Vaccines

Vaccines

English Graffiti

Saliti alla ribalta con il primo disco, i Vaccines di Justin Young si sono imposti come uno dei nomi caldi dell'indie internazionale. Tra schitarrate trascinanti, periodi di assestamento e riusciti cambi di look sonoro: il tutto marchiato da una vocazione pop che nell'ultimo e luccicante “Back In Love City” ha preso il definitivo sopravvento

di Alessio Belli

What Did You Expect From The Vaccines?

I've got too much time on my hands
But you don't understand

C'è sempre stata la musica e l'arte nella vita di Justin Young. Inglese dell'Hampshire, Southampton, pronipote di un pittore e figlio di un regista. Gioca con la chitarra fin da piccolo. Prima di essere il futuro fondatore dei Vaccines si esibisce come Jay Jay Pistolet, sostenuto dai coinquilini Marcus Mumford e Winston Marshall dei Mumford and Sons. Nel 2008 decide di non suonare più indie-folk sotto moniker e l'anno successivo conosce l'altro chitarrista Freddie Cowan (fratello del Tom Cowan che suona negli Horrors): la base dei Vaccines è formata. Ai due si aggiungono Arni Arnason al basso e Pete Robertson alla batteria.

Siamo a West London e i primi capitoli della storia dei Vaccines sono rapidi quanto una delle loro imminenti hit. Caricano in Rete nel 2010 – con riscontri positivi tra il pubblico e gli addetti ai lavori – il demo di "If You Wanna" e si esibiscono nel primo show. Seguono altri live, in venue sempre più grandi, con sempre più gente. Tra gli spettatori, illustri colleghi con cui a breve divideranno i palchi dei festival più importanti del mondo... I giochi si compiono in tempi strettissimi: da potenziale promessa, il gruppo si ritrova subito con un disco pronto da presentare al mondo. E già dal titolo, si riflette su un passaggio tanto importante quanto repentino.

Adesso che sono passati dieci anni dalla pubblicazione, esaurito sia l'hype sia lo scetticismo che si fronteggiarono nell'accoglierlo, vediamo cosa ci riserva ancora l'esordio dei Vaccines. Senza inventare nulla di nuovo, nella sua energica semplicità, What Did You Expect From The Vaccines? (2011) riesce a catturare tutto l'entusiasmo della formazione esordiente, plasmando un lavoro che ancora oggi rimane il preferito dei fan, merito di quel mix di ingenuità e sorprendenti scorci maturi.
Produtto da Dan Grech-Marguerat, il disco si apre con una raffica di pezzi pronti a diventare dei successi quanto dei potenziali cori da stadio. L'opening "Wreckin' Bar (Ra Ra Ra)" ha tra parentesi proprio il coro da urlare insieme con il gruppo, mentre gli strumenti decollano a velocità sfrenata verso un assolo di chitarra al fulmicotone. Diretta ed efficace. Insieme a "Blow It Up", il 22 novembre del 2010, la traccia verrà pubblicata come primo singolo. La canzone numero due della tracklist, pronta a partire in un battito di ciglia dopo la fine di "Wreckin' Bar (Ra Ra Ra)", è "If You Wanna", ovvero il pezzo con cui i Vaccines si presentarono al mondo. Lo schema è sempre lo stesso: ritmo sostenuto dalla batteria inarrestabile, basso pulsante, ritornello da ko e affilati assoli di sei corde.
Pochi minuti e l'euforia è già alta. Chi vorrà scatenarsi e ballare potrà continuare a farlo con "Nørgaard" (scritta dopo un paio di appuntamenti tra Young e la modella danese Amanda Nørgaard) e "Post Break-Up Sex". Gli animi più riflessivi e malinconici si godranno invece "A Lack Of Understanding" e soprattutto "All In White", il brano più bello del disco, per crescendo e intensità.
Per quanto possano spingere sull'acceleratore, a segnare il disco è una chiara vena melodica capace di rendere i brani subito orecchiabili: questo mix tra indie-rock e pop segnerà le pagine più riuscite della carriera del gruppo. Il resto della scaletta è costituito da brani meno incisivi, a fare da cuscinetto al pop-punk pronto a spalancare le porte del successo alla band. Chiude la mezz'ora "Family Friend": al minuto 5:35 inizia la traccia nascosta "Somebody Else's Child", lenta ballata al pianoforte.

Nel leggere i testi di Young, un tocco di velata depressione macchia le veloci mitragliate rock (“Well, I don't want to wake up in the morning/ But I've got to face the day”, canta in “If You Wanna”), ma il fulcro tematico è il rapporto tra due partner. Una relazione agli sgoccioli nelle prime due canzoni della scaletta, mentre nella terza appaiono i pensieri di due ex che si ricontrano a breve distanza dalla fine della relazione: “Are you ready, are you ready, are you ready for this? Should I shake your hand or should I give you a kiss?”.
Poi ogni appassionato si divertirà a stilare la personale lista di nomi di band che hanno potuto influenzare il sound dei Vaccines, realtà abbastanza furba da capire che se vuole emergere in una scena così affollata, è cosa buona e giusta guardare con occhio attento a tutte e due le parti dell'Oceano Atlantico. Young è un grande fan del punk-hardcore Usa; per il fronte British, a suggellare il rapporto con i Jesus and Mary Chain è la direzione di alcuni loro videoclip da parte di Douglas Alexander Hart, primo bassista dalla formazione di “Psychocandy". Senza dimenticare il percorso di “fratelli maggiori” partiti come loro e riusciti a raggiungere disco dopo disco dei livelli artistici importanti (vedi Arctic Monkeys).

What Did You Expect From The Vaccines?  è un esordio accolto con entusiasmo da critica e pubblico, che permette ai quattro di godersi le copertine delle riviste, ospitate in radio e la possibilità di suonare in un numero clamoroso di festival dividendo lo stage con alcuni dei beniamini e punti di riferimento della scena indie, tra cui i Franz Ferdinand.

Come of Age

And I could make an observation
If you want the voice of a generation
But I’m too self absorbed to give it clout

Ora siamo a un punto della storia “già vista e sentita”: ovvero, il tanto famigerato Secondo Disco. Lo step/crocevia di molte carriere o semplicemente quel passaggio trascurabile tra altri scorci discografici più significativi. Per i Vaccines siamo nel secondo caso. Scelgono di battere il ferro finché è caldo e un anno dopo l'opera prima si presentano (anche se in copertina dei giovani modelli androgini prendono il loro posto), giocando ancora ironicamente con il titolo, con il disco della maturità: Come Of Age (2012), prodotto a questo giro da Ethan Johns.
Il fragore dei primi secondi di “No Hope” ci riporta nella festa del predecessore, mentre il registro sonoro si amplia con il western di "I Always Knew". Euforia bella alta in "Teenage Icon", ma se con il pop-rock di "All In Vain" e "Ghost Town" le cose rimangono a galla, da "Aftershave Ocean" inizia il declino.
A un primo quarto d'ora divertente, infatti, segue una seconda metà di lavoro poco ispirata, con risultati non proprio eccellenti, per usare un eufemismo ("Weirdo", "Change Of Heart Pt. 2", "I Wish I Was A Girl"). Non bastano le sferragliate di “Bad Mood" e il finale "Lonely World" per risollevare le sorti di un prodotto che se regala ancora qualche sprazzo vitale gradevole, è purtroppo privo dell'intensità genuina assaggiata un anno prima.

Liricamente il disco presenta testi di un livello inferiore rispetto a What Did You Expect from The Vaccines?, aggiungendo al focus dalla tematica amorosa/relazionale il disagio adolescenziale e i drammi della giovinezza, come suggeriscono gli espliciti titoli. Tolti i singoli, Come Of Age non è classificabile come brutto: è sorvolabile. Ma per la critica anglosassone va ancora bene così, le vendite sono buone (numero uno in Inghilterra) e concerti e tour da headliner non mancano.

Poco dopo arriva un piccolo ma importante segnale di scossa. A un anno di distanza esce l'Ep Melody Calling (2013), dall'omaggio beatlesiano in copertina. Per quanto a ridosso di Come Of Age, la pubblicazione in realtà guarda avanti e anticipa alcune delle novità in arrivo con il terzo capitolo discografico. Anche il titolo è uno spoiler importante: la band accantona le sonorità più grezze dei primi passaggi e cerca sempre di più la melodia. Solo tre brani ("Melody Calling", "Do You Want A Man?", "Everybody's Gonna Let You Down", più un remix) per un passaggio breve ma da non sottovalutare.

English Graffiti

When I shut my eyes, I've got another dream lover
Somewhere in the dark, I've got another dream lover

I germogli scorti in Melody Calling sbocciano in English Graffiti. Un disco di pregevole indie-pop dove spicca la produzione di Dave Fridmann dei Mercury Rev e di Cole M. Greif-Neill, capace di suonare vintage, moderno, romantico e malinconico, agguerrito e sensuale. Insomma, ce ne è per tutti i gusti e ogni ingrediente è miscelato alla perfezione. Chi si aspettava un ritorno alle origini dato il risultato potrà consolarsi con un ampio campionario d'impeccabili tracce sintetico/melodiche. Nelle inarrestabili chitarre di “20/20”, "Radio Bikini" e nel primo singolo nonché opener "Handsome" sono racchiusi i Vaccines più scatenati, degnamente incanalati nella patinata coolness dell'opera.
A spiccare tra i frutti del lavoro, in bilico tra Strokes e Phoenix, sono "Minimal Affection", incentrata sui rapporti veri e concreti in un mondo di iperconnettività, e "Dream Lover". Se "(All Afternoon) In Love" e “Maybe I Could Hold You" sono i passaggi più lenti e suadenti, il ritornello da ko di "Denial" è sostenuto dalle metalliche sei corde, mentre Young canta di un altro rapporto ormai prossimo al capolinea.
Chiuso dalla strumentale "Undercover" e condito da una generosa bonus edition (dove è possibile ascoltare anche il brano che dà il titolo all'opera) e una serie di divertenti videoclip, English Graffiti ci presenta i nuovi Vaccines: una gradita conoscenza.

Combat Sports

The art of deception is contact sport
Ignoro come la pensiate, ma una scazzottata non è certo il modo migliore per festeggiare la conclusione di un album. Eppure per i Vaccines è andata proprio così: Justin Young (voce e chitarra ritmica) e Freddie Cowan (chitarra solista) hanno pensato di chiudere in bellezza il periodo in studio preferendo i pugni agli abbracci. La scelta del nome Combat Sports risulta perfetta... La scena fa molto rockstar persa tra eccessi, discussioni costanti e svariate problematiche: proprio lo stato dei Vaccines dall'uscita di English Graffiti in poi. Nonostante gli ottimi riscontri del disco, poco a poco la band inizia a fare i conti con la dipartita di un membro storico del gruppo (il batterista Pete Robertson), ma soprattutto - stando alle parole di Young – con la perdita di stimoli e della felicità che aveva accompagnato la loro produzione.
We wanted to make the best record we’ve ever made
We decided we needed to make it fun again
Come nelle più belle storie del rock, quando tutto sembra pronto a spezzarsi, è proprio il rock stesso a salvare i personaggi in causa. Guardate - ma soprattutto ascoltate - il video del primo singolo di Combat Sports, "I Can't Quit". Ecco i nuovi Vaccines (con gli innesti di Tim Lanhan alle tastiere e Yoann Intonti alla batteria) tornare agguerriti in giro per i vicoli di Cagliari, tra cicatrici e camicie sgargianti, sostenuti da una chitarra degna degli Interpol per poi sfogarsi in uno dei loro classici inni a presa rapida.
Scatta allora la domanda che accompagna ogni uscita discografica del gruppo: che cosa ti aspetti dai Vaccines? Dall'esordio clamoroso del 2011 abbiamo avuto risposte meno ispirate - il secondo Come Of Age - e risconti molto positivi, vedi English Graffiti. Cosa avranno riservato allora Justin Young & C. nel nuovo Combat Sports? Un ritorno allo scatenato pop-punk di What Did You Expect From The Vaccines?, scenari più vari e melodici come il predecessore, o qualcosa di completamente diverso? English Graffiti ha mostrato la gamma delle possibilità del gruppo di West London: pop anni 80, cornici di synth, quiete ballate. In Combat Sports, i Vaccines tengono a mente l'esperienza riabbracciando però con energia le chitarre, creando qualcosa di più ruggente. Serviva un esame di coscienza, una riflessione sulla propria identità, su cosa si vuole fare davvero, e la risposta è una versione affilata - ma non meno trascinante - del garage-rock degli esordi. I Vaccines vogliono divertirsi e farci divertire, mostrando ogni sfaccettatura della loro vitalità: dal romantic vintage alla Phoenix di "Your Love Is My Favourite Band" alla lasciva malinconia di "Young American", passando per la scanzonata "Nightclub".
Gli esiti sono sempre coinvolgenti, merito dell'azzeccatissima produzione di Ross Orton, capace di passare da "A.M." degli Arctic Monkeys (lavoro che i Vaccines devono aver consumato) a M.I.A. e i Fall senza sbagliare un colpo. La marcia in più di Combat Sports, però, sono i puntuali assoli di Freddie Cowan: dall'iniziale "Put It On a T-Shirt" in poi, non ci sarà migliore alleato per i ritornelli da ko di Young.
Il resto della band non rimane in disparte: l'intro di "Surfing In The Sky", con basso e batteria che galoppano insieme, è puro - e amato - Vaccines-style. Se si rallenta, è solo per riprendere un attimo fiato: momenti più "light" come "Take It Easy" sono circondati dalla schitarrata di "Out On The Street", che ci riporta immeditamente a pezzi come "Norgaard" e alla concitata "Someone To Lose".
A chiudere questo sano disco rock - in cui i titoli sono molto importanti - non poteva non esserci un brano chiamato "Rolling Stones": una viscerale ed emozionante riaffermazione di quanto i Vaccines siano ancora in gioco e, nonostante i colpi subiti, ancora in piedi e disposti a combattere nel round della musica. 

Combat Sports è la sintesi perfetta di ciò che erano i primi Vaccines e cosa sono ora. Per quanto non sia nulla di rivoluzionario, la loro musica si conferma estremamente appassionante e divertente: colpisce all'istante, intrattiene con i più o meno velati giochi di rimandi e citazioni, e alla fine dell'ascolto non si ha mai la sensazione di aver buttato mezz'ora della propria vita. Non so cosa vi aspettavate, ma possiamo definirci soddisfatti anche a questo giro.
 
P.S. Se guardate bene la copertina dell'album, il soggetto nello scatto non sta dando un pugno o mostrando gli anelli: tiene stretta un'altra mano. Sembra più un aiuto a risollevarsi.

Dal fronte americano: Back In Love City e Pick-Up Full Of Pink Carnations

Still remember falling in love with you, America (America)
Hamburger, Adventure Land, America (America)
I'm not giving up on my love for you, America (America)
Favourite bands and Spider-Man, America (America)

Cantano i Vaccines in “Heart Land”: dagli English Graffiti agli American Graffiti. Se l'“impacchettamento” grafico e video lasciava presagire una deriva in territori retro-wave – una scelta adottata da molte band indie e mainstream negli ultimi anni, con esiti spesso deplorevoli – il gruppo di Justin Hayward-Young non si sposta tanto dai territori sonori di Combat Sports. Le canzoni nate a poca distanza dal lavoro del 2018 lasciano da parte la grinta e i puntuali assoli di chitarra che avevano intriso i passaggi più riusciti (“Rolling Stones” su tutti) per perfezionare la miscela pop-rock. Una formula collaudata nel disco dal respiro musicale più vario – ovvero English Graffiti – e che in Combat Sports sfociava con "Your Love Is My Favourite Band" in lande pop prossime ai Phoenix.
Se il disco precedente era il momento in cui i componenti si “ritrovavano” come gruppo e cercavano di riportare a galla l'entusiasmo degli esordi, la nuova pubblicazione li presenta in giro per gli Stati Uniti, complice anche il soggiorno a Los Angeles del cantante e chitarrista. Back In Love City è stato concepito prima della pandemia, con le conferme di Timothy Lanham alle tastiere e Yoann Intonti alla batteria. Dietro la cabina di regia, al posto di Ross Orton, troviamo Daniel Ledinsly. Arrivati al giro di boa del quinto disco in dieci anni di carriera, i Vaccines, di ritorno dalla loro cinematografica Love City, ci consegnano un disco di "Morricone indie-rock stuff", citando una recente dichiarazione di Justin Young. Melodie a presa rapida, a volte sporcate dalla vena garage che fin dall'esordio What Did You Expect From The Vaccines? del 2011 non ha mai abbandonato la formazione inglese. Così, a ritornelli più radiofonici che mai (“Headphones Baby”) si alternano passaggi più ruggenti, quali “Wanderlust”, “XCT” e “Jump Off The Top”: la classica schitarrata breve e micidiale tipica dei Vaccines. Che poi gli inglesi in certe sonorità e ritmi surf ci sguazzino a meraviglia lo sapevamo da un po', quindi non sorprende tanto un passaggio come “Alone Star”, quanto le lampanti cartoline a stelle e strisce di “El Paso” e “Heart Land”.

Justin Young continua ad aggiornare l’arsenale power-pop dei suoi The Vaccines con il sesto capitolo chiamato Pick-Up Full Of Pink Carnations (2024). Il titolo è una citazione di uno degli inni per antonomasia della musica americana, ovvero “American Pie” di Don McLean: infatti, è da qualche anno che il frontman ha abbandonato la natia Inghilterra per risiedere in terra americana. Una scelta che a livello compositivo riecheggiava anche nel precedente “Back In Love City” 2021. Nato sulle Hollywood Hills,Pick-Up Full Of Pink Carnations - primo lavoro senza lo storico chitarrista Freddie Cowan - è prodotto da Andrew Wells (già al lavoro con Halsey e Phoebe Bridgers) e vede Dave Fridmann (Tame Impala) al mixer.
Il risultato - senza nessuno stravolgimento ed in perfetto Vaccines-style - è una raffica pop, con esiti spesso coinvolgenti. Massimo esempio è la traccia iniziale, "Sometimes, I Swear", che conferma ancora una volta l’abilità di Young di comporre ritornelli perfetti e trascinanti (spesso dei veri e propri inni/cori da stadio, ricordate “Wreckin' Bar (Ra Ra Ra)”?), supportanti dalle chitarre. Partito con il passo giusto anche grazie alle successive "Heartbreak Kid" e "Lunar Eclipse", ci si chiede su che livelli si assesterà il disco. E complice la breve durata e la composizione delle tracce, il viaggio in pick-up procede spedito e gradevole, grazie ai tocchi retrò e wave di "Discount De Kooning (Last One Standing)" e a "Another Nightmare".