Jeff Buckley: una goccia pura in un oceano di rumore

Autori: Jeff Apter
Titolo: Jeff Buckley: una goccia pura in un oceano di rumore
Editore: Arcana
Pagine: 298
Prezzo: 18,50 euro

Jeff Buckley: una goccia pura in un oceano di rumoreScrivere la biografia di un musicista che in vita ha avuto appena il tempo di completare una manciata di brani non dev'essere stata opera facile per Jeff Apter.
Il punto è quelle canzoni sono tutte degli immensi capolavori.
Il punto è che le cover che ha eseguito hanno spesso disintegrato i pur pregevoli originali, diventando a loro volta le versioni definitive dei pezzi reinterpretati.
Il punto è che il ragazzo aveva una voce da sogno, e come se non bastasse aveva un'eccellente tecnica chitarristica.
Il punto è che quell'artista si chiamava Jeff Buckley.

Le prime cento pagine di "Una goccia pura in un oceano di rumore" ("A Pure Drop" nella versione originale) concedono ampio spazio agli aspetti più significativi della vita dei genitori del protagonista: Tim Buckley, acclamato cantautore folk-rock sperimentale scomparso nel 1975 a soli 28 anni, e Mary Guibert, donna dal percorso sentimentale ricco di colpi di scena, in grado di trasformarsi in abile gestore del lascito artistico del figlio.
Apter ricostruisce le poche volte nelle quali Jeff ebbe la possibilità di incontrare il famoso genitore e rendiconta abbondantemente l'apparizione del giovane talento in occasione di una serata realizzata nell'aprile del 1991 a New York in onore del padre, nella quale per la prima volta mise in pubblica evidenza le proprie straordinarie capacità vocali.

 

Jeff Apter, penna apparsa su molte testate specializzate, per anni editor di Rolling Stone, già biografo di successo per Cure, Red Hot Chili Peppers e Dave Grohl, nell'arco di due anni ha incontrato, personalmente o via mail, decine e decine di persone che per un motivo o per un altro entrarono nella vita di Jeff Buckley.
Attraverso le loro indispensabili testimonianze ha ricostruito con dovizia di particolari un fedele ritratto dell'artista e dell'uomo, dei suoi desideri, delle sue speranze, delle sue paure, dei suoi numerosi amori.
L'analisi psicologica e personale viene delineata in maniera impeccabile, evidenziando una vita consumata in fretta, con la costante terribile premonizione di avere troppo poco tempo a disposizione.

Il libro si dimostra utile guida per scoprire i fatti salienti della formazione musicale di Buckley: le prime band giovanili, i Group Therapy, gli affitti pagati alla fine degli anni '80 grazie alle royalties del padre, le Babylon Dungeon Sessions (tuttora inedite), le incisioni con Gary Lucas (pubblicate postume su "Songs To No One"), l'esperienza con i Gods And Monsters, il corteggiamento di varie label prima della firma per il colosso Columbia, i cinque nastri registrati con il produttore Steve Addabbo mai pubblicati, nonostante le periodiche pressioni di quest'ultimo per renderle di dominio pubblico.
Così dopo le prime cento pagine si entra in un vortice di avvenimenti che condurranno la giovane promessa dal palco di un minuscolo locale dell'East Village newyorkese (il Sin-é che diede il nome al suo primo Ep dal vivo, locale nel quale Jeff fu inizialmente assunto come lavapiatti) all'immensa platea interplanetaria, grazie a quel capolavoro irraggiungibile che prese il titolo di "Grace", pietra angolare del songwriting anni 90, confezionato dal produttore Andy Wallace, noto fino allora per il lavoro svolto con l'hit "Walk This Way" e per aver provveduto al missaggio di "Nevermind", il bestseller dei Nirvana.
La naturale riluttanza nell'accettare le regole dello show-biz, e l'esasperante lentezza nel portare a compimento la scrittura di nuove canzoni lo condusse alla lunga e contorta gestazione del successore di "Grace", pubblicato purtroppo soltanto postumo, con il titolo di "Sketches For My Sweetheart The Drunk" e contenente versioni che probabilmente Jeff non avrebbe voluto mandare in stampa.

Nel volume non mancano interessantissimi aneddoti, come le procedure adottate per il reclutamento dei musicisti, non sempre basate sulla valutazione delle capacità tecniche dei prescelti, le improbabili spiegazioni delle proprie canzoni, che Buckley disseminava durante concerti ed interviste, la continua ricerca di spazi per isolarsi, e formidabile in tal senso fu il Phantom Tour progettato a fine 1996 con otto date disseminate in piccolissimi locali degli Stati Uniti nelle quali il giovane cantautore si esibì in completa solitudine, in incognito, utilizzando uno pseudonimo diverso per ogni singola serata.
E ancora il racconto di un'evitabile gaffe con Bob Dylan, con tanto di successiva lettera di scuse, la serata a teatro con Courtney Love, con conseguenti fotografie pubblicate sui principali giornali di gossip, il meraviglioso amore adulto con Joan Wasser (alias Joan As Police Woman), quello più fugace con Liz Fraser dei Cocteau Twins.

Grazie al lavoro quasi artigianale di Apter, possiamo seguire col fiato sospeso il tour senza fine che accompagnò "Grace", la dipendenza di Jeff dall'alcol, e successivamente da alcune droghe, la fatica accumulata per i continui spostamenti da una città all'altra, da un continente all'altro, le prime incomprensioni all'interno della band, la quale arrivò persino sul punto di sciogliersi.
Poi il trionfale tour australiano, le tribolate session per confezionare un buon secondo album sotto la supervisione di Tom Verlaine, le esperienze come giornalista, un barlume di ripresa personale e artistica, nuove canzoni che spuntano all'improvviso da imprevisti lampi di creatività, poi la fatale decisione di trasferirsi a Memphis per cercare una dimensione più umana e ritrovare sé stesso, quella Memphis che non lo restituì mai più al mondo, complice uno sciagurato tuffo nelle acque del Mississippi.

 

Jeff morì così: per annegamento, a soli trent'anni, ventidue dopo la scomparsa del padre.
È chiaro dai brani prodotti da Verlaine (i quali Jeff avrebbe voluto rimaneggiare, ma che suonano ancora oggi magnificamente) che Buckley stesse cercando un sound più aggressivo e meno angelico, più grezzo e mano celestiale rispetto agli esordi, ma non sapremo mai come avrebbe potuto evolvere la carriera di questo incredibile sperimentatore, in grado con la propria voce di raggiungere note delle quali non conosceva nemmeno l'esistenza, un talento in grado di spingersi lontanissimo, anche se costantemente indeciso sulla propria direzione artistica.
"Sketches For My Sweetheart The Drunk" alla fine dei conti fu un altro (doppio) gioiello, che diede il la ad un'infinita serie di pubblicazioni postume, fra i quali live e deluxe edition, che presto si resero assolutamente inutili nel realizzare l'intento di completare la figura artistica del proprio autore.
Di sicuro Jeff Buckley fu sempre riluttante nei confronti del successo di massa preconfezionato, e la dimostrazione più evidente risiede nella controversa e contestata (da parte dei vertici della Columbia) decisione di non pubblicare mai l'unico vero potenziale hit che avesse mai scritto, una meraviglia intitolata "Forget Her".
Andatela a cercare e lasciate che una lacrima solchi il vostro viso.