For Bobby Pyn" e "Walkin Blue", ben poco efficaci risultano i passaggi in cui tornano a prevalere destrutturazioni alternate a recuperi melodici e trame dissonanti dall'estetica post-punk ormai poco credibile. Desta una certa malinconia riscontrare come Kim Gordon cerchi di tener fede all'antico ruolo di icona erotica alternativa in un pezzo come "Anti-Orgasm" o constatare, soprattutto nella seconda parte dell'album, la rassicurante deriva da college-radio di canzoni non certo mal costruite, ma in fondo prive di mordente.
È un po' come se i Sonic Youth, ormai ben coscienti di ciò che ci si possa aspettare da ogni loro nuovo disco, avessero deciso di adempiere al proprio ruolo istituzionale, non facendo altro che celebrare il passato in una sorta di auto-cover del loro stesso stile, unendo citazioni sparse da tanti dei loro vecchi dischi. Ma la stanchezza traspare inesorabile, anche sotto retorici gridolini tardo-adolescenziali e ordinari giochi a incastro di dissonanze e distorsioni, rendendo The Eternal album dalla superficie tutto sommato piana, ciononostante di ascolto faticoso, soprattutto in ragione della sua prolissità, davvero eccessiva se rapportata all'esiguità del suo contenuto.
Nel grigiore generalizzato, si salvano soltanto i dieci minuti della conclusiva "Massage The History", con le loro continue, placide variazioni: troppo poco, però, per far sfuggire l'album alla complessiva sensazione di una stanca reiterazione di schemi, che sottolinea in maniera impietosa i segni del tempo, anche su una band che tanto ha significato per gli ultimi tre decenni di rock alternativo americano e non solo.

Il ritorno alla serie SYR, con il suo nono capitolo, è rappresentato dalla colonna sonora Simon Werner A Disparu, realizzata per l'omonima pellicola del regista francese Fabrice Gobert. Nei bozzetti strumentali composti su misura a commento del film, il quartetto è in forma smagliante. Le solite chitarre taglienti, feedback graffianti e balletti pianistici insoliti e sinistri ("Les Anges Au Piano", "Jean Baptiste a là Fenetre", "La Cabane Au Zodiac", "Jean Baptiste et Laetitia") si intrecciano a puntellare l'oscuro paesaggio di morte creato visivamente da Gobert, amplificando in maniera significativa il malessere e la suspence da esso suscitata. Dai violenti sperimentalismi rumoristici degli esordi alla "normalizzazione" verso un rock più melodico (si fa per dire), è come trovarsi di fronte a un compendio dell'arte musicale di una delle band più influenti degli ultimi trent'anni, seppur privata - certo - di una delle sue componenti principali: la voce. Così, colorazioni diverse inevitabilmente si disperdono tra le tredici tracce strumentali, che restituiscono una band ormai collaudata e incapace di cadute di stile.

A giugno 2016 la band decide di immettere sul mercato alcune registrazioni eseguite nel 1986 per le session di registrazione di Made In USA. Spinhead Sessions, questo il titolo del disco, raccoglie quaranta minuti di sperimentazioni aperti dagli ansiogeni landscape chitarristici non a caso intitolati “Ambient Guitar & Dreamy Theme”: quasi un soundtrack per la fine del mondo, un magma sonoro che sfora sovente nel rumorismo e nella ripetizione a oltranza di trame strumentali. La batteria tribale che accompagna gli intrecci ai confini con l’industrial in “High Mesa”, il minimalismo di “Wolf”, l’approccio orrorifico di “Scalping”, tutto è pensato per fungere da commento alle immagini del film, e lascia ben poco spazio alla fruibilità che i quattro eroi del noise-rock seppero assicurare in album come Dirty e Goo.
Qui si testano nuove vie, nuove idee, liberi di muoversi senza troppe costrizioni, ma la sensazione è che troppo spesso si giri a vuoto attorno a poche idee ripetute all’infinito. Spinhead Sessions è pertanto considerabile un lavoro diretto più che altro ai maniaci completisti, anche se, in un momento di fermo a tempo indeterminato della band, potrebbe diventare interessante per molti, almeno per coloro che ritengano i Sonic Youth una delle formazioni più importanti e influenti degli ultimi quattro decenni.

L’archivio dei Sonic Youth accumulato negli anni è qualcosa di sconfinato: centinaia, forse migliaia di registrazioni, alcune delle quali stanno componendo un programma di pubblicazioni curato personalmente dai membri del gruppo. Materiale che ripercorre l’intera parabola artistica della band newyorchese, una gioia per le orecchie di tutti coloro che non riescono a darsi pace per la loro disintegrazione, conseguenza della rottura del rapporto personale fra Thurston Moore e Kim Gordon. Battery Park, NYC è la registrazione di un concerto gratuito che i Sonic Youth tennero nella loro città d’adozione, New York, il 4 luglio 2008, l’Indipendence Day, in uno dei grandi spazi verdi di Manhattan. Dopo una diffusione carbonara - originariamente in regalo con il pre-order dell’Album “The Eternal” – la Matador ha deciso di concedere uno spazio più ampio a questo live, suonato con l’aggiunta di Jim O’Rourke, che in quegli anni rivestì il ruolo di quinto membro della formazione.
L’ipnosi sonica di “She Is Not Alone”, la vivida energia di “Bull In The Heather”, “Hey Joni” e “100 %”, l’apocalittica cavalcata free noise “The Sprawl”, con Moore che scende a maltrattare la chitarra in mezzo al pubblico, e la deragliante “Silver Rocket” sono alcuni dei punti salienti di un’esibizione che non conosce momenti di stanca. Diversi i brani estratti da “Daydream Nation”, freschi di rappresentazione in sequenza nel tour celebrativo del 2007. Tre anni più tardi, a ottobre del 2011, i Sonic Youth sarebbero finiti in stand by a tempo indeterminato, senza però mai annunciare il definitivo scioglimento. Thurston, Lee Ranaldo e Steve Shelley hanno continuato a incrociare le proprie strade, mentre Kim si è divisa fra cervellotici progetti iper sperimentali e la scrittura del discusso libro “Girl In A Band”. Il sogno di chi li ha amati in tutti questi anni è rivederli tutti assieme su un palco. Nel frattempo, attingere dai loro archivi consente di lasciare accesa quella fiamma, che illumina l’amore incondizionato nei confronti di una band davvero unica al mondo.

A marzo del 2022 dagli archivi emergono cinque tracce inedite, o comunque piuttosto rare, risalenti all'ultimo decennio di vita della band, quello a cavallo fra il 2000 e il 2010, raccolte nelal compilation In/Out/In. Si tratta per lo più di pièce strumentali, eccetto le linee vocali impresse da Kim Gordon nella title track, sintesi di frastornanti jam incentrate sul concetto di improvvisazione, dalle quali emergono le due facce che da sempre caratterizzano lo spettro stilistico dei Sonic Youth.
Se nelle prime tre tracce (“Basement Contender”, “In & Out” e “Machine”, la più breve, l’unica con un ipotetico taglio “canzone”) la band si affida a intarsi chitarristici più “dolci”, che a loro modo disegnano spunti melodici, i due brani finali (“Social Static” e “Out & In”, che si avvalgono del sonico contributo di Jim O’Rourke) riflettono il lato più anarchico e sperimentale dei musicisti, quello per il quale sono giustamente ritenuti fra gli avanguardisti rock più intriganti e influenti degli ultimi decenni. Ed è qui che distorsioni, atonalità e rumorismi prendono il sopravvento, i tipici momenti nei quali i Sonic Youth spingono i rispettivi strumenti verso ignoti limiti.

Ad agosto del 2023 l'attività di diffusione di materiale d'archivio prosegue con la pubblicazione di Live in Brooklyn 2011, documento audio dell'ultimo concerto dei Sonic Youth In Nord America, un evento speciale tenuto venerdì 12 agosto 2011 al Waterfront di Williamsburg, Brooklyn. Diciassette canzoni eseguite con line up allargata al bassista dei Pavement Marl Ibold di fronte una delle vedute più spettacolari dello skyline di Manhattan, dopo il doppio opening act affidato quella sera a Kurt Vile e Wild Flag. Si tratta di una selezione più “alternativa” del solito, studiata ad hoc dal batterista Steve Shelley, comprendente materiale proveniente da vari capitoli del percorso artistico dei Sonic Youth. Una delle loro tante possibili retrospettive, pensata per privilegiare i primi lavori del gruppo, concedendo spazio a brani che non venivano eseguiti da tempo: per ritrovare in un loro set “Brave Men Run” o “Death Valley 69” – qui poste in apertura – occorre risalire addirittura agli anni Ottanta. I cinque si chiusero qualche giorno in studio per riprendere confidenza con canzoni e accordature, e anche se concerti di questo tipo a New York avevano l’abitudine di farli ogni estate, in questo caso – a maggior ragione col senno di poi – percepiamo come se fossero in qualche modo consapevoli dell’inevitabilità della propria fine e intendessero celebrare con tutta la rabbia possibile il glorioso passato, rivendicando l'importanza del loro marchio attraverso gli album che plasmarono un suono divenuto unico e riconoscibilissimo.
Dopo quasi cinque mesi di assenza dai palchi, quello del Waterfront fu anche un warm up pianificato prima di affrontare un mini tour di cinque serate in Sud America, che avrebbe rappresentato l’atto finale (almeno finora) della loro storia. Ben cinque delle diciassette tracce eseguite vengono estrapolate da “Bad Moon Rising” (contro le appena tre del recente “The Eternal”) e quasi tutti i lavori della prima parte della loro carriera vengono rappresentati, compresi “Kill Yr Idols” e “Confusion Is Sex”, cosa che non accadrà nelle successive, e più brevi, cinque date. Accanto a super classici quali “Sugar Kane” e “Drunken Butterfly” (entrambi ripresi da “Dirty”) i fortunati presenti ebbero la possibilità di ammirare il gruppo all’opera su vere chicche, quali “Kotton Krown”, “Starfield Road” e “Flower”, tutte insieme nella medesima scaletta. Ecco quindi che potrete comprendere quanto prezioso è considerabile questo documento live. Un paio i bis concessi, con due sorprese nel finale: “Psychic Heart”, da uno degli album solisti di Thurston Moore, e una devastante, infinita versione di “Inhuman”, oltre dieci minuti che chiudono il set generando un dissonante oceano noise che si abbatte con poderosa forza sul pubblico in estasi. Sarà questa l’ultima canzone suonata dai Sonic Youth a New York, un cerchio che si chiude, proprio lì, dove era stata composta agli albori degli anni Ottanta, quando i Sonic Youth potevano solo sognare quello che sarebbero poi riusciti a costruire. Ma è l’intera scaletta, così come la sua esecuzione, a risultare davvero riuscita, una band che si dimostra in grande forma sul palco, riuscendo per un’ora e mezza a superare qualsiasi frizione interna. Fanno degna figura anche i tre brani più recenti, “Sacred Trickster”, “Calming The Snake” e “What We Know”, a dimostrazione di come i Sonic Youth fossero tutt’altro che decotti, anche in fase di scrittura, e seppero dimostrarlo anche in seguito, dando vita a quattro percorsi mai banali e ricchi di momenti esaltanti.

A Febbraio del 2024 diventa un disco ufficiale dei Sonic Youth Walls Have Earsreissue di un bootleg originariamente diffuso nel 1986, selezione di tracce estraplate da tre concerti tenuti in territorio inglese nel 1985, durante il tour promozionale di “Bad Moon Rising”, prima di completare le canzoni che sarebbero finite in “EVOL”, alcune delle quali già sottoposte alla prova live. La registrazione rigorosamente lo-fi contribuisce a rendere l’anarchia sonora dei Sonic Youth ancor più claustrofobica. L’ordine di apparizione delle tracce è anti-cronologico: la prima parte del disco è dedicata allo show tenuto a Londra il 30 Ottobre, la seconda metà raccoglie invece estratti da uno show precedente, aprile 1985, un opening act per Nick Cave all’Hammermith Palais, sempre a Londra.
Dietro la batteria sedeva Bob Bert, non ancora sostituito da Steve Shelley, ed è possibile confrontare lo stile dei due musicisti ascoltando tre brani estratti da entrambi i set: “Death Valley ‘69” (una volta mimetizzata sotto il titolo “Spahn Rance Dance“), “Brother James” e “Kill Yr. Idols” (è lei la “Killed And Kicked Off” che chiude la tracklist). Nel mezzo è stato inserito un solo brano ricavato da un ulteriore show tenuto a Brighton in data 8 novembre. Di qualità sonora più scadente, “Blood On Brighton Beach” in realtà maschera la presenza di una “Making The Nature Scene” tutta distorsioni ed accordature atonali.

L’intensa attività solista di Thurston, Kim, Lee e Steve, in questi anni non ha fatto pesare troppo la mancanza di nuovi inediti firmati Sonic Youth, anzi, l’abbondanza e l’eterogeneità di quanto diffuso separatamente – non di rado frutto di collaborazioni incrociate - ha per certi versi fatto quasi dimenticare che il gruppo non esiste più. Ma il desiderio di poterli rivedere assieme resta enorme e, come ci confidarono sia Ranaldo che Shelley in due interviste rilasciateci, loro stessi non se la sentono di poter escludere che questo possa accadere, prima o poi. I Sonic Youth sono la loro vita, non soltanto quella dei loro sostenitori più accaniti.



Monografia a cura di:
 - Alessandro Nalon ("Sonic Youth", "Daydream Nation", "Goo", "Dirty", "Experimental Jet Set, Trash & No Star", "Confusion is Sex" con contributi di Vittorio Iacovella, cenni su Moore solista e note biografiche);
 - Raffaello Russo ("Sister", "Washing Machine", "A Thousand Leaves", "NYC Ghosts & Flowers", "The Eternal"); 
 - Francesco Nunziata
 ("Kill Yr Idols", "Bad Moon Rising", "EVOL", "Made in USA", "Master Dik");

 
- Claudio Lancia ("The Destroyed Room. B-Sides And Rarities", "Spinhead Sessions", "Battery Park, NYC", "In/Out/In", "Live In Brooklyn 2011", "Walls Have Ears").

Altri Contributi:
 - Fabio Russo ("The Whitey Album" dei Ciccone Youth e la serie di album "SYR"); 
 - Paolo Sforza ("Sonic Nurse"); 
 - Marco Delsoldato ("Murray Street"); 
 - Ciro Frattini ("Rather Ripped"); 
  - Marco Pagliariccio ("Simon Werner A Disparu")

Sonic Youth

Discografia

SONIC YOUTH
Sonic Youth Ep (Neutral, 1982)

7

Confusion Is Sex (Neutral, 1983)

7,5

Kill Yr Idols (Ep, Zensor, 1983)

6

Bad Moon Rising (Homestead, 1984)

8

Evol (SST, 1986)

8,5

Sister (SST, 1987)

8

Master-Dik (Ep, SST, 1987)

4,5

Daydream Nation (Blast First, 1988)

9

Sonic Death (live, SST, 1988)
Goo (DGC, 1990)

7

Dirty (DGC, 1992)

7,5

Experimental Jet Set, Trash & No Star (DGC, 1994)

7

Made In Usa (Rhino, 1995)

5,5

Washing Machine (DGC, 1995)

7,5

Live In Texas (TEC Tones, 1996)

Anagrama (Syr 1, 1997)

7

Slaapkamers Met Slagroom (Syr 2, 1997)

7

Invito Al Ĉielo (Syr 3, 1998)

8

A Thousand Leaves (DGC, 1998)

7

Goodbye 20th Century (Syr 4, 1999)

8

NYC Ghosts & Flowers (Geffen, 2000)

5,5

Murray Street (Geffen, 2002)

7

Sonic Nurse (Geffen, 2004)

5,5

Koncertas Stan Brakhage Prisiminimui (Syr 6, 2005)

7

Rather Ripped (Geffen, 2006)

5,5

The Destroyed Room. B-Sides And Rarities (Geffen, 2006)

6,5

J'Accuse Ted Hughes (Syr 7, 2008)

7

Andre Sider Af Sonic Youth (Syr 8, 2008)

7

The Eternal (Matador, 2009)

5

Simon Werner A Disparu (Syr 9, 2011)6,5
Spinhead Sessions (Goofin', 2016)5,5
Battery Park, NYC: July 4, 2008(live, Matador, 2019)7
In/Out/In (outtake, 2022)6,5
Live In Brooklyn 2011 (live, Goofin', 2023)8
Walls Have Ears (live, Goofin', 2024)7,5
CICCONE YOUTH
The Whitey Album (Geffen, 1995)

6

KIM GORDON/IKUE MORI/DJ OLIVE
SYR 5 (Syr 5, 1999)

7

Pietra miliare
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Sito ufficiale
Testi
Una conversazione sui Sonic Youth con il critico Eddy Cilia
  
 VIDEO
  
Death Valley 69 (videoclip, dall'Ep Death Valley 69, 1985)
Shadow Of A Doubt (videoclip da Evol, 1985)
Schizophrenia (live, da Sister, 1987)
Now I Wanna Be Your Dog (live con Iggy Pop, 1987)
Teenage Riot (live da Daydream Nation, 1988)
Candle (videoclip da Daydream Nation, 1988)
Silver Rocket (live da Daydream Nation, 1988)
Kool Thing (videoclip da Goo, 1990)
Sugar Kane (videoclip, 1993)
Superstar (videoclip, split-single, 1994)
Sunday (live al David Letterman Show, 1998)
The Empty Page (videoclip da Murray Street, 2002)
Reena (videoclip da Rather Ripped, 2006)