Sheryl Crow

Sheryl Crow

Rock'n'roll al gusto seventies

Anima "tradizionalista" della scena femminile dei 90, Sheryl Crow ha spopolato grazie al suo album d'esordio e al singolo "Run Baby Run". Musica non originale, ma vibrante e immediata, con un tipico gusto "Seventies". Poi, sono arrivati i duetti con Dylan, ma anche diversi passaggi a vuoto

di Francesco Serini

Una vita normale, lontana anni luce dalle stravaganze delle rockstar: la scalata al successo di Sheryl Crow è quanto di più classico e tradizionale si possa pensare. E questo "tradizionalismo" si riscontra anche nel suo rock tutto energia e sudore, grazie al quale è stata considerata agli inizi come la versione al femminile di Bruce Springsteen.

Nata nel 1962 nel rurale Kennett, Missouri, Sheryl Crow ha respirato musica fin dall'infanzia. La madre era cantante nella big band cittadina, il padre avvocato ma musicista jazz. Le due sorelle erano entrambe cantanti: una country, l'altra jazz. Ovvio che anche Sheryl si sarebbe dedicata alla musica. Ma non quella che la famiglia le faceva ascoltare. Lei si appassionò al rock classico. Tra i suoi artisti preferiti c'erano i Led Zeppelin, i Rolling Stones e Bob Dylan. Cresciuta ogni giorno ascoltando "la musica ribelle" anche lei cominciò ad avvertire segni di insofferenza e inadeguatezza per "quel piccolo posto dimenticato da Dio" come più volte lo ha definito. E così, nel 1984, a 22 anni scappò di casa, destinazione Sant Louise, la capitale del Missouri. Cantando qua e là aveva messo da parte 10 mila dollari così che nel 1986, con questa cifra e con tanti sogni, si spostò a Los Angeles.

Due anni di fame e poi quello che nel bene e nel male le cambierà la vita: un provino passato a pieni voti come corista nel "Bad Tour" di Michael Jackson, grazie al quale scoprì il mondo discografico. Cominciò così un lungo periodo di gavetta frustrante. Tanti sacrifici che forse l'avrebbero lasciata dov'era, anonima e poco insoddisfatta. Ma accanto a Mr. Jackson la Crow conobbe anche tanti illustri artisti: Don Henley degli Eagles, Joe Cocker, Rod Stewart e il suo mito Bob Dylan. Così andò avanti e tenne duro. Addirittura Dylan la invitò al concerto-festa per celebrare il suo compleanno nel 1993, al Madison Square Garden, ancora prima che uscisse il suo album di debutto. E quando poi questo uscì, chiese a Sheryl di fargli da spalla nei concerti del tour del 1994. Dylan le disse: "Sono trenta anni che canto in giro, abbastanza da potermi rendere conto del talento altrui. Tu possiedi veramente qualcosa". E aveva ragione.

Nel suo album di debutto, uscito nel Novembre del 1993 intitolato Tuesday Night Music Club la signora Crow cantava semplicemente il rock. E lo cantava col cuore. Dimostrava di essere la perfetta incarnazione di un modo di fare musica che sfuggiva alle vecchie regole classiste, spaziando dal rock classico al pop, dal soul alla scuola cantautorale. Un lavoro privo di originalità ma ricco di un'umana varietà di emozioni, ricordi, sentimenti, atmosfere, vibrazioni. Un rock vecchio stampo destinato ad essere consumato non in breve tempo.

E infatti inizialmente il successo fu minimo.

Solo a metà del 1994 grazie alla struggente ballata autobiografica "Run Baby Run" e al delizioso county-pop di "All I Wanna Do" le vendite s'impennarono arrivando complessivamente nel 1995 a quasi 10 milioni. E sempre quell'anno l'album vinse tre Grammies, tra cui il più importante come miglior album dell'anno. Un rock vecchio stampo di cui Sheryl incarna ancora oggi pregi e difetti. Se il debutto, con i suoi toccanti riferimenti a Beatles, Stones, Janis Joplin, Dylan, Carole King, Joni Mitchell e Patti Smith, segna un "classico" nella scena delle cantautrici anni Novanta, con i successivi questa essenzialità senza fronzoli, cantabile, diretta e immediata non sempre è stata raggiunta pienamente.

Per il secondo lavoro omonimo, la Crow si ispirò a un artista country anni Sessanta, Bobbie Gentry, famoso per un unico successo "Ode A Billy Joe". La Sheryl Crow del 1996 rappresentò un ponte di suoni con il country anni Sessanta e quindi più generalmente con un rock tutto acustico, ma anche la conseguenza di un'ansia compositiva sopraggiunta dopo il successo planetario del debutto. Più o meno quello che è capitato più recentemente a Lauryn Hill. Insomma, la necessità di scrivere altri pezzi mega-hit condizionò in qualche modo il prosieguo della sua carriera. Con "Love Is A Good Thing", tuttavia, Crow affrontava anche aspetti sociali come il tema dei baby-killer (per questo brano all'epoca molti negozi di dischi americani si rifiutarono di mettere in vetrina l'intero album). L'album - sostanzialmente lineare ma privo di grandi spinte creative - vendette comunque molto bene e il primo singolo "If It Makes You Happy" fu un mega-hit in quell'anno.

Assurta in poco tempo al ruolo di nuova star del rock, anche per la sua solare e incantevole bellezza (a cui non rimase insensibile Eric Clapton del quale Sheryl fu per un periodo compagna), insieme ad Alanis Morissette divenne portabandiera del rock femminile durante i Novanta.

Nel 1997 realizzò "Tomorrow Never Dies", un brano per la colonna sonora dell'ennesimo omonimo capitolo di 007, e nel 1998 pubblicò il suo terzo album The Globe Session nel quale fece tesoro di tutte le sue esperienze precedenti arricchendo le tessiture delle canzoni di nuovi elementi e senza mai lasciarsi sfuggire il senso della melodia e il gusto del racconto. Insieme al debutto, è l'opera meglio riuscita della Crow. Il disco rivela influenze disparate, che vanno dagli Stones a Lynyrd Skynyrd, da Morricone ai Black Crowes fino addirittura ai Guns'n'Roses (con la cover di "Sweet Child Of Mine"). Tutto però è amalgamato in canzoni sorrette da una costruzione "sentimentale" tipicamente femminile, così come le storie, raccontate con un linguaggio semplice ma ricco. Il suo pigmalione Dylan dà il suo contributo per il classico blues di "Mississippi", scritto scrisse appositamente per lei. E Crow evidentemente lo ringrazierà ricantando dal vivo "Tombstone Blues" inserita poi nel Live From Central Park del 1999.

Nel 2002 la cantautrice del Missouri è tornata con un nuovo lavoro dal titolo esortativo C'mon C'mon, che nonostante l'equivoco del primo singolo "Suck Up The Sun", delizioso ma troppo leggero, nasconde momenti molto più interessanti. Il lavoro è impreziosito dalla ballata acustica di "Weather Channel", con il non accreditato intervento di Emmylou Harris, e dall'altro duetto con Henley per "It's So Easy". Ancora una volta, niente di nuovo e originale. Solo puro, energico e sano rock.

Tre anni dopo, in piena love-story con il ciclista Lance Armstrong, Sheryl Crow pubblica l'evanescente Wildflower. Se l'iniziale country-rock di "I Know Why" poteva infatti regalare qualche speranza, il susseguirsi delle altre tracce è una doccia fredda, da "Perfect Lie", affogata negli archi più stucchevoli, al pop-folk scipito di "Good Is Good", passando per la ballata intimista di "Chances Are", guastata dall'intrusione di sonorità latineggianti, e per la patinatissima "I Don't Wanna Know". Si tiene a galla, forse, solo la title track, forte di un bell'arrangiamento acustico e di una ficcante interpretazione della Crow.

Nonostante i 9 Grammy Award incamerati, la carriera di Sheryl Crow sembra ormai destinata a un rapido e precoce declino.

Sheryl Crow

Discografia

Tuesday Night Music Club (A&M, 1993)
Sheryl Crow (A&M, 1996)
The Globe Sessions (A&M, 1998)
Live From Central Park (A&M, 1999)
C'mon, C'mon (Interscope, 2002)
Wildflower (A&M, 2005)
Pietra miliare
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