Yardbirds

Yardbirds

Heart Full Of Soul

Fungendo da ponte tra il rhythm and blues bianco e le prime avvisaglie delle sonorità hard-psichedeliche, gli inglesi Yardbirds s'imposero come una delle formazioni più importanti e influenti della prima metà degli anni Sessanta, grazie anche a una serie di chitarristi che avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia del rock

di Francesco Nunziata

Gli Yardbirds furono una delle formazioni più importanti e influenti della prima metà degli anni Sessanta. La fama della band inglese, oltre che alla capacità di trasformare il rhythm'n'blues in un linguaggio estremamente dinamico, capace di essere sia progressivo e psichedelico, quando non potentemente proto-metal, è legata all’importanza che nel suo sound assunse lo strumento principe della musica rock, la chitarra elettrica, di volta in volta imbracciata da chitarristi destinati a restare leggendari quali Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page.

 

Having A Rave Up!

 

La loro storia ha inizio nel 1963: siamo nella periferia Sud-Ovest di Londra e il cantante e armonicista Keith Relf e il bassista Paul “Sam” Samwell-Smith si gettano nella mischia del blues elettrico fondando il Metropolis Blues Quartet, che nel giro di pochi mesi, dopo aver rimuginato su un provvisorio Blue-Sounds, assumerà il nome definitivo di Yardbirds, assestandosi intorno a una line-up completata dal batterista Jim McCarty e dai chitarristi Chris Dreja e Anthony “Top” Topham, provenienti dai Suburban R&B. Secondo quanto sostenuto da McCarty nelle sue memorie, il nome Yardbirds fu preso in prestito dal romanzo "Sulla strada" di Jack Kerouac, dove indicava i vagabondi che si aggiravano intorno ai cantieri ferroviari. Lo stesso batterista aggiunge, poi, che per Topham esso era uno dei possibili soprannomi del sassofonista jazz Charlie "Yardbird" Parker.
Pressato dai genitori, che volevano continuasse a studiare, Topham finirà per dare forfait nel giro di qualche mese, lasciando spazio a un altro chitarrista di cui si diceva un gran bene, ma che all'epoca, per sbarcare il lunario, lavorava come carpentiere, suonicchiando qua e là per dare sfogo alla sua profonda passione per il blues. Il suo nome è Eric Clapton. “Io ed Eric”, ricorderà Relf, “eravamo vecchi amici... ci eravamo conosciuti ai tempi della scuola d’arte. Eravamo soliti andare in giro insieme alle feste e suonavamo solo blues acustico e altre cose. E in realtà è da quel tipo di radici che sono venuti fuori gli Yardbirds, insomma da quel tipo di festa che andava di moda nel 1962, quando le persone si radunavano in piccoli gruppi e c’erano sempre un paio di chitarristi che suonavano blues”.

 

A stuzzicare l’immaginazione dei giovani appassionati inglesi fu soprattutto il blues elettrificato di Chicago. Quando, nel 1929, in seguito al crollo rovinoso della borsa di Wall Street, molte persone abbandonarono le campagne del Sud degli Stati Uniti, perché messe in ginocchio da una crisi economica senza precedenti, anche diversi bluesmen del Delta fecero armi e bagagli e andarono a cercare fortuna altrove. Molti di loro finirono per stabilirsi nella zona di Chicago, dove il blues rurale delle origini subì, quindi, un processo di urbanizzazione, trasformandosi in quel Chicago blues che si caratterizzerà per la presenza della chitarra elettrica, dell’armonica a bocca (anch’essa amplificata) e di un ritmo pulsante di batteria e basso. Grazie a quel sound, molte band inglesi, tra cui i Rolling Stones, gli Animals e gli stessi Yardbirds, troveranno il modo di elevarsi al di sopra della mediocrità di molta musica indigena, il cui unico scopo era quello di raggiungere un pubblico quanto più ampio possibile. Per ironia della sorte, furono proprio quelle stesse band inglesi, soprattutto dopo il trionfo dei Beatles in terra americana, a suggerire alle nuove leve di musicisti americani che le dodici battute potevano rappresentare il veicolo più adatto per sperimentazioni e ibridazioni varie, a cominciare da quella che mandava in rotta di collisione la “musica del diavolo” e le eccitanti vibrazioni del rock’n’roll, un innesto che aveva trovato proprio nella nuova strumentazione elettrica un grande alleato.

eric_clapton_1964_01Dopo l’arrivo di Eric Clapton, gli Yardbirds presero a darci dentro senza sosta. Grazie ad alcune scoppiettanti esibizioni dal vivo, in cui furono proposti alcuni classici di Howlin’ Wolf, Muddy Waters, John Lee Hooker, Chuck Berry, Bo Diddley, Sonny Boy Williamson II e via discorrendo, la band si guadagnò un consenso di tutto rispetto nei circuiti inglesi del rhythm'n'blues, mostrando di essere tecnicamente più smaliziata di Rolling Stones e Animals, ma meno carismatica, soprattutto perché priva di un frontman che potesse competere con il sensuale Mick Jagger o l’"animalesco" Eric Burdon.

Gli Yardbirds si fecero apprezzare, fin dai primi, infuocati concerti, non solo per la bravura strumentale, ma anche per la forza debordante dei loro cosiddetti “rave-up” (letteralmente, "festa selvaggia"), lunghe, a volte lunghissime (anche trenta minuti di durata!) digressioni strumentali di matrice blues (pare che l’idea fosse stata di Samwell-Smith) a base di assoli, distorsioni e feedback, che qualcuno paragonò anche alle libere elucubrazioni del jazz. Solitamente, un loro tipico rave-up tendeva ad allontanarsi dalle coordinate del pezzo base, ma proprio per questo finiva per arricchirlo e intensificarlo, suggerendo l’idea di un viaggio (si pensi a quello che sarà, di lì a qualche anno, il “trip” psichedelico) e di un’esplorazione ai limiti dell’ignoto, spesso ancorati a una struttura che tendeva alla ripetizione, con l’armonia che non di rado finiva per assumere le sembianze di un vero e proprio drone (complice anche un livello assordante di volume) e un battito ritmico incessante, a trascinare la musica verso un climax che faceva da preludio al “ritorno nei ranghi”.
Di solito, i primi rave-up degli Yardbirds richiamavano tutta l’attenzione su Clapton, tipo perbene e timido, ma che durante quelle vibranti cavalcate strumentali assumeva le vesti di uno sciamano elettrico, facendo leva su una straordinaria capacità improvvisativa. “Mentre la maggior parte delle altre band suonava canzoni di tre minuti”, avrebbe ricordato lo stesso chitarrista nella sua autobiografia, “noi prendevamo pezzi di tre minuti e li allungavamo, e così il pubblico impazziva, scuotendo la testa in modo maniacale e ballando in vari modi stravaganti. Per la mia chitarra usavo corde di calibro leggero, con una prima corda molto sottile, il che rendeva più facile piegare le note, e non era raro che, durante i momenti più frenetici, rompessi almeno una corda”.

img_0225Oltre a Keith Relf (che suonava l'armonica con uno stile emotivo e una grande capacità improvvisativa), un peso tutt’altro che marginale nell’economia dei loro rave-up lo ebbe anche Paul Samwell-Smith, il cui basso accompagnava le improvvisazioni dalle retrovie, emettendo potentissime note che, simili a vere e proprie esplosioni, guidavano la band verso nuove traiettorie da esplorare a suon di improvvisazioni fumiganti. Per evitare di sforzare troppo i polpastrelli delle sue dita e per dare al suo basso un suono ancora più potente, Samwell-Smith pensò bene di usare corde nere rivestite di plastica: “Le mie dita viaggiavano su e giù per la tastiera del mio strumento, e quindi ho dovuto ricorrere a quell’espediente per evitare troppi danni”, racconterà.
Secondo alcuni critici, le radici delle lunghe meditazioni psichedeliche che, di lì a qualche anno, sarebbero diventate un must per molte formazioni americane e inglesi, ebbero proprio nei rave-up degli Yardbirds il loro progenitore più diretto.

Preso il posto dei Rolling Stones al Crawdaddy Club e guadagnatisi nel frattempo la stima del promoter Giorgio Gomelsky (un personaggio estremamente esuberante e carismatico, caratterizzato da una barba sempre ben curata e da un accento russo che tradiva le sue origini georgiane), gli Yardbirds partirono per un breve tour britannico (dicembre 1963-gennaio 1964) insieme a uno dei loro eroi, Sonny Boy Williamson II, che era stato chiamato a suonare in Inghilterra per sfruttare l’ondata di interesse che, da qualche anno, aveva spinto i giovani sudditi della Regina a procurarsi quanti più dischi possibili di blues, soprattutto quello di Chicago e per lo più legato alla mitica Chess Records. Alcune delle registrazioni di quei concerti finiranno, tre anni dopo, su Sonny Boy Williamson And The Yardbirds.

img_0225_1Nel febbraio del 1964, gli Yardbirds firmarono il loro primo contratto con la Columbia Records, registrando, appena un mese dopo, per la precisione il 20 marzo, una decina di tracce dal vivo al Marquee Club di Londra, destinate a finire su Five Live Yardbirds (10 tracce; 42:11), che trovò spazio sugli scaffali dei negozi di dischi a partire dal dicembre successivo. “Eravamo molto più bravi dal vivo e lo dimostrammo proprio con quel nostro primo Lp”, avrebbe scritto Clapton nella sua autobiografia. “In assenza di molti altri album dal vivo, 'Five Live Yardbirds' si è rivelato un disco innovativo. Aveva un suono molto più crudo.
Composto di sole cover, per lo più di provenienza blues e rhythm'n'blues (fatta eccezione per il rock’n’roll di “Too Much Monkey Business”, che apre le danze omaggiando Chuck Berry), Five Live Yardbirds è uno dei momenti decisivi nella definizione del blues-rock inglese, oltre che uno dei dischi dal vivo più importanti della prima metà degli anni Sessanta, nonostante una registrazione non proprio all’altezza della situazione, causa l’acustica del locale e l’utilizzo di un misero registratore a due piste. Piccole tracce dei loro rave-up si possono ascoltare in brani quali “Smokestack Lightning”, “Respectable”, “Louise”, “I’m A Man” e “Here ‘Tis”. Da segnalare, infine, la performance di Clapton, la cui chitarra regala, qua e là, brevi ma incisive improvvisazioni.

Tra il maggio e l’ottobre del 1964, la band pubblicò due singoli di discreto successo (“I Wish You Would”/“A Certain Girl” e “Good Morning Little Schoolgirl”/“I Ain’t Got You”), ma sarà soltanto con "For Your Love" (marzo 1965; lato B: “Got To Hurry”) che gli Yardbirds spiccheranno il volo, raggiungendo la terza piazza della classifica inglese e salendo fino alla sesta in quella americana, cosa che garantirà loro passaggi regolari sulla Bbc e apparizioni nel noto programma televisivo Ready Steady Go!.
Registrato con l’aggiunta del clavicembalo di Brian Auger e dei bonghi di Denny Piercy, "For Your Love" trasformò il loro classico rhythm'n'blues in un accattivante congegno pop (l’autore, il diciottenne Graham Gouldman – futuro membro dei 10cc – lo aveva scritto pensando alle ultime prove dei Beatles), cosa che non piacque a Clapton, che si era sempre contraddistinto come uno dei membri più ortodossi, in fatto di venerazione del blues, degli Yardbirds. “Quando decisero di registrare 'For Your Love'”, dirà il chitarrista, “sapevo che per me era l'inizio della fine, perché non vedevo come avremmo potuto fare un disco come quello e restare noi stessi. Mi sembrava che ci fossimo completamente esauriti. Suonai su quel pezzo, anche se il mio contributo si limitava a un brevissimo riff blues nella sezione centrale, e come consolazione mi diedero il lato B, uno strumentale intitolato 'Got To Hurry', che si basava su una melodia canticchiata da Giorgio Gomelsky, il quale si attribuì il merito della scrittura con lo pseudonimo di O. Rasputin. A quel punto, ero già un individuo piuttosto scorbutico e scontento e deliberatamente mi sono reso il più impopolare possibile: ero sempre polemico e dogmatico rispetto a tutto quello che mi veniva presentato”.
Fu così che, qualche giorno dopo la registrazione del brano, Clapton fu convocato da Gomelsky, già da qualche tempo manager e produttore della band: “Clapton venne nel mio ufficio e si capiva che non era per niente felice. La musica non gli piaceva e, oltre a non essere contento della voce di Keith, era anche scontento del fatto che quel brano non avesse bisogno di una chitarra solista”. Questo, invece, il ricordo di Chris Dreja: “Eric era un purista, al punto da essere accecato, e non si rendeva conto che il resto della band era felice se riusciva a raggiungere dei risultati suonando anche qualcosa che andava al di là del suo classico recinto. A conti fatti, penso che la cosa lo abbia profondamente ferito, visto quanto eravamo stati vicini negli ultimi anni”.

To thrill you with delight
I'll give you diamonds bright
There'll be things that will excite
To make you dream of me at night
For your love
For your love
For your love

jeff_beck_01Deluso dalle scelte della band, il 25 marzo, lo stesso giorno della pubblicazione del singolo, Clapton fece armi e bagagli e se ne andò a suonare con John Mayall & The Bluesbreakers, non prima, però, di aver consigliato, come suo sostituto, un certo Jimmy Page. Tuttavia, una volta interpellato da Relf e soci, Page rifiutò, perché non voleva rinunciare alla sua lucrosa attività di sessionman, ma forse anche perché non era ancora disposto a mettersi in competizione con il suo vecchio amico. A sua volta, però, indirizzò la band verso un altro chitarrista, Jeff Beck, il quale, dopo aver ascoltato Five Live Yardbirds, accettò senza battere ciglio. Ex-studente di arte, Beck aveva fino a quel momento sbarcato il lunario lavorando come sessionman (suonò, tra gli altri, con Screaming Lord Sutch) e prestando la sua sei corde ai Tridents, una formazione artefice di un poderoso rhythm'n'blues, “tipo la roba di Jimmy Reed, che noi potenziammo per renderla più rock”, dirà. Beck non era mai stato un vero amante del blues, ma aveva dalla sua una fantasia sfrenata e un desiderio di sperimentare nuove soluzioni timbrico-stilistiche che avrebbero portato la musica degli Yardbirds a un nuovo livello. Durante le esibizioni dal vivo, il chitarrista originario del sobborgo londinese di Sutton, poteva arrivare a torturare letteralmente la propria chitarra, ricavando da essa, grazie all’uso di diversi effetti, sonorità proto-metalliche, atonali, percussive o prossime al rumore puro. La sua influenza sui chitarristi degli anni Sessanta sarà seconda soltanto a quella dell’inarrivabile Jimi Hendrix.

Come scrive David French, autore di "Heart Full of Soul: Keith Relf of the Yardbirds", “Beck aveva assorbito Buddy Guy, Chuck Berry e Bo Diddley, ma aveva anche un profondo amore per i musicisti degli anni 50, che utilizzavano una gamma molto più ampia della tecnica chitarristica, al pari di Freddie King, Les Paul, Cliff Gallup e Scotty Moore. Se Clapton era ossessionato da uno spettro molto ristretto del blues di Chicago, Beck si ispirò invece a tante cose diverse e mescolò tutto insieme, creando qualcosa di completamente nuovo. Combinò una tecnica fenomenale con un'immaginazione illimitata e un profondo interesse per il suono puro, dal feedback alle armoniche, ai suoni generati dai primi effetti per chitarra, come il Binson Echo-Rec, il boost degli acuti e alcuni dei primi pedali fuzz che Roger Mayer, un amico di Jimmy Page, stava allora costruendo. E, cosa ancora più importante, il suo modo di suonare era altamente melodico e pieno di sentimento; con poche note, riusciva a proiettare un'intensità lunatica che s’amalgamava perfettamente sia con la voce di Keith che con il suono e l'immagine complessivi del gruppo. Allo stesso tempo, Beck era un performer elettrizzante e carismatico, con un bell'aspetto cupo e una zazzera di capelli scuri che lo resero immediatamente uno dei preferiti dei fan degli Yardbirds”.
Grazie all’uso del Binson Echo-Rec, Beck poteva creare eco artificiali e suoni carichi di riverbero, ma a interessarlo era anche la possibilità di prolungare quanto più possibile le vibrazioni delle corde. Si rivolse, così, all’amico Roger Mayer, un ex-ingegnere dell'Ammiragliato britannico, che progettò per lui un dispositivo nuovo di zecca. Fu così che Beck si trovò a essere uno dei primi sperimentatori del fuzz box, che non solo allungava le note, ma aggiungeva anche uno strato di leggera distorsione del suono che sarebbe poi diventato caratteristico sia del rock psichedelico che del garage-rock.

keith_relf_02Guidati dall’istinto avventuroso di Beck, gli Yardbirds si avvicinarono anche alle sonorità orientaleggianti, che proprio all’epoca stavano iniziando a penetrare nel recinto del pop-rock, complice anche la diffusione sempre più capillare, tra le frange più curiose della gioventù britannica, di droghe quali marijuana e Lsd. Gli Yardbirds non furono consumatori accaniti di quelle sostanze, ma condivisero fin da subito l’idea di quanti, stuzzicati anche dalle visioni allucinogene, presero a guardare al rock come a una vera e propria forma d’arte. Ecco cosa Keith Relf dichiarò alla rivista Rave: “La musica pop è come la pittura astratta. In qualche modo, è più facile dipingere un tramonto pensando a un quadro classicamente inteso, piuttosto che dipingerlo mediante una massa astratta di colore. Le persone devono sentire ciò che l'artista ha cercato di ottenere. Quando registriamo un nostro brano, non necessariamente cantiamo di nebbie e tramonti, ma diamo vita a un suono che possa evocare, nelle menti degli ascoltatori, pensieri e immagini che li richiamino”.

Stimolati dalla nascente cultura psichedelica, il 20 aprile del 1965 gli Yardbirds incisero “Heart Full Of Soul” (ancora dalla penna di Gouldman), un brano che alterna melodie in chiave minore e maggiore e su cui, oltre al suono di una tabla, si ascolta anche una linea di chitarra che prova a imitare il suono di un sitar: a suonarla fu proprio Jeff Beck, il quale, per ottenere quel suono, combinò il bending, il sustain e il legato, cimentandosi anche in quella che è probabilmente la prima estesa improvvisazione modale alla chitarra elettrica. Con questo brano (che uscì come singolo tre mesi dopo), gli Yardbirds realizzarono, in pratica, uno dei primissimi esempi di quello che, di lì a poco, sarebbe stato chiamato "raga rock".
Curiosità: sulla primissima registrazione di “Heart Full Of Soul”, non pubblicata, perché non apprezzata dalla band, compariva il suono di un vero sitar, suonato da un musicista chiamato per l'occasione, che però ebbe non pochi problemi nel suonare in 4/4. Come rilevato anche da Gianfranco Salvatore in "I primi quattro secondi di 'Revolver'. La cultura pop degli anni Sessanta e la crisi della canzone", quella fu comunque la "prima registrazione di un brano pop con una parte affidata al sitar".

Sick at heart and lonely
Deep in dark despair
Thinking one thought only
Where is she, tell me where
And if she says to you
She don't want me
Just give her my message
Tell her of my plea
And I know, if she had me back again
Oh, I would never make her sad
I got a heart full of soul

for_your_lovePer venire incontro alle crescenti richieste di band inglesi in terra americana, complice la storica esibizione dei Beatles all’Ed Sullivan Show (era il 9 febbraio 1964 e furono circa settantatré i milioni di spettatori americani ipnotizzati dai Fab Four, veri pionieri della cosiddetta British Invasion), Gomelsky aveva nel frattempo organizzato il primo tour a stelle e strisce degli Yardbirds. Per sfruttare il successo di "For Your Love", il manager aveva anche selezionato il materiale del primo Lp in studio della band, il cui titolo ricalcava proprio quello del singolo di successo che aveva causato l’abbandono di Clapton.

For Your Love (giugno 1965 - 11 tracce; 31:04) uscì solo sul mercato americano, presentando, oltre alla già citata title track, decisi “indurimenti” della materia blues-rock (“A Certain Girl”, “I Ain’t Done Wrong”, e, soprattutto, il proto-metal di “I’m Not Talking”, questi ultimi due perfetti per evidenziare il talento di Beck), escursioni rhythm'n'blues più o meno canoniche (“I Ain’t Got You”, “I Wish You Would”), un paio di rock’n’roll (“Putty (In Your Hands)”, “Good Morning Little Schoolgirls”) e qualche concessione a sonorità più marcatamente pop (“Sweet Music”, “My Girl Sloppy”). Anche se Clapton era ormai solo un vecchio ricordo, la sua chitarra solista la si ascolta su gran parte dei brani in scaletta, lasciando a Beck solo tre performance: "I'm Not Talking", "I Ain't Done Wrong" e "My Girl Sloopy". Ciò dipese dal fatto che Gomelsky pescò a piene mani nel materiale, fatto per lo più di cover, della prima incarnazione della band.

Nel settembre del 1965, gli Yardbirds atterrarono all’aeroporto John F. Kennedy di New York, pronti a mettersi in marcia lungo gli States, dove furono supportati dagli Spiders, che confessarono ai loro colleghi d’oltreoceano di aver dedicato gli ultimi mesi allo studio di tutti i brani di For Your Love. Alcuni anni dopo, ispirandosi proprio a un brano degli Yardbirds (“The Nazz Is Blue”), i membri della band texana opteranno per il moniker Nazz, prima di essere baciati dal successo come Alice Cooper.
Giunti dalle parti di Memphis, gli Yardbirds bussarono alla porta della Sun Records di Sam Phillips e il 12 settembre 1965 registrarono due tracce, "The Train Kept-A-Rollin'" e "You're A Better Man Than I". Una settimana dopo, in quel di Chicago, incisero una cover di "I'm A Man" di Bo Diddley. La band trascorse, quindi, alcuni giorni a New York, dove ebbe modo di incontrare anche l’icona della Pop Art, Andy Warhol.

Tornati in patria, Relf, Beck e gli altri si prepararono a promuovere il singolo “Evil Hearted You”/“Still I’m Sad”, in uscita il primo di ottobre (avrebbe raggiunto la terza piazza della classifica inglese), mentre facevano di tutto per accontentare le varie riviste che chiedevano loro un'intervista. Sulle pagine di Rave, oltre a sottolineare che la band si era ormai allontanata dal “puro blues” e a dichiarare, senza mezzi termini, che il loro obiettivo numero uno era quello di registrare “dischi di successo”, perché, “se vogliamo guadagnarci da vivere, dobbiamo suonare popolare” e, perciò, “non serve a nulla suonare musica che solo gli specialisti possono apprezzare”, Keith Relf, probabilmente ricordandosi dell’incontro con Warhol, definì la musica della band con l’espressione “pop art”, anche se qualche giorno dopo, sulla rivista Union News dell’università di Leeds, avrebbe optato per un probabilmente più efficace “new wave pop music”.


having_a_rave_up_01Con ben quattro tracce provenienti da Five Live Yardbirds (tutte posizionate sul lato B), il nuovo Lp degli Yardbirds, Having A Rave Up With The Yardbirds (novembre 1965 - 10 tracce; 37:40), continuò a mantenere bella accesa la fiammella della band inglese in terra americana. Il disco, infatti, pur fermandosi alla cinquantatreesima posizione, resterà in classifica per ben trentatré settimane.
Having A Rave Up With The Yardbirds è uno dei loro dischi migliori, grazie a brani incredibilmente in anticipo sui tempi come “You’re A Better Man Than I” (andamento marziale, basso roboante, piglio pop “scurissimo” e sapiente assolo di chitarra), “Evil Hearted You” (dalle sinistre atmosfere proto-psichedeliche), “Still I’m Sad” (in cui l’atmosfera orientaleggiante è resa ancora più minacciosa da vocalizzazioni gregoriane in controcanto) e il blues rockeggiante di “The Train Kept A-Rollin’”, brano che, con il titolo di "Stroll On", un testo nuovo di zecca e un sound a cavallo tra hard-rock e proto-metal, gli Yardbirds finiranno a suonare in una delle scene di "Blow-Up", il capolavoro di Michelangelo Antonioni uscito nel 1966. A completare una delle più grandi prime facciate della prima fase del rock, il ripescaggio di “Heart Full Of Soul” e una versione di “I’m A Man” con “grattugia” di corde sordinate e poderosa progressione “ferroviaria”, quella che, dal vivo, dava il La a un selvaggio rave-up.
Se vi state chiedendo da dove saltarono fuori le vocalizzazioni gregoriane su “Still I’m Sad”, sappiate che a ispirare la coppia McCarty/Samwell-Smith, autrice del brano, fu il manager Giorgio Gomelsky: “Qualche anno prima, avevo trascorso un po' di tempo in un monastero benedettino, dove i monaci avevano un coro che cantava tutti i giorni dei canti gregoriani e gli studenti dovevano impararli… Tempo dopo, per puro caso, mentre Keith, Sam e io stavamo facendo pipì nei bagni dell'Aylesbury Town Hall, durante una pausa tra due set di un concerto, presi a cantare a cappella alcune parti di basso di quei canti gregoriani... e le orecchie di Keith e Sam si drizzarono all'istante. Da quel momento in poi, ogni volta che ci ritrovavamo nei bagni, io tiravo fuori sempre nuovi canti improvvisati, finché un giorno 'Still I’m Sad' si è materializzata”.

Molto influente sia sulla scena garage che su quella psichedelica americana, Having A Rave Up With The Yardbirds colpì l’immaginazione di molti musicisti più o meno in erba dell’epoca, grazie soprattutto al lavoro di armonica e chitarra. Come avrebbe ricordato David Aguilar, il cantante dei Chocolate Watchband, una delle formazioni garage-rock più apprezzate di quel periodo: “Ciò che rendeva quel disco così grande era l’armonica e soprattutto il modo in cui armonica e chitarra si rispondevano a vicenda. 'I’m A Man' esisteva da molto tempo, ma non era mai stata suonata in quel modo. Per noi si trattava di un'energia molto più alta, potevamo metterci dentro molto di più e potevamo allungarla...”.

Evil hearted you.
You always try to put me down,
With the things you do,
And words,
You spread around against me.
Evil hearted you

yardbirds_sanremoLa fama conquistata dalla band nel corso degli ultimi mesi fu tale che anche gli organizzatori del nostro Festival di Sanremo li vollero tra i partecipanti. Così, nel gennaio del 1966, salirono sul palco della città dei fiori per ben due volte: nella prima, insieme a Lucio Dalla, intonarono il pop sbarazzino di “Paff… Bum!”; nella seconda, invece, accompagnarono Bobby Solo nella melensa “Questa volta”. Inutile dire che le due canzoni furono subito eliminate e che, nel complesso, il tutto si risolse in un’esperienza molto deprimente per la band, la quale, spinta da Gomelsky, aveva anche registrato un singolo contenente le suddette due canzoni.
"Quelle due canzoni furono le nostre cose peggiori di sempre. (…) Fu molto strano. Quando salimmo sul palco, il pubblico, che non aveva mai davvero visto, prima di allora, una band elettrica, iniziò a rumoreggiare e a fischiare. Fu orribile" (Jim McCarty).
Nel febbraio di quello stesso anno, gli Yardbirds pubblicarono su singolo “Shapes Of Things”, caratterizzato da un assolo di chitarra con feedback e suonato su una sola corda (Sol) che, a quanto pare, influenzerà sia il Paul McCartney di “Taxman”, che la Paul Butterfield Band di “East-West”. Così Beck ne ricorderà l'ideazione: "Continuavo a cambiare suono di chitarra. Così abbiamo deciso di fare due o tre registrazioni delle mie chitarre e poi le abbiamo mescolate tutte insieme".
A detta del critico Richie Unterberger, "Shapes Of Things" (che fu il primo successo scritto dalla stessa band) è da considerare come "il primo classico del rock psichedelico", come conferma anche il testo di Relf, che indugia su visioni di stampo onirico, pur essendo vagamente incentrato su una ferma condanna di tutte le guerre: "Shapes of things before my eyes/ Just teach me to despise/ Will time make men more wise?/ Here within my lonely frame/ My eyes just heard my brain/ But will it seem the same?/ Come tomorrow, will I be older?/ Come tomorrow, may be a soldier/ Come tomorrow, may I be bolder than today?/ Now the trees are almost green/ But will they still be seen/ When time and tide have been?"

Non puoi stare fermo in questo business! Devi essere in anticipo sui tempi!
(Jeff Beck)

Nonostante avessero registrato uno dei loro brani migliori (“Shapes Of Things”), gli Yardbirds ci misero un po’ a digerire il clamoroso fiasco di Sanremo, il che portò alla progressiva erosione del loro rapporto di fiducia con Giorgio Gomelsky. A rendere inquieta la band, c’era però anche la velocità con cui la scena musicale di quel periodo mutava, il che fece dire a Jeff Beck che “non puoi stare fermo in questo business! Devi essere in anticipo sui tempi. Una cosa è certa: la scena beat ha raggiunto il punto di saturazione per le band. Per mantenere il passo, devi continuare a produrre nuovi suoni…”.
In effetti, il 1966 fu un anno davvero entusiasmante per quello che allora si chiamava genericamente “pop”: Bob Dylan pubblicò il suo capolavoro, “Blonde On Blonde”, Frank Zappa esordì con quello che è da molti considerato il suo disco migliore, lo straordinario “Freak Out!”, i Beach Boys, guidati dalla mente geniale di Brian Wilson, trasfigurarono l’endless summer della surf-music in vertigine baroque-pop grazie ai solchi di “Pet Sounds”, mentre i Beatles tirarono fuori dal cilindro uno dei loro lavori più apprezzati e influenti, “Revolver”… e questo giusto per citare solo alcuni dei nomi più famosi. Insomma, il grande chitarrista aveva ragione da vendere quando sosteneva che, per restare a galla, gli Yardbirds avrebbero dovuto lottare a denti stretti!

yardbirds_rogerFu così che, dopo aver licenziato Gomelsky e reclutato un nuovo manager nella figura di Simon Napier-Bell, la band si chiuse negli Advsion Studios di Londra, dove nel giro di una settimana registrò le dodici tracce del suo capolavoro. Interamente composto di brani autografi e pubblicato nel luglio del 1966, Yardbirds (12 tracce; 35:52 - disco conosciuto anche con il nome di Roger The Engineer, titolo ispirato dal disegno di copertina realizzato da Chris Dreja e raffigurante una caricatura dell’ingegnere del suono Roger Cameron) mostra un grande equilibrio tra la ruvidezza del loro hard blues-rock e le tensioni sperimentali della musica psichedelica, che proprio in quel 1966 stava iniziando a vivere la sua fase più creativa.
Come testimonia la prima traccia, “Lost Woman”, la band continuava ad affidarsi a lunghe divagazioni strumentali, che oggi diremmo “proto-progressive”, ma che in quel momento semplicemente rispecchiavano il desiderio delle formazioni più smaliziate di oltrepassare le strutture canoniche della forma canzone. Un desiderio che gli Yardbirds erano stati tra i primi a intercettare, quando, agli inizi della loro carriera, avevano approcciato il repertorio del blues di Chicago con quel piglio avventuroso poi trasfigurato nelle torride trame dei rave up.
Dopo il boogie scalpitante, con battimani, controcanti di giubilo, armonica sbuffante e echi indianeggianti di “Over, Under, Sideways, Down” (che fu ispirato dal classico di Bill Haley & His Comets, “Rock Around The Clock”, e che fu anche il titolo con cui il disco uscì negli Stati Uniti e in altre nazioni), le dodici battute di “The Nazz Are Blue” fanno spazio alla chitarra di Jeff Beck, protagonista anche nella ruvida “Rack My Mind”, nello strumentale “Jeff’s Boogie” e nella sbrigliata “What Do You Want”, che si riallaccia alle origini del rock’n’roll.
Quello di “I Can’t Make Your Way” è, invece, un delizioso esempio di pop-blues psichedelico, privo di veri eccessi, ma contraddistinto da una cantabilità contagiosa, mentre il riff scheletrico di “He's Always There” è perfetto per innescare un brano dai toni mefistofelici. Anche le ballate di “Farewell” e “Turn Into Earth” profumano di coscienze leggermente alterate o, quantomeno, di vapori di sogno. I brani più particolari del disco sono comunque “Hot House Of Omagararshid” (un party latino-acquatico) ed “Ever Since The World Began”, che procede da un sabba psichedelico verso uno scanzonato pop-rock.

Cars and girls are easy come by in this day and age
Laughing, joking, drinking, smoking
Till I've spent my wage
When I was young people spoke of immorality
All the things they said were wrong
Are what I want to be

Pubblicato Yardbirds [Roger The Engineer] (che sarà l'unico disco degli Yardbirds a raggiungere la Top 20 inglese), Samwell-Smith, stanco di andare in tour, decise di mollare per dedicarsi alla produzione. Venne rimpiazzato da Jimmy Page che, pur essendo un chitarrista, imbracciò il basso per dare il tempo a Chris Dreja di fare pratica con il nuovo strumento. Quando Jeff Beck, prima di un concerto al Carousel Ballroom di San Francisco, accusò un improvviso malessere, Page prese il suo posto, mostrando tutto il suo valore sulla sei corde. Così, quando Beck si riprese, a nessuno venne più in mente di affidargli il basso (che passò definitivamente nelle mani di Dreja), ma tutti furono concordi nel proseguire con una formazione comprendente due chitarre soliste.
L’unico frutto discografico di quella che, senza ombra di dubbio, resta una delle line-up più esplosive di quel periodo, fu il singolo “Happening Ten Years Time Ago”/“Psycho Daisies” (ottobre 1966), il cui lato A offre un pulsante connubio di sonorità psichedeliche e umori orientaleggianti, squarciati dalle torride stilettate delle due chitarre, protagoniste anche sul lato B, più orientato sul versante garage-rock/proto-hard. Per la cronaca, su “Happening Ten Years Time Ago” il basso fu suonato da John Paul Jones, altro futuro Led Zeppelin.

jeff_beck_blow_up_01In quel fatidico 1966, la band comparve anche in "Blow Up", da molti considerato il vertice dell'arte cinematografica di Michelangelo Antonioni. Il regista italiano era, in realtà, interessato alla figura di Pete Townshend, il chitarrista leader degli Who, il quale aveva l’abitudine di chiudere i concerti sfasciando la propria chitarra contro gli amplificatori, un'idea che aveva maturato studiando l'arte autodistruttiva di Gustav Metzger, uno degli esponenti più in vista del cosiddetto "azionismo". Per contattare Townshend, Antonioni chiese aiuto a Simon Napier-Bell, che tuttavia non riuscì a convincerlo. All’astuto manager, però, non sfuggì che quella poteva essere una grande occasione, e così dirottò il regista su Jeff Beck, dicendo che anche lui, quando suonava con gli Yardbirds, si divertiva a sfasciare chitarre… Non era vero, eppure, quando la band fu filmata mentre suonava “Stroll On” (un poderoso rifacimento proto-metal di “Train Kept A-Rollin'” di Tiny Bradshaw, introdotta dall'incedere marziale della batteria e da un feedback di chitarra armonizzata), Beck (a cui erano state fornite diverse chitarre Hofner Senator economiche da usare al posto della sua Les Paul, e che, poco prima di girare la scena, aveva confessato a un giornalista di sentirsi molto imbarazzato nel fare una cosa che, da sé, non avrebbe mai fatto!) fece del suo meglio nel cercare di imitare Townshend.

Dazed and confused

 

Nell'ottobre del 1966, gli Yardbirds tornarono negli Stati Uniti per una nuova serie di concerti. All'ombra della bandiera a stelle e strisce, la loro fama si era ulteriormente rafforzata e tutti speravano di poter passare all'incasso. In Connecticut, a supportare la band furono chiamati i Chain Reaction, il cui cantante, Steven Tyler, sarebbe poi diventanto una star internazionale con gli Aerosmith. Giunti in California, gli Yardbirds suonarono anche al Fillmore West di San Francisco, mentre in Texas la band si preparò a un mese di concerti tra il il Sud e il Midwest, nell'ambito del "Caravan Of Stars" organizzato dal presentatore televisivo Dick Clark, il quale aveva coinvolto anche artisti molto lontani dalle aspirazioni della band inglese, quali Gary Lewis and the Playboys, Sam the Sham and the Pharaohs e Bobby Hebb. Fu uno dei punti più bassi dell'avventura degli Yardbirds, come avrebbe confermato qualche anno dopo McCarty: "È stato terribile: quattro settimane in viaggio in questo vecchio autobus Greyhound, facendo due concerti in città diverse ogni sera. Credo che Simon [Napier-Bell] volesse ucciderci. Avevamo una media di quattro ore di sonno a notte. Era la cosa più sbagliata per noi".

L'esperienza del "Caravan Of Stars" fu particolarmente stressante per Jeff Beck, in quel periodo già debilitato da una fastidiosa e persistente tonsillite. Il punto di rottura giunse all'inizio di novembre, alla fine del concerto tenuto dalla band al Memorial Auditorium di Dallas. Sull'orlo di una crisi di nervi, Beck scagliò la sua chitarra sul pavimento del camerino, non molto lontano da un attonito Keith Relf. Pochi giorni dopo, esattamente il 30 novembre 1966, Napier-Bell annunciò che Beck aveva lasciato la band per motivi di salute. Alla fine, l'aver accettato di condividere il ruolo di chitarrista con Jimmy Page si era rivelato per lui un problema, come avrebbe confermato alcuni anni dopo lo stesso Beck: "La cosa non funzionò e infatti andò avanti solo tre mesi (...) Non volevo dividere i riflettori. Volevo monopolizzare tutto. Ho pensato: "Che diavolo! Ho lavorato così duramente solo per dividerli?".
In un'intervista del 1977, così Page avrebbe invece ricordato la sua interazione musicale con Beck: "A volte funzionava benissimo, altre volte no. C'erano molte armonie che credo nessun altro avesse mai fatto, o quantomeno non come le facevamo noi. Gli Stones sono stati gli unici a utilizzare due chitarre contemporaneamente, a partire dai vecchi dischi di Muddy Waters. Ma noi eravamo più propensi agli assoli che alla ritmica. Il punto è che le parti devono essere ben definite e io mi accorgevo che stavo facendo quello che dovevo fare, mentre Jeff faceva qualcosa di completamente diverso. Questo andava bene per le aree di improvvisazione, ma c'erano altre parti in cui non funzionava".

little_games_yardbirds_01Nonostante l'allontanamento di Beck, gli Yardbirds non persero il gusto per la ricerca sonora, come dimostrò Little Games (10 tracce; 30:28), il loro quarto disco, uscito nel luglio del 1967, appena un mese dopo la pubblicazione di quel "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" con cui i Beatles avevano portato a un livello superiore la loro sperimentazione in studio. Anche se la Epic aveva affidato la produzione a Mickie Most (già al lavoro con gli Herman’s Hermits e Donovan), nel tentativo di tirare fuori un disco relativamente più commerciale, da cui magari ricavare anche qualche singolo di successo, Little Games non divenne un bestseller, ma confermò in ogni caso lo status di una band che faceva dell’eclettismo una delle sue armi migliori. Lo dimostrano una title track che gioca la carta del pop barocco (con John Paul Jones al basso e a occuparsi degli arrangiamenti di violoncello), il rock’n’roll virato honky-tonk di “Smile On Me”, il garage-rock in orbita Who di “Tinker, Tailor, Soldier, Sailor” e “No Excess Baggage”, lo strumentale “Glimpses” (un’ipnosi psichedelica con chitarre stratificate, canto simil-gregoriano e sample vari) e una “Stealing Stealing” che ripesca un brano folk tradizionale portato al successo dalla Memphis Jug Band alla fine degli anni Venti. E se con “Drinking Muddy Water” la band ripercorre le strade che portano direttamente al blues chicagoano, la marcetta di “Little Soldier Boy” punta, invece, verso un universo parallelo in cui i trip lisergici assomigliano a fiabe per l’infanzia.
Una nota a parte merita, infine, il raga-folk acustico di “White Summer”, con un assolo di Page che dona all’insieme un’atmosfera quasi orientale, rinforzata da percussioni indiane e tablas suonate da Chris Karan e da un oboe affidato a un non meglio identificato sessionman. A quanto pare, questo strumentale fu ispirato da una vecchia canzone irlandese, “She Moved Through The Fair”, già ripresa nel 1963 da Davy Graham col titolo “She Moved Thru' The Bizarre/Blue Raga” e arricchita di sonorità indianeggianti. Dopo essere diventato uno dei pilastri dei Led Zeppelin, Page si ricorderà di “White Summer” per scrivere “Over The Hills And Far Away”, terza traccia dell’album “Houses Of Ther Holy”. Tuttavia, come da sua abitudine, nemmeno in quel caso avrà cura di citare la fonte…

Glimpses of clouds in a forest
Can review well within us
And never to linger on one is life
Energy radiates from the source
The life around us is but a reflection of our own
Flowing within never-ending boundless infinity
Time is just a cumular limit
Which with one glimpse can overcome
Can overcome

Tra i solchi di Little Games, è comunque proprio Jimmy Page a fare la parte del leone. Il chitarrista, infatti, non solo sperimentò, su suggerimento del violinista scozzese David Keith McCallum, Sr., l’uso di un archetto per violoncello (cosa che avrebbe, poi, continuato a fare anche con i Led Zeppelin), ma si divertì anche ad alterarne a più riprese il suono, utilizzando accordature aperte, un pedale wah-wah e varia effettistica fuzz. Quando suonava dal vivo, aveva anche preso l’abitudine di utilizzare nastri preregistrati, su cui aveva precedentemente impresso rumori vari.
Little Games non vendette tantissimo, ma per fortuna, qualche mese prima, The Yardbirds Greatest Hits era riuscito a sfondare il muro della Top 30 di Billboard, diventando così il maggior successo commerciale della band sul mercato americano.

Nel frattempo, Simon Napier-Bell, preoccupato per le sorti della band (che, pur avendo fatto un lungo tour attraverso l’Australia, la Nuova Zelanda, la Francia e la Danimarca, dove aveva condiviso più di un palco anche con Roy Orbison e i Walker Brothers, non poteva contare su introiti soddisfacenti), aveva chiesto a Peter Grant di prendere il suo posto di manager. Come ricorderà lo stesso Grant, al suo arrivò si rese conto che non c’era molto da fare per migliorare le sorti della band. Tuttavia, facendo leva sul suo senso pratico, riuscì a garantirle una certa stabilità economica e ciò nonostante essa avesse deliberatamente scelto di non suonare dal vivo il materiale più recente, concentrandosi, invece, sulla riproposizione dei brani più avventurosi dei suoi inizi, ma anche sulla rilettura di cose lontane dal proprio orticello, come “I’m Waiting For The Man” dei Velvet Underground, “Most Likely You Go Your Way And I’ll Go Mine” di Bob Dylan e “Dazed And Confused” del relativamente sconosciuto cantautore californiano Jake Holmes, che nell’agosto del 1967 aveva aperto un concerto newyorkese degli Yardbirds. “Dazed And Confused”, che Page avrebbe portato in dote anche nei futuri Led Zeppelin (lo trovate, non accreditato!, alla fine del lato A del loro debutto targato 1969), divenne, con un testo leggermente modificato e un nuovo arrangiamento (forte di un’introduzione e di una sezione improvvisata in cui si ascolta la chitarra suonata con l’archetto), uno dei momenti topici dei concerti degli Yardbirds a cavallo tra la fine del 1967 e il 1968. Insieme ad altre registrazioni live (catturate durante l’ultimo tour americano della band) e a diversi demo, “Dazed And Confused” finirà su Yardbirds ‘68.

yardbirds_jimmy_pageNel gennaio del 1968 venne pubblicato il singolo “Goodnight Sweet Josephine”/“Think About It”, due brani che evidenziarono la spaccatura che si era andata consolidando, dopo l'addio di Jeff Beck, all'interno della band. Se, infatti, Jim McCarty e Keith Relf volevano spostare il baricentro della musica verso sonorità più folk e pop, Jimmy Page desiderava proseguire lungo la traiettoria di un sound potente, metallico e vagamente psichedelico.
Tra il marzo e l'aprile successivo, altro materiale venne registrato dal vivo in quel di New York (tra cui l'inedita "Knowing That I'm Losing You", una prima versione di quella che sarebbe poi diventata la "Tangerine" dei Led Zeppelin), ma nessuno dei membri della band se ne disse entusiasta, forse anche presagendo che la loro avventura come Yardbirds era ormai agli sgoccioli. Tuttavia, quando i Led Zeppelin divennero la gallina dalle uova d’oro dell’industria discografica (cioè, subito dopo aver pubblicato il loro primo disco), la Epic cercò di battere cassa rilasciando Live Yardbirds: Featuring Jimmy Page (settembre 1971), che raccoglieva brani provenienti da uno di quei concerti newyorkesi del 1968, salvo dover poi correre ai ripari quando gli avvocati di Page si fecero sentire...

Dopo aver suonato due concerti in quel di Los Angeles (31 maggio e primo giugno, documentati sul bootleg Last Rave-Up In L.A.) e un altro paio in Alabama (4-5 giugno), gli Yardbirds persero per strada Relf e McCarty, sia per la diversità di vedute di cui si è detto poc’anzi, sia perché i due avevano cominciato a darci dentro con le droghe, cosa poco apprezzata dai più sobri Page e Dreja. "Keith scriveva grandi testi", avrebbe ricordato Chris Dreja. "Poi, ha iniziato a bere e a prendere varie droghe. All'inizio era un giovane molto sensibile, ma dopo sei anni intensi di carriera è diventato un po' un disastro. Alcune persone si autodistruggono". E ancora: "Keith stava diventando sempre più inaffidabile, il che era una vera ironia, perché era la prima volta che avevamo un chitarrista totalmente affidabile". Per la cronaca, la band aveva suonato il suo ultimo concerto al College of Technology di Luton. Era il 7 luglio 1968.

 

A quel punto, Jimmy Page sembrava rivolto verso una carriera solista, eppure, giusto qualche mese dopo, per ragioni contrattuali, insieme a Dreja continuò a lavorare intorno all’idea di una nuova formazione degli Yardbirds, con un sound trasformato in un collage di suoni e arricchito dalla presenza di un mellotron, uno strumento musicale a tastiera la cui fama era in forte ascesa grazie al suo utilizzo nell’ambito dell’allora nascente progressive-rock. Dreja, però, decise di lasciar perdere dopo alcuni esperimenti, rivolgendo la sua attenzione al campo della fotografia, diventata nel frattempo una delle sue più grandi passioni. Page, invece, non si diede per vinto e varò il progetto New Yardbirds, con John Paul Jones (vero nome James Baldwin) al basso, Robert Plant alla voce e John Bonham alla batteria. Di lì a poco, la band avrebbe cambiato nome in Led Zeppelin, andando a scrivere una delle storie più avvincenti della musica rock.

Dopo aver varato il duo acustico Together, Relf e McCarty fondarono i Renaissance, destinati a diventare una delle formazioni più apprezzate del progressive inglese. Con i Renaissance, Relf registrerà solo i primi due album (l'omonimo del 1969 e "Illusion", uscito due anni dopo), prima di dedicarsi alla produzione di diversi artisti e, dunque, agli Armageddon, una formazione in bilico tra hard-rock, progressive e proto-metal, che nel 1975 esordì sulla lunga distanza con un album omonimo. Per Relf, quella fu l'ultima esperienza discografica: un anno dopo, mentre suonava la chitarra elettrica nel seminterrato di casa, mori tragicamente fulminato da una scossa elettrica. Aveva solo 33 anni.

Per tutta la seconda metà degli anni Settanta e per l'intero decennio successivo, la fama degli Yardbirds continuò a essere alimentata dal passaparola degli addetti ai lavori e degli appassionati, oltre che dalla pubblicazione di materiale d'archivio e di alcune antologie, tra cui Shapes Of Things: A Collection Of Classic Yardbirds Recordings 1964-66 (1977), The Yardbirds Favorites (1977), London 1963: The First Recordings! (1981), i tre volumi di Legend Of The Yardbirds (1982) e Greatest Hits, Vol. 1: 1964-1966 (1986).

Indirettamente, a supportare la fama della band contribuì anche la nascita, nel 1983, del progetto Box Of Frogs, grazie al quale Chris Dreja, Paul Samwell-Smith e Jim McCarty incrociarono nuovamente le loro strade, registrando, insieme al cantante John Fiddler, due dischi di blues-rock virato pop e con un occhio rivolto all'Aor: l'omonimo del 1984 - su cui Jeff Beck suonò la chitarra in quattro brani: "Back Where I Started", "Another Wasted Day", "Two Steps Ahead" e "Poor Boy" - e "Strange Land" del 1986, con il vecchio compagno di viaggio Jimmy Page ospite alla chitarra su "Asylum". Nulla di davvero memorabile, ma che fu comunque molto apprezzato nei campus universitari, il che avrebbe dato la possibilità alla band di imbarcarsi in un tour di sicuro successo in terra americana, se solo Dreja, Samwell-Smith e McCarty non avessero mandato tutto all'aria a causa della loro allergia ai tour, il che fece andare in bestia anche il vecchio sodale Jeff Beck, che avrebbe dovuto seguirli in qualità di primo chitarrista.

Epilogo o qualcosa di molto simile

 

yardbirds_birdland_01Nel 1992, Jim McCarty e Chris Dreja, coadiuvati dal cantante e bassista John Idan, rimisero in piedi gli Yardbirds su invito di Peter Barton. Grazie all’appoggio del manager della Rock Artist Management, per un decennio circa la band suonò molto dal vivo, ottenendo riscontri di pubblico più che soddisfacenti, cosa che portò naturalmente all’idea di registrare nuovo materiale, che venne approntato nel 2003 da una nuova line-up, comprendente, oltre al trio Dreja-McCarty-Idan, il chitarrista Gypie Mayo e l'armonicista Alan Glen.
Birdland (15 tracce; 56:52), pubblicato dalla Favored Nations e accompagnato da una copertina davvero orrenda, fu un lavoro complessivamente mediocre, destinato a solleticare la nostalgia dei fan a oltranza della band inglese, di sicuro stuzzicati dalla possibilità di riascoltare, oltre a sette brani inediti, scritti per lo più da McCarty, nuove versioni di otto dei loro classici degli anni Sessanta (tra cui "I'm Not Talking", "The Nazz Are Blue", "For Your Love", "Train Kept A Rollin'", "Shapes Of Things" e "Mr. You're A Better Man Than I"). Diversi brani sono impreziositi dalla presenza di alcuni ospiti di lusso, tra cui Joe Satriani, Steve Vai, Slash, Brian MaySteve Lukather e, soprattutto, Jeff Beck, che suona la chitarra in “My Blind Life”.

 

Seguiranno tanti altri concerti, dischi dal vivo (tra cui il Live At B.B. King Blues del 2007 e il più recente Live in France del 2020) e altre compilation.
A tutt'oggi, la band risulta essere ancora attiva, con una formazione che, pur avendo subito altri assestamenti, continua a rivolgersi con sincera passione ai fan più incalliti della prima ora, gli stessi che, il 10 gennaio scorso, hanno salutato per l'ultima volta Jeff Beck, stroncato da una forma letale di meningite batterica.

Strollin' on,
'Cos it's all gone,
The reason why.
You made me cry,
By tellin' me,
You didn't see.
The future bore,
Our love no more.
If you want to know,
I love you so,
And I don't want to let you go

Yardbirds

Discografia

Discografia essenziale
Five Live Yardbirds (Columbia, 1964 - live)
For Your Love (Epic, 1965)
Having A Rave Up With The Yardbirds (Epic, 1965)
Sonny Boy Williamson & the Yardbirds(Fontana, 1966 - live)
Yardbirds [Roger the Engineer] (Columbia, 1966)
Little Games (Epic, 1967)
Birdland (Favored Nations, 2003)
Pietra miliare
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