Courtney Barnett

Courtney Barnett

La riscossa dell'estetica slacker

La cantautrice australiana è rapidamente assurta a figura di riferimento della cultura slacker, incarnando sensazioni, emozioni e lifestyle della propria generazione. Dai primi Ep al successo mondiale, ottenuto grazie a “Sometimes I Sit” e “Tell Me How You Really Feel”, ecco la sua storia, dalle strade di Melbourne ai palcoscenici dei festival più importanti

di Claudio Lancia

Se c’è una cantautrice che meglio di qualunque altra ha saputo incarnare negli anni Dieci l’essenza della cultura slacker, questa è senz’altro Courtney Melba Barnett, nata a Sydney (Australia) il 3 novembre del 1987 e assurta con rapidità a figura di culto della scena indipendente mondiale, mettendo in musica e parole sensazioni, emozioni e lifestyle della propria generazione.

Mentre studia sui banchi della Tasmanian School Of Art, nella cittadina di Hobart, la giovane Courtney si forma musicalmente consumando a casa sia i dischi delle migliori band alt-rock americane, sia quelli dei songwriter originari della terra natia, quali Darren Hanlon e il più noto Paul Kelly, che la ispireranno non poco nella scrittura dei primi brani.
All’alba degli anni Dieci già suona la chitarra in una garage-band di Melbourne con attitudini grunge, i Rapid Transit, che realizzeranno un album omonimo distribuito soltanto in formato cassetta, divenuto poi oggetto di culto. Mentre si mantiene consegnando pizze a domicilio, a 24 anni Courtney entra nella band psych-country Immigrant Union, un side-project di Brent DeBoer dei Dandy Warhols. Con loro parteciperà alle registrazioni del secondo album, Anyway, suonando prevalentemente la chitarra slide e contribuendo ai cori. DeBoer ricambierà suonando la batteria nel primo Ep dell’amica.

I’ve Got A Friend Called Emily Ferris è l’esordio assoluto di Courtney come solista, sei tracce pubblicate ad aprile del 2012 per la neonata etichetta di proprietà Milk! Records. La giovane cantautrice potrà avere dal punto di vista artistico tratti ancora acerbi, ma la visione è subito chiara, quella di una nuova rocker dall’estetica DIY, che intende autoprodursi dimostrando di aver metabolizzato ad arte tutto il buono della scena alt-rock e grunge degli anni 90. L’iniziale “Lance Jr.” è una simpatica risposta a “Lance” dei Dandy Warhols, eseguita come se Cat Power stesse cantando sugli accordi di “Polly” dei Nirvana. Nella successiva “Are You Looking After Yourself” il punto di riferimento è invece la prima PJ Harvey (ma la coda strumentale è molto Pavement), per uno dei testi che faranno di Courtney la nuova eroina slacker-rock.
Esteticamente slacker è anche il videoclip girato per promuovere “Scotty Says” (dove la voce si avvicina a un’ipotesi di Sheryl Crow) che ritrae una coppia in stato di simpatico fancazzismo per le strade di una cittadina di provincia. “Canned Tomatoes” rappresenta invece il tentativo di unire i suoni degli Yo La Tengo (con tanto di chitarroni dissonanti) e il cantato degli Stereolab: gli ingredienti insomma sono tanti, e quasi tutti recuperati da quegli anni 90 mai dimenticati, neppure da chi per ragioni anagrafiche non ha potuto viverli da protagonista. Nell’aspetto della Barnett affiora tutta l’ordinata trasandatezza di quei tempi, unita a un taglio di capelli normale, una faccia acqua e sapone e tanto sarcasmo rimasticato per lunghi oziosi pomeriggi, travasato in canzoni che suonano benissimo, pur conservando tutti gli stilemi dell’approccio lo-fi, canzoni perfettamente riuscite, pur senza spiccare per originalità.

Un anno più tardi (ottobre 2013) esce un altro Ep di sei tracce, How To Carve A Carrott Into A Rose. Sin dall’iniziale “Out Of The Woodwork” risulta evidente la crescita compositiva della Barnett, in equilibrio fra il songwriting introspettivo di Elliott Smith e quel velo di suadente mistero a metà strada fra una Hope Sandoval e una Lana Del Rey del circuito alternativo. “Avant Gardener” è la sua prima piccola hit, che inizierà a farla conoscere oltre confine, anche per merito del supporto dato dall’inserimento della canzone nella serie televisiva di grande successo "Bojack Horseman".
“History Eraser” torna a ricordare i Nirvana, ma con un testo dal lungo svolgimento, quasi un Dylan apocrifo, “David” unisce invece il David Bowie di “Jean Genie” con i Doors di “Love Me Two Times”, frullando il tutto a uso e consumo dei college americani. La lenta conclusiva “Anonymous Club” finirà quattro anni più tardi nella colonna sonora del film “In The Fade”, premiato sia al Festival di Cannes (dove Diane Kruger si aggiudicherà il riconoscimento per la Migliore interpretazione femminile) che ai Golden Globes (Miglior film straniero).

Nel 2014 arriva la firma per la Marathon Records, etichetta che ripubblicherà i primi due Ep - velocemente assurti a cult record della scena indie - in un unico disco intitolato The Double Ep: A Sea Of Split Peas, una sorta di primo album della cantautrice australiana, il quale verrà distribuito nel 2014 anche negli Stati Uniti, ricevendo ottimi riscontri dalla critica musicale.

Nel 2013 Courtney suona la chitarra nel terzo album di Jen Cloher, "In Blood Memory", pubblicato dalla Milk! Records. E’ l’inizio di una collaborazione che viaggerà in parallelo con la relazione sentimentale che legherà le due cantanti fino al 2018.
Nel 2014 l’inedito “Pickles From The Jar” viene inserito nella compilation "A Pair Of Pears With Shadows", edita dalla Milk! Records per promuovere i propri talenti. L’esperimento si ripeterà due anni più tardi, quando nella compilation "Good For You" comparirà la briosa “Three Packs A Day”. Lo stesso anno Courtney sarà invitata da Bryce Dessner a partecipare al tributo monstre ai Grateful Dead "Day Of The Dead", per il quale registra una personale cover di “New Speedway Boogie”.

Ma il disco che muterà il destino della giovane cantautrice arriva a metà marzo del 2015, Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit, titolo che in quanto a lunghezza replica l’adorabile logorrea presente nei testi delle sue canzoni, dalle quali traspare sempre il piglio da acuta scrittrice e brillante osservatrice. Il disco viene registrato a Melbourne in soli otto giorni: per lasciare inalterata la freschezza dei brani, li ha fatti ascoltare alla band soltanto appena prima di eseguirli, nonostante la fase di minuziosa scrittura sia durata circa un anno. Pubblicato in contemporanea mondiale, grazie all’ausilio delle label House Anxiety e Mom + Pop, l’album concretizza il lucido stream of consciousness dell’autrice sin dalle iniziali “Elevator Operator” e “Pedestrian At Best”, brano quest’ultimo che decreta per la prima volta il successo planetario di Courtney.
L’artista – responsabile anche dell’artwork - si muove fra schitarrate liberatorie e simpatica insolenza, imponendo le eterne indecisioni di “Nobody Really Cares If You Don’t Go To The Party”, la Kim Deal immersa nell’acido lisergico di “Small Poppies”, l’alt-country velvettiano e spazzolato di “Depreston”, il power-pop da Mtv Generation di “Aqua Profunda!” e “Debbie Downer”, gli aromi lisergici – fra Velvet Underground e Doors - di “Kim’s Caravan”.
Nella versione deluxe in doppio vinile compare come bonus la lenta e psichedelica “Stair Androids & Valley Um…”, inizialmente inserita come ghost track nell’edizione australiana del lavoro. Un brano di Sometimes I Sit, "Boxing Day Blues", sarà rielaborato qualche mese più tardi in chiave più rock assieme a Jack White, per divenire parte delle Blu Series edite dalla Third Man Record, etichetta discografica con base a Nashville fondata dallo stesso White. Questa versione "Revisited" verrà distribuita in versione 7", con l'inclusione della cover di "Shivers", brano di Rowland S. Howard, chitarrista dei Birthday Party, scomparso nel 2009.

Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit si arrampica fino alla quarta posizione nella classifica degli album più venduti in Australia, si piazza al trentanovesimo posto nella chart di fine anno e porta a casa un disco d’oro grazie alle 35.000 copie distribuite. Nominato in otto categorie agli ARIA Music Award, i Grammy australiani, se ne aggiudica ben quattro nelle seguenti categorie: “Breakthrough Artist”, “Best Female Artist”, “Best Independent Release” e “Best Cover”. Non vincerà invece nelle categorie “Album Of The Year” e “Best Rock Album”, battuta da “Currents” dei Tame Impala.
Lontano da casa l’album raggiunge il sedicesimo posto nelle classifiche inglesi (con una nomination ai Brit Awards come “Best International Female”), la vetta della chart di Billboard dedicata agli album indipendenti, e persino la prestigiosa nomination ai Grammy Awards nella categoria “Best New Artist”. A suggellare la fama conseguita in territorio americano, nel maggio del 2016 sarà ospite di Jimmy Fallon nel seguitissimo Tonight Show, dove ritornerà due anni più tardi per presentare il suo album successivo.

A novembre del 2016 viene pubblicato Live At Electric Lady Studios, contenente sei fra le tracce più rappresentative dei primi due Ep, che qui trovano nuova linfa grazie alla carica sprigionata sul palco dall’artista. Dal vivo, così come in studio, è accompagnata da Dave Mudie alla batteria, Bones Sloane al basso, e spesso da Dan Luscombe dei Drones alla chitarra, il quale ha sempre partecipato anche alla co-produzione di tutti i dischi. Quando Luscombe non è disponibile, la band si presenta quasi sempre come trio, con Courtney impegnata in tutte le parti di chitarra.
A maggio del 2017 esce "How To Boil An Egg", singolo inedito, che non aveva trovato sino allora posto nei lavori della cantautrice. Il brano è acquistabile sottoscrivendo il progetto Split Singles Club, una serie creata dalle etichette indipendenti Milk! Records e Bedroom Suck.

Nel frattempo Courtney è diventata una piccola star del circuito indipendente e, incontrata l’anima artisticamente affine Kurt Vile, scrive e registra con lui un album a quattro mani, uno dei lavori più attesi dell’anno. Ma in Lotta Sea Lice, pubblicato nel 2017, il duo in camicia di flanella si lascia andare – e c’era da aspettarselo, conoscendo i protagonisti - a qualche lungaggine di troppo. Si rinnova nell’immaginario collettivo il romantico ricordo di una Courtney e di un Kurt, uniti assieme, seppur le nove canzoni qui incluse non abbiano quasi mai la forza di assecondare le altissime aspettative riposte dai fan, eccezion fatta per qualche episodio più riuscito, come “Over Everything” e “Outta The Woodwork”. Alle registrazioni partecipano amici musicisti, fra i quali spiccano le presenze di Stella Mozgawa delle Warpaint e di Mick Harvey.
Per gran parte del disco la sensazione è di ascoltare le riprese di un pomeriggio in cui si è esagerato con le droghe leggere e si è lasciato il microfono acceso mentre si strimpellava annoiati sul divano per ingannare il tempo. La presenza di Courtney, rispetto ai progetti del Vile solista, porta in dotazione una sana discontinuità, concretizzata anche attraverso un paio di tracce cantate in solitudine, “On Script” e “Peepin’ Tom”, quest’ultima con il solo accompagnamento della chitarra.
Lotta Sea Lice, pur non lasciando molta sostanza, contribuisce comunque a cristallizzare il talento randagio e sincero della Barnett. Un talento che qui resta espresso non al pieno delle proprie potenzialità, in canzoni pulsanti ma incompiute, che difficilmente riescono a insidiarsi sottopelle, prive di qualsiasi gancio da ricordare.

Nel 2018 è la volta di Tell Me How You Really Feel, che conferma Courtney fra le golden girl della scena alt-rock internazionale. Continua a emergere forte la sua anima grunge/alternative, specie nei brani più tirati, quali “Charity” e “Nameless, Faceless” o in una “I’m Not Your Mother, I’m Not Your Bitch” che la trasforma persino in una riot grrrl per un paio di minuti. Più concisa rispetto al passato nella stesura dei testi, la Barnett sembra intenzionata a voler allargare lievemente i propri orizzonti stilistici, azzeccando fra l’altro la ballata della vita, nella perfezione formale di “Need A Little Time”, strutturata alla maniera di “Scar Tissue”: strofa–ritornello–breve assolo di chitarra.
I sottili feedback che squarciano la parte finale della sorniona “Hopefulessness”, l’approccio sonico di “City Looks Pretty” e i languori roots di “Sunday Roats” sono altri ingredienti di un disco che non riesce a superare il livello dell’album d’esordio soltanto perché sul finale tenda un pochino ad appiattirsi. Ospiti importanti, ma non troppo visibili, le sorelle Kim e Kelly Deal (Breeders).
Tell Me How You Really Feel si piazza bene nelle classifiche, raggiungendo la seconda posizione in Australia, la nona in Inghilterra e la ventiduesima nell’americana Billboard 200. Il disco fa incetta di nomination agli ARIA Awards, ben nove, aggiudicandosi due premi nelle categorie “Best Rock Album” ed “Engineer Of The Year”, per il lavoro svolto in studio da Burke Reid.

Nel 2019 Courtney appare come headliner in molti cartelloni dei più importanti e influenti festival, sia in Europa che dall’altro lato dall’Atlantico, dal "nostro" Beaches Brew al Primavera Sound di Barcellona, fino al famigerato Woodstock 50, cancellato poche settimane prima del previsto svolgimento.
Fra un palco e l’altro, Courtney non smette di diffondere nuova musica: ecco quindi i singoli “Small Talk”, inedito inserito nella compilation "10 Years Of Mom + Pop" (ottobre 2018) ed “Everybody Here Hates You”, rilasciato ad aprile 2019 in occasione del Record Store Day, con “Small Talk” come B-side.

A ottobre 2019 diffonde in streaming la cover dei Loose Tooth "Keep On", inclusa nella compilation Milk On Milk edita dalla Milk! Records e disponibile dal 15 novembre successivo. Nella compilation sono presenti nove tracce nelle quali gli artisti si coverizzano a vicenda. Evelyn Ida Morris si occupa di rielaborare "Nameless, Faceless".
Nel numero di novembre del magazine specializzato inglese Uncut viene allegata una compilation tributo ai Wilco, Wilco Vered, alla quale partecipano molti artisti importanti. Courtney Barnett contribuisce con una propria versione di "Dawned On Me".

L'anno si chiude con la diffusone di un MTV Unplugged, registrato a Melbourne il 22 ottobre. Otto tracce proposte in acustico, seconda la tradizione del format, che anticipano un tour che Courtney sta progettando per il 2020, che la vedrà esibirsi in solitudine, soltanto voce, chitarra e poco altro. Disponibile in streaming dal 6 dicembre, la versione fisica viene distribuita a partire dal 21 febbraio 2020.
L’atmosfera è raccolta, con il suono degli archi che interviene a riempire tutti gli spazi lasciati liberi dall’assenza di elettricità. Nonostante le belle interpretazioni, parte della forza degli originali va parò inesorabilmente perduta, e sarà difficile preferire “Depreston”, “Avant Gardener” e "Sunday Roast" alle versioni già note. Diverso il caso dell’unico inedito, “Untitled (Play It On Again)", presentato per la prima volta direttamente in modalità acustica. "Nameless Faceless” viene eseguita col solo accompagnamento del pianoforte, suonato dall’amica Evelyn Ida Morris.
Accanto a Courtney ci sono i fidi Dave Mudie e Bones Sloane, mentre al violoncello si segnala la presenza di Lucy Waldron. A nobilitare lo show intervengono anche Paul Kelly nella country ballad “Charcoal Lane” (cover del cantautore australiano Archie Roach) e il crooner neozelandese Marlon Williams in “Not Only I” (cover del supergruppo aussie al femminile Seeker Lover Keeper). Ma il brano da ricordare è la riuscita cover di “So Long Marianne”, sentito omaggio all’indimenticabile Leonard Cohen.

Il 2020, contrassegnato dalla drammaticità della pandemia da Covid-19, blocca la prevista attività live della cantautrice, che in agosto diffonde "Just For You", cover di un brano del 2007 di Kev Carmody, contenuto in Cannot Buy My Soul, album tributo al cantautore australiano, pubblicato dalla EMI Australia il 21 agosto.
La Barnett appare lo stesso mese accanto a Phoebe Bridgers per una versione di "Everything Is Free", cover di Gillian Welch, eseguita durante l'edizione virtuale del Newport Folk Festival 2020. Courtney ha anche annunciato l'intenzione di realizzare la colonna sonora per il documentario di prossima realizzazione "Brazen Hussies", che ha l'obiettivo di raccontare l'Australia's Women's Liberation Movement degli anni 60 e 70.
Nel 2021 altre due cover, entrambe realizzate in collaborazione con Vagabon: in gennaio la propria rivisitazione di "Reason To Believe" di Tim Hardin, in aprile "Don't Do It" di Sharon Van Etten, inclusa nella riedizione di "Epic".

Courtney aveva trascorso i mesi appena precedenti all'esplosione dell'emergenza sanitaria fra frenetici tour intorno al globo, la preoccupazione per gli incendi che stavano devastando la sua Australia, un paio di dolorosi lutti e gli strascichi per la fine della relazione con la cantautrice Jen Cloher, giunta al capolinea nel 2018. In questa cornice, tutt’altro che confortante, nascono le dieci tracce che compongono il suo terzo album, Things Take Time, Take Time, pubblicato il 12 novembre del 2021, non a caso il disco più intimo e introspettivo della sua carriera. Non esattamente un lavoro spoglio, ma di sicuro meno arrangiato ed elettrico dei precedenti. Interamente suonato e prodotto in coppia con Stella Mozgawa, la batterista delle Warpaint, Things Take Time, Take Time conferma l'atteggiamento slacker vagamente annoiato di Courtney, amplificato dal ritrovarsi costretta a osservare per giorni il mondo dalla finestra, situazione che comunque non intacca la logorroica ironia che da sempre contraddistingue i suoi testi.
Con un’andatura ciondolante da tardo pomeriggio assolato, la Barnett ripone in un angolo ruvidità grunge e perfezionismi da studio di registrazione per puntare dritta verso l’essenzialità. Il problema è che stavolta la qualità delle canzoni non si posiziona al medesimo livello degli altri capitoli della sua discografia. Fra i momenti che spiccano, vanno segnalate le belle rotondità del primo singolo “Rae Street” e la brillante “Write A List Of Things To Look Forward To”, e ancor più la closing section di “Turning Green”, nella quale finalmente si diletta in un’intrigante escursione chitarristica, senza mai esagerare. Volato al quinto posto delle chart australiane, l’album non è però riuscito ad agganciare la fascia alta delle classifiche in Inghilterra e Stati Uniti: forse non era esattamente il disco che oggi il mondo si aspettava da lei.

Successivamente alla pubblicazione di ”Things Take Time, Take Time”, il regista Danny Coen segue in tour Courtney Barnett con l’obiettivo di documentare la vita on the road della cantautrice australiana, un reportage che possa ritrarla in maniera intima, senza celare nulla, nemmeno i momenti più difficili, un diario in grado di raccogliere immagini di vita e considerazioni della protagonista. Il risultato finale è il film “Anonymous Club”, che trova degna appendice in End Of The Day, sorta di colonna sonora pubblicata a settembre del 2023.
Contemplative e minimali, le diciassette brevi composizioni strrumentali, realizzate in stretta collaborazione con Stella Mozgawa, puntano tutto su chitarre lievi e morbidissimi tappeti di synth, dispensando serenità e chiedendo di provare a vivere almeno mezzora con lentezza, senza lo stress che intasa le nostre frenetiche quotidianità.

End Of The Day rappresenta una delle ultime uscite della Milk! Records, etichetta con base a Melbourne fondata dalla Barnett stessa nel 2012 con lo scopo non soltanto di pubblicare la propria musica senza compromessi, in maniera indipendente (sin dal suo Ep d’esordio), ma di contribuire in maniera proattiva al lancio di nuovi artisti, molti dei quali provenienti dal Nuovissimo Continente. In undici anni la Milk! Records ha prodotto oltre settanta dischi, aggiudicandosi per due volte l’AIR Award come migliore indie label, nel 2015 e nel 2018.

Courtney Barnett

Discografia

I've Got A Friend Called Emily Ferris (Ep, Milk!, 2012)6,5
How To Carve A Carrot Into A Rose (Ep, Milk!, 2013)6,5
The Double Ep: A Sea Of Split Peas (ristampa dei primi due Ep, Milk!, 2014)6,5
Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit(Milk!, 2015)7,5
Live At Electric Lady Studios (Ep live, Mom + Pop, 2015)6,5
Lotta Sea Lice (with Kurt Vile, Milk!, 2017)5,5
Tell Me How You Really Feel (Milk!, 2018)7
MTV Unplugged Live In Melbourne (live, Milk!, 2020)6,5
Things Take Time, Take Time (Mom+Pop/Marathon Artists, 2021)6,5
End Of The Day (Milk!/Mom+Pop, 2023)5
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Scotty Says
(videoclip da I've Got A Friend Called Emily Ferris, 2012)
History Eraser
(videoclip da How To Carve A Carrot Into A Rose, 2013)
Avant Gardener
(videoclip da How To Carve A Carrot Into A Rose, 2013)
Pedestrian At Best
(videoclip da Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit, 2015)
Depreston
(videoclip da Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit, 2015)
Kim's Caravan
(videoclip da Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit, 2015)
Dead Fox
(videoclip da Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit, 2015)
Nobody Really Cares If You Don't Go To The Party
(videoclip da Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit, 2015)
Elevator Operator
(videoclip da Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit, 2015)
Over Everything (with Kurt Vile)
(videoclip da Lotta Sea Lice, 2017)
Continental Breakfast (with Kurt Vile)
(videoclip da Lotta Sea Lice, 2017)
Nameless Faceless
(videoclip da Tell Me How You Really Feel, 2018)
Need A Little Time
(videoclip da Tell Me How You Really Feel, 2018)
City Looks Pretty
(videoclip da Tell Me How You Really Feel, 2018)
Charity
(videoclip da Tell Me How You Really Feel, 2018)
Sunday Roast
(videoclip da Tell Me How You Really Feel, 2018)
Small Talk
(videoclip, 2018)
Everybody Here Hates You
(videoclip, 2019)
 
  
Live on KEXP (full performance)
(July 2014)
Live on KEXP (full performance)
(October 2018)
Pitchfork Music Festival 
(full set, 2018)
  

Courtney Barnett su OndaRock

Courtney Barnett sul web

Sito ufficiale
Facebook
Testi