City Pop Juke-Box

Trenta canzoni per la golden age nipponica

City pop VS vaporwave

Il city pop è un macrogenere della musica giapponese sviluppatosi nella seconda metà degli anni Settanta e toccante l'apogeo nel decennio successivo. Negli ultimi anni è stato oggetto di relativo interesse da parte degli ascoltatori occidentali dediti al fenomeno vaporwave, che dal city pop ha pescato campionamenti e citazioni a valanga.
Fa a ogni modo riflettere come schiere di persone si scoprano amanti del pop giapponese anni Ottanta solo a patto che un loro eroe virtuale ne modifichi lievemente l'arrangiamento (quanto basta per poterlo riconoscere come remix vaporwave).
Se ciò portasse a un'esplorazione effettiva del genere, i rimodellamenti vaporwave non sarebbero certo un problema. Purtroppo la maggioranza si bea delle nuove versioni e si ferma lì, spesso ignorando gli artisti originari. Quando i più temerari si prefiggono di approfondire, arrivano solitamente alla versione originale di quella specifica canzone, più raramente al disco da cui è tratta, ma è difficile che si spingano oltre.

Le distorsioni che ne derivano sono enormi, con intere frange di ascoltatori occidentali convinti che un disco secondario dell'Artista X sia il suo lavoro più importante, ignorando del tutto il resto del suo operato. Per capire la situazione, provate a immaginare se all'estero ci fossero frotte di persone che considerassero all'unanimità "Orizzonti perduti" il disco centrale dell'opera di Battiato, senza avere la più pallida idea dell'esistenza de "L'era del cinghiale bianco" o "La voce del padrone".
Ci sono poi artisti noti agli addetti ai lavori o poco più trasformati improvvisamente in eroi nazionali da qualche dj disinformato, o ancora artisti storici del genere che però, non essendo ancora stati campionati, vengono completamente ignorati (Akira Terao ne è un esempio lampante).
Gli ascoltatori occidentali non si curano insomma delle dinamiche originarie riguardanti la scena e ne snobbano senza colpo ferire l'intero inquadramento storico, come del resto accade sovente in questi casi. Ma se è vero che l'arte è il risultato del proprio contesto, trattare così il materiale in questione significa di fatto screditare la sua natura e il suo significato.

Per questo motivo, nella guida sottostante si è cercato di vedere la cosa da un punto di vista che tenesse conto dell'impatto culturale che questi artisti hanno avuto in Giappone. Quello che si spera la lettura dell'articolo possa restituire è la consapevolezza che fra un artista che ha attraversato il genere nell'arco della sua intera esistenza, esportandolo al grande pubblico tramite creazioni costantemente rilevanti, e uno sconosciuto che ha fatto un buon disco per poi scomparire senza lasciare traccia, per forza di cose il primo dovrà essere ritenuto più importante. Il che non significa che poi non si possa preferire il secondo: a ognuno le proprie conclusioni, ma è sempre bene che le conclusioni poggino su un resoconto dei fatti quanto più verosimile.

Contenuto e istruzioni

taeko_ohnukiDare una definizione esatta di city pop è pressoché impossibile. Già solo stabilirne la nascita è un pasticcio. Ci sono libri sull'argomento che vanno indietro fino agli Happy End di Eiichi Ohtaki e Haruomi Hosono, altri che vi includono qualsiasi cosa di vagamente soft rock indipendentemente dalla data, altri che lo considerano un semplice sinonimo di pop giapponese anni Ottanta. Perché alla fine più che uno stile musicale preciso, il city pop indica un mood. Musica dal sound urbano per persone abituate alla vita della metropoli. Musica che di fatto ha simboleggiato il periodo di massimo sviluppo economico del Giappone, un attimo prima del tragico risveglio, con la crisi del 1991. Tuttavia da questi assunti di base, piuttosto vaghi, si è arrivati tramite continui accumuli di significato a poter stabilire qualche coordinata. Per quanto importanti, difficilmente gli Happy End possono essere considerati gli iniziatori del city pop, dato che erano sostanzialmente una band folk rock, dalle coordinate musicali pertanto piuttosto distanti.
Molto più verosimile che tutto parta dal 1975, con il debutto dei Sugar Babe, progetto di Tatsuro Yamashita e Taeko Ohnuki. Non che quel disco creasse il nuovo genere di botto, ma di fatto segnò il debutto di due suoi pesi massimi, capaci quasi da soli di definirne i crismi (dovendo indicarne un terzo, sarebbe Eiichi Ohtaki, non a caso produttore dell'album). Pertanto, se proprio si deve indicare un big bang, appare piuttosto credibile.

Il city pop mescola un vasto numero di ingredienti, dall'Aor al pop weastcoastiano, dal funk alla fusion, subendo l'influenza della musica disco negli anni Settanta e di quella post-disco negli Ottanta. Si rivela tuttavia necessario un certo equilibrio affinché si possa parlare di city pop.
La componente disco è per esempio causa di dibattito, dal momento che il city pop non ne fu affatto un sinonimo. Un consiglio per potersi districare è di considerare un album, o una canzone, come city pop solo qualora l'ingerenza della disco music non schiacci le altre componenti. In caso contrario, sarebbe un errore indicare il brano come city pop, dato che la disco music giapponese ha avuto una folta schiera di esponenti e nessuno di loro è considerato parte del filone.
Un discorso simile vale per la componente Aor, motivo per cui non troveranno spazio nell'articolo band storiche quali Anzen-Chitai e Alfee.
Come intuibile, si tratta di musica fortemente collegata a quella americana, il cui miscuglio è tuttavia originale e inconfondibilmente nipponico, soprattutto per quanto riguarda le parti vocali. Il tasso tecnico è estremamente elevato e i musicisti coinvolti sono degni dei migliori turnisti anglofoni del periodo.

La lista sottostante presenta trenta canzoni, la cui classificazione è un semplice gioco per stimolare la lettura e non è da intendersi come ferrea. Alcuni artisti sono in lista più per il singolo brano eccellente che per la carriera nel complesso, altri sono fondamentali in ottica generale, ma non per il city pop (Motoharu Sano è un gigante della musica giapponese, ma ha toccato la corrente solo di striscio ed è quindi stato messo in una posizione un po' defilata).
I nomi più importanti del contesto sono Tatsuro Yamashita, Eiichi Ohtaki (ossia i due signori nell'immagine che sovrasta il titolo dell'articolo) e Toshiki Kadomatsu. Di questi più materiale si rimedia e meglio è. Altri momenti di eccellenza sono rappresentati dal debutto omonimo di Char, dai live di Masayoshi Takanaka, da "Reflections" di Akira Terao, dai singoli degli Omega Tribe (documentati in numerose raccolte nel corso degli anni).

Si precisa infine che in alcuni casi l'appartenenza o meno al filone è semplice frutto di convenzione. Yumi Matsutoya, probabilmente la più importante cantante generata dal Giappone, vanta per esempio un numero cospicuo di brani che sarebbero inquadrabili come city pop, e secondo alcuni è da considerare fra gli iniziatori dell'estetica in questione. Tuttavia la sua inclusione è piuttosto dibattuta e controversa, forse anche per la lunghezza della sua carriera, la vastità delle sue collaborazioni e la trasversalità del suo target. Per questi motivi, non è stata inserita nella selezione.


30. 井上鑑 (Akira Inoue): 「さまよえるオランダ人のように」 ("Samayoeru Holland-jin no you ni"), 1983
La forte componente new wave della canzone pone qualche dubbio sulla legittimità della sua presenza in lista. Sull'intestatario non ce ne sono invece, anche se lo si apprezza di più come eminenza grigia alle spalle di giganti del city pop quali Junichi Inagaki e Akira Terao, o di rock band come gli Alfee. In proprio non ha in effetti mai realizzato dischi troppo rilevanti, forse anche a causa della stortura delle canzoni e delle carenze come interprete. Almeno in questo brano, posto in apertura dell'album "Splash", il marchingegno risulta tuttavia perfetto. L'andamento a singhiozzo ben si sposa alle chitarre eteree, mentre il basso fretless aggiunge tinte jazz fusion alla melodia.

29. 松下誠 (Makoto Matsushita): "First Light", 1981
Uno dei musicisti simbolo del city pop, o almeno così crede chi ascolta vaporwave e suole saccheggiarne i groove. In realtà si tratta di un personaggio marginale, sconosciuto al grande pubblico giapponese e la cui reputazione è legata principalmente alla stima di qualche collega di prestigio, come Toshiki Kadomatsu. Il suo album di debutto, "First Light", è a ogni modo una bomboniera di arte calligrafica. Stretto parente del soft rock che imperversava nelle radio americane, a seconda del brano ricorda Alan Parsons Project, Supertramp, Toto, Hall & Oates, Christopher Cross, Doobie Brothers, Steely Dan e chi più ne ha più ne metta. La title track, frullato delle varie istanze, ne è il pezzo più rappresentativo.

28. 大瀧詠一 (Eiichi Ohtaki): 「恋のナックルボール」 ("Koi no Knuckle Ball"), 1984
Cofondatore della seminale band folk rock Happy End, è però come solista che Eiichi Ohtaki si è imposto fra gli artisti più amati nella storia del pop giapponese. Il suo culto è vivo ancora oggi, nonostante sia morto nel 2013 e il suo ultimo album, "Each Time", risalisse al 1984 (da lì in poi ha pubblicato solamente tre singoli). "Koi no Knuckle Ball", tratta da "Each Time", è un pop sbarazzino che mostra Ohtaki grande alchimista, capace di mescolare il senso del gioco di un produttore come Joe Meek e la propensione barocca di Brian Wilson, il tutto secondo la pulizia sonora degli anni Ottanta.

27. 南佳孝 (Yoshitaka Minami): "Monroe Walk", 1979
I dividendi più importanti li ha probabilmente ottenuti dalla sua attività di autore per idol del calibro di Seiko Matsuda e Hiroko Yakushimaru, ma il pubblico lo ricorda soprattutto per il paio di hit che ha avuto a suo nome: "Monroe Walk" (1979) e "Slow na Boogie ni shite kure" (1981). La prima, in particolare, è un gioello del pop giapponese d'epoca, benché il suo inserimento in questa lista potrebbe apparire fuori luogo a causa della soverchiante componente disco music. Sono tuttavia evidenti anche i punti di contatto: il groove funky lo avvicina di netto a Tatsuro Yamashita, mentre il sapore esotico-latino lo rende una sorta di antipasto di "Reflections", storico album di Akira Terao. Arrangia Ryuichi Sakamoto.

miki_matsubara26. 松原みき (Miki Matsubara): 「真夜中のドア〜Stay With Me」 ("Mayonaka no Door - Stay With Me"), 1979
Morta di cancro nel 2004, prima di compiere quarantacinque anni, Matsubara viene ricordata principalmente per il suo primo album, "Pocket Park" (numero 13 in classifica), e per aver composto le sigle di alcuni anime storici (su tutti, "Cortili del cuore"). La scelta è caduta sul suo primo singolo, che spiega in maniera eccellente il 1979 del city pop, con un piede all'ombra del funk ovattato di marca Settanta e uno verso il futuro scintillante e tecnologico del decennio che sarebbe seguito. Una menzione la meriterebbe anche "The Winner", capolavoro di rock fantascientifico in apertura di "Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory" (1991), anche se il city pop a quel punto era solo un ricordo.

25. 山下達郎 (Tatsuro Yamashita): 「風の回廊」 ("Kaze no kairo"), 1985
Il più grande genio del pop rock giapponese? Per rilevanza culturale, impatto sul pubblico, innovazione e costanza qualitativa, solo Yellow Magic Orchestra, Yosui Inoue e Yumi Matsutoya possono sedere al suo fianco. Amante della musica americana in ogni sua forma, dal funk al jazz, dal sunshine pop al soft rock, Yamashita è colui che ha incollato i pezzi e li ha resi corpo unico, nipponico fino al midollo. Produttore superbo, chitarrista raffinato, cantante dalla voce potentissima e grande perfezionista, è ben rappresentato da "Kaze no kairo", unione anacronistica fra i Beach Boys e il synth-funk, nonché singolo di lancio del suo ottavo album, "Pocket Music" (541mila copie vendute solo nel 1986).

24. Epo: 「エスケイプ」 ("Escape"), 1981
Eiko Miyagawa, nota ai più come Epo, è un nome di culto del pop giapponese. Patrocinata da due giganti quali Yamashita e sua moglie Mariya Takeuchi, vanta collaborazioni di prestigio e numerose apparizioni televisive, concentrate ovviamente negli anni Ottanta. La sua figura atipica e un po' intellettuale non ha però mai convinto fino in fondo il pubblico, che all'epoca pretendeva o professioniste alla Yumi Matsutoya o idol acqua e sapone. Se è vero che i suoi album danno spesso una sensazione di stramberia fine a se stessa, è anche vero che il sostenuto pop pianistico di "Escape" è pressoché perfetto.

23. 八神純子 (Junko Yagami): 「ワンダフル・シティ」 ("Wonderful City"), 1980
Molto popolare fra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, Junko Yagami non è forse la più rappresentativa artista della compagine city pop. Nel corso della sua carriera si è destreggiata in una moltitudine di stili, dalla disco music con influenze latine all'Aor, talvolta sfiorando il J-pop più corrivo e la relativa melassa. Un peccato veniale perdonabile, per quello che rimane di fatto un nome importante della musica giapponese. "Wonderful City", splendido funk d'atmosfera, è rintracciabile nell'album "Mr. Metropolis", che toccò il numero 2 nell'aprile del 1980. Anche se non venne scelto come singolo, rimane il suo pezzo che rispetta maggiormente i crismi del genere in esame.

22. 佐野元春 (Motoharu Sano): "Tonight", 1984
Una delle icone del rock giapponese e una delle figure che nell'immaginario collettivo locale tutti ricollegano agli anni Ottanta. Il suo eclettismo l'ha portato nel corso della carriera ad abbracciare i sound più disparati, in apparenza anche antitetici fra loro. Non solo i suoi brani hanno generato paragoni con David Bowie, Bruce Springsteen, Paul Weller e Waterboys, ma è anche colui che ha introdotto il rap in Giappone. In effetti nel city pop ci è passato un po' di striscio, motivo per cui in questa lista è rappresentato da una sola canzone. Tratta dall'album "Visitors", dritto al numero 1, "Tonight" sembra un glorioso miscuglio fra la sigla di un anime e un pezzo degli Style Council.

bread__butter21. Bread & Butter: "Summer Blue", 1979
I fratelli Iwasawa, meglio conosciuti come Bread & Butter dai pochi che li ricordano, hanno a loro tempo ricevuto il supporto di alcuni fra i più importanti musicisti del Giappone. "Late Late Summer" è il loro sesto album, probabilmente il migliore, con quella "Ano koro no mama" a firma Yumi Matsutoya, poi divenuta uno standard. Lo zenit è però farina del loro sacco e si intitola "Summer Blue", una ballad sincopata con suoni liquidi di piano elettrico, gentili assoli di synth, chitarre jazzate, basso funk e armonie vocali che disegnano atmosfere rilassate, da passeggiata all'imbrunire. Con l'ingresso negli anni Ottanta, il duo sarebbe purtroppo gradualmente affogato nel glucosio del J-pop più blando.

20. Sugar Babe: 「すてきなメロディー」 ("Suteki na Melody") 1975
Uscito nel 1975 a nome Sugar Babe, "Songs" è oggi considerato il punto di partenza del city pop, forse perché segnò il debutto sul mercato discografico di due pezzi da novanta del genere: il già citato Yamashita e la cantautrice Taeko Ohnuki. A differenza del collega, Ohnuki non avrebbe raggiunto il grande pubblico come solista, pur generando una carriera lunga e densa di collaborazioni importanti. Le undici canzoni del disco in questione sono firmate dai due protagonisti a turno, con l'unica eccezione del gioioso, brillante pop funk di "Suteki na Melody", scelto per non fare torto a nessuno. Passato all'epoca sotto silenzio, l'album ha raggiunto il numero 3 in occasione della ristampa del 1994.

19. 大貫妙子 (Taeko Ohnuki): "4:00 A.M.", 1978
Il titolo mette subito in tavola l'ossessione del city pop per le atmosfere notturne. Il sound non fa che confermare, fra progressioni funk, rimbrotti fiatistici, flauti svolazzanti, sintetizzatori lounge, goccioline di pianoforte, imponenti cori in stile disco music e uno splendido assolo di chitarra, per mano di Tsunehide Matsuki. Spicca l'interpretazione di Ohnuki, con quel fare distaccato oggi ritenuto un marchio di fabbrica dagli amanti del pop giapponese più ricercato, perfetta controparte a quello della collega e amica Akiko Yano, tutto svisate e stranezze. Il brano è tratto da "Mignonne", terzo album di Ohnuki come solista, e arrangiato da Ryuichi Sakamoto, con cui collabora ancora oggi.

18. 伊藤銀次 (Ginji Ito): 「こぬか雨」 ("Konuka ame"), 1977
Ginji Ito è un cantautore di nicchia, i cui dischi risultano oggi di non semplice reperibilità, nonostante abbia collaborato con pesi massimi della musica giapponese (da Ohtaki a Yamashita, passando per Motoharu Sano). Almeno "Deadly Drive", uscito nel '77 e passato al tempo inosservato, sembra a ogni modo aver conquistato col tempo un piccolo culto, probabilmente grazie alla presenza della ballata capolavoro "Konuka ame". Trasformata in standard da una lunga serie di cover (Epo, Rika Tanaka, lo stesso Yamashita), la malinconica melodia viene cullata in arrangiamenti di irreale beltà: Taeko Ohnuki pensa ai cori, Sakamoto a tastiere e orchestra, Ito al resto.

17. 稲垣潤一 (Junichi Inagaki): 「ドラマティック・レイン」 ("Dramatic Rain"), 1982
A partire dalla sua rivelazione nel 1982, fino ai primi anni Novanta, Junichi Inagaki è stato uno dei cantanti più rispettati del Giappone. Dal 1994 le vendite dei suoi dischi sono colate a picco, senza che le eccelse doti di interprete, peraltro sempre nel segno di eleganza e misura, potessero fare niente per impedirlo. I classici antecedenti sono tuttavia ancora vivi e vegeti nell'immaginario collettivo. Fra i più memorabili quello che lo impose a livello nazionale, "Dramatic Rain", un impetuoso, oscuro Aor, che spinse l'album "Shylights" fino al numero 2. Alla batteria c'è lo stesso Inagaki, che suona piuttosto bene lo strumento e si prodiga ancora oggi a dimostrarlo durante i concerti.

toshiki_kadomatsu16. 角松敏生 (Toshiki Kadomatsu): "52nd Street", 1987
Kadomatsu è uno dei musicisti più creativi della compagine city pop. Mai superstar ai livelli di Yamashita, si è tuttavia ritagliato uno spazio di rilievo presso gli ascoltatori più raffinati. Nel 1986 "Touch And Go" lo aveva per la prima volta portato in top 5, ma invece di sfruttare il momento propizio per esplodere definitivamente, l'anno successivo pubblicò "Sea Is A Lady", album strumentale in cui mescolava colonne sonore alla Jan Hammer e virtuosismi jazz degni dei connazionali Casiopea. Le melodie contagiose spingevano dal canto loro verso la musica per videogame, come dimostrato da "52nd Street". Il disco raggiunse comunque il numero 4, imponendosi quale simbolo di libertà creativa.

15. 杉山清貴 (Sugiyama Kiyotaka) & Omega Tribe: 「ガラスのPalm Tree」 ("Glass no Palm Tree"), 1985
Entrambe le versioni degli Omega Tribe figurano fra le più celebri emanazioni del pop rock giapponese anni Ottanta. La prima è quella con Sugiyama Kiyotaka alla voce, durata dalla primavera dell'83 alla fine dell'85. Pur essendo composta da abili strumentisti quali Takashima Shinzi (chitarre) e Nishihara Toshitsugu (tastiere), in realtà la band non aveva controllo sulla musica, affidata al deus ex machina Tetsuji Hayashi. Un meccanismo tirannico che rimandava alle meccaniche di casa Motown, dove era tutto in mano ai produttori. Hayashi era però un mago del pop, capace di grandiosi Aor tastieristici come questo, che apriva l'album "First Finale" e lo spingeva verso le 540mila copie.

14. 1986 Omega Tribe: "Stay Girl Stay Pure", 1987
Kiyotaka molla per tentare la carriera da solista, lo sostituisce il nippo-brasiliano Carlos Toshiki e la band si rinomina momentaneamente 1986 Omega Tribe. Cambia anche chi manipola da dietro le quinte, con i nuovi brani affidati al compositore Tsunehiro Izumi e all'arrangiatore Hiroshi Shinkawa. Quinto singolo di questa nuova incarnazione, "Stay Girl Stay Pure" è una ballata synth-funk con strofa d'atmosfera e ritornello trionfale. Leggendario il videoclip, dove cartelli e oggetti si mescolano a filmati di Toshiki che cammina sulla spiaggia, con contrasti di colore e sovrimpressioni accecanti. Il vento stava però cambiando e l'album "Down Town Mystery" sarebbe stato l'ultimo loro top 5.

13. 安部恭弘 (Yasuhiro Abe): "We Got It!", 1982
Il mancato successo dei dischi di Abe rimane un mistero, contando il suo lavoro di autore per star quali Masayuki Suzuki e Junichi Inagaki, ma anche le sue ottime doti di cantante e produttore. Non che abbia avuto la costanza di Kadomatsu o Yamashita, ma quel paio di momenti che avrebbero di meritato di entrare nella storia del pop nipponico li ha piazzati eccome, si pensi all'album "Slit" del 1987, autentica delizia synth-funk. O a "We Got It!", suo debutto su 45 giri, poi inserito nell'album "Hold Me Tight" del 1983. Sospinto Aor d'atmosfera, è il perfetto esempio di canzone da mettere in automobile mentre si vaga di notte fra i palazzi della metropoli dormiente.

12. 山下達郎 (Tatsuro Yamashita): 「マーマレイド・グッドバイ」 ("Marmalade Goodbye"), 1988
Il nono album di Yamashita, "Boku no naka no shounen", è l'unico col titolo in giapponese. Pur avendo sempre cantato nel proprio idioma, l'artista preferisce infatti l'inglese per la copertina dei propri lavori. Disgraziatamente, il successo di turno fu "Get Back In Love", una ballatona a un passo dai momenti più deteriori di Whitney Houston e Michael Bolton. Ben più meritevole sarebbe stata "Marmalade Goodbye", ibrido fra J-pop, sophisti-pop e synth-funk, con un basso maestoso e un assolo di sax che toglie il fiato. Il disco viaggia più o meno tutto su questo livello e si candida a capolavoro del cantante, nonostante il maldestro singolo. Fu il quinto dei suoi undici album al numero 1.

char11. Char: "Smoky", 1976
Non ottiene una vera hit dagli anni Settanta, eppure Hisato "Char" Takenaka è capace ancora oggi di riempire un'arena schioccando le dita. Non tanto per le doti canore, peraltro egregie, quanto perché, come ben noto a ogni giapponese appassionato di musica, quelle dita si destreggiano con la chitarra come poche altre. Al concerto autocelebrativo tenutosi nel 2015 al Budokan, mezza storia del rock giapponese è accorsa a tributarlo. Neanche a dirlo, la parte del leone l'hanno fatta i pezzi dell'eccelso album di debutto, "Char" (1976), fra i quali spiccano le convulse acrobazie jazz-funk di "Smoky". E nei momenti in cui la chitarra si defila, non si offenda Stevie Wonder, sembra quasi di ascoltare i Jamiroquai.

10. 高中正義 (Masayoshi Takanaka): 「渚・モデラート」 ("Nagisa Moderato"), versione live del 1986
Membro fondatore dell'iconica Sadistic Mika Band, Takanaka si è poi distinto in proprio diventando uno dei più celebri chitarristi giapponesi, al fianco di Char, Hotei Tomoyasu e pochi altri. I suoi dischi, influenzati dal funk brasiliano, sono prevalentemente strumentali, ma non si fanno mancare voci filtrate, cori femminili, tratti recitati e via dicendo. Rimane tuttavia la sensazione che la sua vera natura emerga solo durante i concerti. "Nagisa Moderato", per esempio, in studio è un costipato pezzo pop di quattro minuti, mentre nel doppio "Jungle Jane Tour Live", del 1986, assume le vesti di una jam straripante, fra tastiere futuristiche e assoli drammatici, in costante accelerazione. Poesia dello shredding?

9. 山下達郎 (Tatsuro Yamashita): 「メリー・ゴー・ラウンド」 ("Merry-Go-Round"), 1983
Non fu fra i singoli del fortunato album "Melodies" (oltre un milione di copie), ma che ne sia uno dei momenti più preziosi è evidente allo stesso autore, che l'ha spesso riproposta dal vivo, includendola anche nell'ottimo doppio live del 1989, "Joy". Puro distillato di funk ottantiano, il sound si muove fra evanescenze notturne, luci al neon, fantasmi di champagne e dedali d'uffici in grattacieli di ghiaccio. Yamashita suona chitarre e tastiere, facendosi aiutare dal sintetizzatore di Satoshi Nakamura, turnista e arrangiatore fra i più richiesti in ambito city pop. Nel 1990 Philip Bailey degli Earth Wind & Fire l'avrebbe reinterpretata in chiave deep house. Rimane a oggi la più bella cover di Yamashita in lingua inglese.

8. 杏里 (Anri): "Cat's Eye (New Take)", 1983
Dopo un lustro passato sottotraccia, Anri ebbe un'impennata di popolarità quando venne scelta per cantare la sigla dell'anime "Occhi di gatto". Uscita come 45 giri nell'agosto dell'83, la canzone si insediò al numero 1 e vendette 820mila copie. Il suo arrangiamento elettronico era di fatto a un passo dalla musica dance europea del periodo. Quattro mesi più tardi, in apertura dell'album "Timely!!", trovò tuttavia spazio questa seconda versione, con ottoni da assalto e dure legnate di basso funk. Il regista era Toshiki Kadomatsu in persona, artefice del periodo più interessante della carriera di Anri. Al termine del sodalizio, la ragazza sarebbe rimasta intrappolata in una serie di ballate acqua e sapone piuttosto stucchevoli.

7. 竹内まりや (Mariya Takeuchi): 「プラスティック・ラブ」 ("Plastic Love"), 1984
Moglie di Tatsuro Yamashita, Takeuchi è a sua volta una delle più amate figure della musica giapponese, sia come interprete, sia come autrice (ha prestato canzoni praticamente a chiunque). I suoi dischi sono arrangiati e prodotti dal marito, che per le ballate adotta svolazzi orchestrali e code zuccherose nel nome del romanticismo, ma per i brani più sospinti si permette di tornare ai suoi amori di sempre. Lo dimostra "Plastic Love", perfetto mix fra soft rock notturno e funk urbano, roba da fare invidia persino a Donald Fagen. È parte dell'album "Variety", che segnò il ritorno della cantante dopo una pausa di riflessione lunga tre anni e schizzò al numero 1.

off_course6. Off Course: 「たそがれ」 ("Tasogare"), 1985
Se non è la più bella voce del pop rock giapponese al maschile, quella di Kazumasa Oda è perlomeno la più luminosa. Con la sua intonazione gentile e cristallina, dona a ogni nota un poetico senso di fragilità. Alla guida degli Off Course dal 1969 al 1989, in seguito solista, popolarissimo in entrambe le fasi, Oda vanta una carriera tanto lunga e frastagliata che molti risultano scettici riguardo alla sua appartenenza al filone city pop, un po' come avviene per Yumi Matsutoya. Tuttavia, almeno per l'eterea ballata elettronica "Tasogare" si può prendere posizione, dato il testo che dipinge paesaggi urbani e le sonorità che rallentano a dismisura fusion e synth-funk.

5. 角松敏生 (Toshiki Kadomatsu): "Can't You See", 1988
Dopo l'album strumentale "Sea Is A Lady", in cui decise tutto da solo, Kadomatsu volle pubblicarne uno in cui, pur firmando il materiale per intero, avrebbe lasciato gli arrangiamenti e la regia in mano ad altri musicisti. Non molti artigiani del pop, quasi sempre maniaci del controllo, sarebbero stati disposti ad accettare una simile sfida, ma Kadomatsu è uno a cui le regole non sono mai andate troppo a genio. Nella scaletta di "Before The Daylight", il romantico synth-funk di "Can't You See" non spicca certo per fama, ma la produzione degli Ambitious Lovers (Arto Lindsay e Peter Schere) lo rende un imperdibile crossover con l'avanguardia pop newyorkese. L'album raggiunse il numero 2.

4. 寺尾聰 (Akira Terao): 「二季物語」 ("Niki monogatari"), 1981
I cinefili occidentali ricordano probabilmente Terao nelle vesti di attore pupillo di Akira Kurosawa, in film come "Ran" e "Sogni", ma ignorano la sua attività di musicista. C'è da dire che l'artista in persona la considera secondaria, avendo pubblicato appena cinque album dal 1970 a oggi. Eppure il secondo di questi, "Reflections", fu il disco giapponese più venduto durante gli anni Ottanta, con un milione e 650mila copie. Fulcro dell'opera è "Niki monogatari", immaginifica epopea di otto minuti per due movimenti, uno ballata lounge e l'altro midtempo funky. Terao firma il brano e produce, oltre a cantare con voce da consumato crooner. Agli arrangiamenti, quantomai raffinati, ci pensa Akira Inoue.

3. 吉田美奈子 (Minako Yoshida): "Town", 1981
Poco nota al grande pubblico, Yoshida può tuttavia far sentire il proprio peso sullo sviluppo della musica giapponese, in qualità di coautrice di Yamashita e collaboratrice di gente del calibro di Ann Lewis e Akina Nakamori. I suoi album in proprio, caratterizzati da una voce potente e perfettamente controllata, soffrono purtroppo la presenza di ballate un po' melense, che occupano spesso e volentieri oltre la metà dello spazio. Un peccato, perché quando spinge sul versante funk è capace di brani come "Town", autentica apocalisse metropolitana  arrangiata da Yamashita in persona  dove chitarre, sax, orchestra e sirene formano un muro di suono pulsante e minaccioso. Il city pop non è più stato così oscuro.

2. 大瀧詠一 (Eiichi Ohtaki): 「雨のウェンズディ」 ("Ame no Wednesday"), 1981
Passati gli anni Settanta più o meno nel sottobosco, Ohtaki si ritrovò di punto in bianco al centro del ciclone. L'impatto dell'album "A Long Vacation" fu simile a quello avuto in Italia da "La voce del padrone". Con un milione di copie vendute nei primi due anni e un altro milione nel corso del tempo, a suon di ristampe, a oggi ha superato persino "Reflections" di Akira Terao. Ohtaki mostrò a tutti cosa avrebbe potuto generare una collaborazione fra Phil Spector, Burt Bacharach e Brian Wilson nel 1981, previa dieta a base di ramen. Difficile scegliere il momento migliore di quello che è un capolavoro del pop, ma ancora più dura è rendere a parole l'incanto di una canzone come "Ame no Wednesday".

tatsuro_yamashita1. 山下達郎 (Tatsuro Yamashita): "Ride On Time", versione singolo del 1980
L'album "Moonglow" aveva già ottenuto un buon riscontro, ma fu con "Ride On Time" che Yamashita divenne una star. Uscito nel maggio dell'80, il 45 giri raggiunse il numero 3 (a oggi ha venduto circa mezzo milione di copie). La canzone si apre sulle note di un pianoforte per poi impennare in un ritornello funk scoppiettante, che riassume a perfezione lo spettro emotivo del city pop. Leggerezza, nostalgia, ballabilità e speranza si intrecciano in un arredo sonoro moderno che evoca grandi città e spiagge al tramonto, fra chitarre plastiche e ottoni ficcanti. "Ride On Time" sarebbe poi stata registrata di nuovo, per l'inserimento nell'album omonimo, ma lo splendore malinconico della prima versione rimane insuperato. È l'inno di un'epoca e di un intero modo di fare musica.

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