Holly George-Warren

Alex Chilton. Un uomo chiamato distruzione

Autore: Holly George-Warren
Titolo: Alex Chilton. Un uomo chiamato distruzione
Editore: Jimenez
Pagine: 449
Prezzo: Euro 22

71lngblllxl"Alex Chilton ha toccato tre generazioni di fan con la sua variegata eredità musicale. Aveva inaugurato la sua vita con la musica nel 1967 nei panni di un teen idol dalla marcata espressione soul, prima di evolvere in un brillante songwriter e poi in un provocatore punk negli anni Settanta. Dopo un periodo vissuto ai margini – tassista, lavapiatti, taglialegna – è diventato il padre putativo della musica roots e dell’indie rock, dalla metà degli anni Ottanta fino alla morte”.
In queste parole, che compaiono nel prologo di questa accorata e puntuale biografia (completata da un bell'apparato fotografico), è praticamente condensata tutta la vita di Alex Chilton, personaggio di culto della scena rock che visse sempre sul filo del rasoio. L’"uomo chiamato distruzione" è, infatti, tutt’altro che un sottotitolo ad effetto, buono per attirare l’attenzione dei lettori, soprattutto di quelli che, anche se le stagioni passano, sbavano ancora come dei bambini dietro la stucchevole triade “sesso, droga & rock’n’roll”. È piuttosto, quel sottotitolo, la sintesi più efficace per dire di una vita in cui la musica ebbe sempre il compito di mitigare la presenza opprimente di un’ombra oscura, un’ombra che seguì l’artista di Memphis per tutta la vita, fornendogli – buon per noi! - anche l’ispirazione per il capolavoro “Third/Sister Lovers” (uno dei dischi più depressi e commoventi di sempre), prima di diventare ancora più opprimente dopo la tragica morte, nel 1978, dell’amico-nemico Chris Bell, con il quale aveva costituito la coppia di autori dei Big Star, formazione a dir poco essenziale per la definizione di quello che ancora oggi continuiamo a chiamare “power-pop”.

Holly George-Warren (che di Chilton fu amica fin dai primi anni Ottanta) ci porta per mano dentro la vita, la musica, le soddisfazioni (poche) e le sofferenze (tante) di un musicista che, quando aveva appena sedici anni (era il 1967), percorse il viale del successo con i Box Tops (complice il botto clamoroso del singolo “The Letter”), uscendone però con l’animo derelitto, sia perché quel mondo, a conti fatti, non rappresentava proprio la sua comfort zone, sia perché qualcosa dentro di lui si stava già disfacendo, tanto che l’alcol iniziò a scorrere a fiumi, gli stravizi con le droghe non si fecero attendere e il suicidio divenne, in almeno un paio di occasioni, una soluzione non disprezzabile...
E fu così che iniziò a splendere la “Grande Stella”, ma senza esagerare, perché Alex Chilton non era destinato al clamore del music business, ma solo alla ristretta platea di quelli che, anche quando i suoi dischi solisti mostrarono un artista ormai a corrente alternata, continuarono ad amarlo senza ripensamenti, lui che nel frattempo sembrava aver ritrovato la retta via, guidato dalle idee dello psichiatra e psicanalista Wilhelm Reich e dalla volontà di darci un taglio con l'autodistruzione.

Ci furono, comunque, ancora alti e bassi (e in mezzo la produzione del primo album dei Cramps e la militanza nei Panther Burns di Tav Falco), prima che il suo nome cominciasse a passare di bocca in bocca negli ambienti della musica alternativa, gettando i semi per la riscoperta dei Big Star.
Gli ultimi anni della sua vita, Alex li visse con una certa tranquillità. Era sopravvissuto all’uragano Katrina (che nel 2005 devastò New Orleans, la città in cui da tempo si era trasferito), si era risposato e aveva rifondato i Big Star. Ma nulla poté quando, nel marzo 2010, la morte venne a bussare alla sua porta.