Joni Mitchell

Joni Mitchell

Confessioni in Blue

Ispirata sempre da un romanticismo sofferto e lucido, Joni Mitchell rappresenta la quintessenza della scuola cantautorale al femminile. Le sue testimonianze sul dolore e sulla vana ricerca della felicità sono sublimate nel suo "Blue". E da allora è diventata la massima esponente del "folk confessionale"

di Francesco Serini

Difficile definire esattamente il genere cantautorale. Si tratta infatti di un genere che non ha caratteristiche formali precise. Non è tanto l'arrangiamento che deve risultare trainante bensì il testo. Lucida e originale capacità di analisi, nonché poetica propensione a tradurre in versi le proprie sensazioni sono invece le caratteristiche che qualunque cantautore deve possedere. I primi cantautori arrivano nei Sessanta ma tutti influenzati o messi in ombra dall'ingombrante personalità di Bob Dylan. Solo all'inizio dei Settanta questa scuola riesce a ramificarsi. Di sicuro, però, rispetto al folk cantautorale sociale e impegnato di Dylan, le tematiche diventano più intimiste e personali. Tra le donne emerge una ragazza canadese di Alberta (Canada), nata Roberta Joan Anderson. Ovvero Joni Mitchell, destinata a divenire una delle cantautrici più importanti e influenti della storia del rock.

Nonostante fin da bambina dimostrò grandi capacità tecniche nel suonare il pianoforte, l'ukelele e la chitarra, non è questo il motivo che la spinse a comporre le prime poesie. Come la Mitchell ha ricordato, fu solo il superamento della poliomelite, che la colpì violentemente a nove anni, a farle sviluppare una profonda sensibilità artistica. "Quel grande dolore mi rese migliore" disse una volta. A definire meglio questa propensione artistica, pensò un suo insegnante alla scuola media, Mr. Kratzman, che l'aiutò sia nella pittura che nella poesia. "Se puoi dipingere con un pennello, lo puoi fare anche con le parole", amava ripeterle. Ed è a lui che la Mitchell dedicò il suo album di debutto del 1958: To Mr Kratzman Who Taught Me To Love Words.

Dopo la scuola superiore si iscrisse solo per un anno all'Alberta College of Art di Calgary, ma capì subito che la sua passione per la pittura, la poesia e la musica era tale che doveva essere espressa liberamente. Cominciò allora ad esibirsi in giro per il Canada in vari club di musica dal vivo e nei piccoli festival musicali tra cui quello prestigioso di Mariposa. La sua residenza era diventata nel frattempo Toronto e suo marito il musicista Chuck Mitchell, del quale rimase incinta di una bambina. In gravi ristrettezze economiche, decisero però di dare la piccola in adozione dopo un anno dalla nascita. Anche il matrimonio tra i due durò un solo anno. La Mitchell allora si trasferì a New York dove incontrò Elliot Roberts, che diventerà il suo manager, ma anche l'ex-Byrds David Crosby, ai quali presentò i suoi brani. Li seguì in California, nuova frontiera della scena folksinger. Tra questi, c'era anche Judy Collins, che cominciò a incidere pezzi scritti dalla Mitchell come "Both Sides Now".

Quando nel 1968 Joni debuttò su album omonimo il suo nome non era sconosciuto. La già citata "Both Sides Now", più altri brani cantati da altri nel frattempo come "Circle Game" e "Urge for Going" vennero nel frattempo messi da parte per presentare nuovo materiale, venendo poi ripescati nei due lavori seguenti. In Joni Mitchell si segnalano "Night In The City" e "Marcie". Gli arrangiamenti orchestrali vengono abbandonati in favore del solo utilizzo della chitarra, che fa risaltare maggiormente i versi, sempre profondi e delicati. Ma a colpire è anche il canto, improntato a un contralto cristallino e raffinato.

La pubblicazione del secondo lavoro Clouds accrebbe la sua popolarità, tanto che "The Voice" Frank Sinatra interpretò immediatamente la sua "Both Sides Now" e venne invitata al Festival di Woodstock, che però disertò, su consiglio del suo manager Roberts. In cambio, però, incise la celeberrima "Woodstock" che venne poi inserita sia nella colonna sonora del film-documentario sia nel suo terzo lavoro del 1969 Ladies Of The Canyon. Immediati furono i responsi positivi di pubblico e di critica per questo concept album incentrato sul tema dell'inadeguatezza e dell'inquietudine esistenziale, trattato con una sensibilità tipicamente femminile. Versi autobiografici, ironici e malinconici segnano "Morning Morgantown" e "Conversation", mentre la tristezza, unita a una luce di speranza, pervade "Rainy Night House". Grazie a brani come questi, la Mitchell diventerà rappresentante di un "folk confessionale" caratterizzato da liriche intense e sincere e da una inedita e originale franchezza, indirizzando il moderno linguaggio della popular music verso nuovi orizzonti. Ladies Of The Canyon comunque rivelò la grande abilità compositiva della cantautrice canadese, oltre a un pugno di gradevoli e orecchiabili melodie, accompagnate ora anche al pianoforte. E anche la sua tecnica vocale - giocata sul contrasto tra i toni alti e quelli più profondi, resi rochi dal vizio del fumo che cominciò a nove anni subito dopo il periodo in ospedale per la poliomelite - era di grande presa emotiva sull'ascoltatore.

Ormai la Mitchell era diventata un star del folk, tanto che fu ingaggiata da Carole King per il suo "Tapestry" e da James Taylor per il suo "Mud Slide Slim And The Blue Horizon".

All'inizio dei Settanta, acquisita la consapevolezza della sua statura di compositrice, la Mitchell raggiunse il suo vertice artistico. Il primo dei suoi classici è Blue del 1971. Il tema conduttore è lo stesso di Ladies of The Canyon: il malessere che serpeggia nella vita quotidiana, ma con toni meno pittoreschi, solari e ironici. In compenso, si accentua l'analisi di vicende personali che la portano anche a dure ammissioni di colpa. Come in "River", dove ricorda la vicenda dell'adozione della figlia, o nell'amore che non c'è più di "Last Time I Saw Richard", diversamente dai ricordi personali poco significativi di "Ladies". Ma quello che colpisce è il suo atteggiamento romantico nella ricerca della felicità, che però è impossibile. Il risultato è la perenne malinconia, Blue appunto. Da "All I Want": " I am on a lonely road and I am travelling looking for something to set me free". Le sue vicende personali diventano un sentire universale e mai retorico. Il tutto filtrato da una sensibilità tipicamente femminile. Ecco perché in "This Flight Tonight", "A Case Of You" e nella title-track, Mitchell sembra affermare che l'infelicità non è solo frutto della condizione individuale, ma anche degli ostacoli frapposti dalle persone che si incontrano sul proprio cammino. Un cammino metaforicamente rappresentato come un viaggio. In Africa per il brano "Carey", e in California. Per l'analisi lucida del dolore, per quel folk-pop elegantissimo, parente stretto del rhythm'n'blues, e per la disarmante sincerità, la Mitchell di Blue ricorda molto Billie Holiday.

Il successivo For The Roses e il singolo di successo "You Turn Me On I'm a Radio" del 1972 dimostrarono ancora una limpida sensibilità artistica, e addirittura il New York Times all'epoca scrisse "Forse non ci può aiutare, ma di sicuro Joni Mitchell ci fa sentire meno soli". Oltre che come musicista, Joni continuava a esprimersi anche come pittrice. I suoi dipinti non erano altro che rappresentazioni in immagini di tutto ciò che cantava nei suoi dischi: completavano la chiave di lettura dei suoi lavori alla stessa stregua delle poesie per Patti Smith.

Nel 1973 viene pubblicato l'altro suo capolavoro Court And Spark nonché il suo album di più grande successo commerciale. L'impronta jazz del sound dimostrava già quella futura tendenza alla sperimentazione il cui apice sarà Mingus del 1979. Ascoltando le canzoni di questo album sembra che l'energia, che in Blue diventava un distillato di dolore causato da quei luoghi e quelle persone che recavano infelicità, si sia trasformata in desiderio e sforzo alla ricerca della felicità. Una sorta di sfida con se stessa."Help me" è sicuramente il brano più rappresentativo della disperazione e la determinazione con cui conduce questa ricerca. Ma l'album contiene anche altri due hit single: "Raised On Robbery" e "Free Man In Paris". Joni Mitchell si conferma la più "aristocratica" tra le cantautrici, non solo nell'atteggiamento (sempre impeccabile), ma anche nella ricerca musicale, volta a superare le barriere del folk per approdare nei territori del jazz d'avanguardia.

Nel 1975 in Hissing of Summer Lawns l'artista di Alberta si allontanò dal suo folk confessionale e dalle tematiche personali per un'analisi sociale dell'epoca. Molti critici storsero il naso, così come molti fan vennero spiazzati. Di sicuro, il sound jazz di "Court and Spark" già aveva fatto presagire quel bisogno di novità. E comunque i suoi lavori precedenti, seppur partendo da spunti autobiografici, diventavano esperienze universali. Ora avveniva il percorso inverso: partire dalla realtà sociale degli Stati Uniti, dalle questioni razziali a quelle politiche, per pervenire a personali opinioni. Molti critici biasimarono una certa "asetticità" del disco. Finalmente ad acquietarli pensò nel 1976 Hejira il cui titolo fa riferimento alla fuga dal pericolo del profeta Maometto. Il tema conduttore è quello del viaggio, sfruttato con interpretazioni simboliche. Più che dare risposte, invita a farsi domande. Ma Hejira resterà l'ultima vera "confessione" di Joni Mitchell. In compenso, però, le sperimentazioni musicali dei lavori seguenti dimostreranno nuovi e (in parte) nascosti pregi come musicista dell'artista di Alberta. A cominciare da Mingus del 1979 e dalla collaborazione appunto con Charles Mingus. E sempre dignitosissimi saranno anche i lavori degli anni Ottanta, dal più commerciale Dog Eat Dog al più folkeggiante Chalk Malk In A Rainstorm (con ospiti come Willie Nelson e Peter Gabriel).

Nei Novanta, con l'eccezione parziale di Turbolent Indigo del 1994, la sua vena poetica sembra ormai inaridita e anche nel suo recente Travelogue, nonostante i tentativi di evoluzione, i ricordi personali cantati non sono sempre efficaci.

Nel 2002, Joni Mitchell è tornata alla ribalta delle cronache musicali per una sua affermazione che ha fatto scalpore solo tra chi fa finta di ignorare ancora le regole dell'industria discografica: "Mi vergogno di far parte del music business, è una fogna - ha dichiarato alla rivista americana Rolling Stone -. Ed è per questo che ho deciso di ritirarmi".

Cinque anni dopo, dev'essere costato parecchio, a un'artista che ha fatto della coerenza una delle sue virtù, ingranare la retromarcia, facendo per di più pubblicare da un marchio della catena Starbucks (la Hear Music) il suo nuovo album. O forse, a voler essere sottili, si potrebbe notare persino una vena sarcastica nella scelta, come a dire che tra caffè macchiati e dischi, ormai, per l'industria non fa differenza.
Ecco allora, Shine, il disco numero 17 della signora in Blue, che giunge a quasi dieci anni dall'ultimo "Taming The Tiger" (1998) e nasce anche come spettacolo e balletto teatrale, illustrato con foto della stessa Mitchell. Dieci brani che tuttavia, come si poteva temere, non aggiungono granché al repertorio della Nostra, salvo confermare la classe di una cantautrice capace di flirtare col jazz ("Bad Dreams"), di imbastire delicati bozzetti acustici ("Strong And Wrong") o di declamare versi di Rudyard Kipling ("If") con consumata nonchalance. Troppo spesso, però, lo sbadiglio è in agguato e l'autoindulgenza traspare.
Ma, in fondo, rivedere la Lady Of The Canyon a 64 anni in buona forma è già una bella notizia.

Contributi di Claudio Fabretti

Joni Mitchell

Discografia

Songs To A Seagull (Reprise, 1968)

Clouds (Reprise, 1969)

Ladies Of The Canyon (Reprise, 1970)

Blue (Reprise, 1971)

For The Roses (Asylum, 1972)

Court And Spark (Asylum, 1974)

Miles Of Aisles (Asylum, 1974)

The Hissing Of Summer Lawns (Asylum, 1975)

Hejira (Asylum, 1976)

Don Juan's Reckless Daughter (Asylum, 1977)

Mingus (Asylum, 1979)

Shadows And Light (Asylum, 1980)

Wild Things Run Fast (Geffen, 1982)

Dog Eat Dog (Geffen, 1985)

Chalk Mark In A Rain Storm (Geffen, 1988)

Night Ride Home (Geffen, 1991)

Turbulent Indigo (Reprise, 1994)

Taming The Tiger (Reprise, 1998)

Both Sides Now (Reprise, 2000)

Travelogue (antologia, Warner, 2002)
Shine (Hear, 2007)
Pietra miliare
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