Dieci Piccoli Italiani

Dieci Piccoli Italiani - N. 90

di AA.VV.

laidellenubiLAI DELLE NUBI – Tueri (2019, MiaCameretta Records)
post-rock

Suoni gentili, sussurrati, poi d’improvviso esplosioni di rabbia, densità elettriche che deflagrano, stratificazioni immani, la lezione dei Mogwai mandata a memoria, filtrata attraverso l’esperienza dei Giardini di Mirò. Tutto rigorosamente strumentale, con i brividi che scorrono a fior di pelle quando sopraggiungono le impennate soniche. Lo chiama(va)no post-rock, etichetta che oggi probabilmente non ha più senso, ma che serve a far capire le modalità attraverso le quali il quartetto romano si approccia alla materia musicale. Batteria, basso e due chitarre, ora pressoché silenziosi, quasi assenti, due minuti dopo sembrano in una moltitudine dietro gli strumenti, in folate che a fatica riescono a contenere l’epica melodia delle trame. Sei tracce mai banali, dal minutaggio non sempre breve, ma in grado di catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Se i ragazzi sapranno replicare queste atmosfere anche sul palco, saranno emozioni vere… (Claudio Lancia  7/10)


treroseTREROSE – Pop Noir (2018, A Buzz Supreme)
dream-pop

Anche attivi come Kilometro Zero in tutt’altro contesto (tributi dal vivo ad artisti jazz del passato), i modenesi Eleonora Merz, voce, e Pino Dieni, chitarra, chiamano a sé il basso di Fabiano Spinelli per dar vita ai Trerose e al primo lavoro “Pop Noir”. Le loro competenze sono qui al servizio di una fantasia compassata. Una leggiadra pioggia di arpeggi jingle-jangle e un canto da sibilla, il tutto ripetuto allo sfinimento, innervano “Mantello”, e gli stessi ingredienti, mutati però in tintinnii e sussurri, traslano poi la semiacustica “A te a me” a rasentare la trascendenza. “Esisti solo nella tua immaginazione”, seppur più piana, vanta inserti di robusto tango, e la romanza elettronica di “L’alieno nel giardino” ha un’amena alternanza con un impeccabile afro-funk. La piccola fantasia solo strumentale “Un giorno”, oltre a evidenziare con snellezza la loro musicalità, introduce il dub psichedelico di “L’apertura”, con tocchi disgiunti da fiaba gotica (giustificano il “Noir” del titolo). C’è anche un souvenir nello stile del sing-along par excellence (“Hey Jude”), “Tutto passerà”. Necessita di (almeno) due ascolti, al secondo la patina di somiglianza con i secondi Üstmamò si scrosta da sé e compare un disco di vivida classe, amorevolmente composto e suonato con virtuosismo saggio, anche se non poco sbilanciato dalla parte degli arrangiamenti a discapito delle melodie. E’, non per niente, anche uno dei migliori parti dell’Umberto Maria “Moltheni” Giardini produttore (Michele Saran  6,5/10)


mon_01MÓN – Guadalupe (2019; Urtovox)
soft indie-pop

A due anni dall’esordio “Zama”, tornano i romani Mòn con i loro suoni caldi e avvolgenti. In qualche modo si guarda all’esperienza XX, sia nei frangenti più intimi (“Laurel”) sia in quelli più movimentati (“Calypso”, di nome e di fatto), per generare una proposta comunque personale e dal tratto internazionale. Voci maschile e femminile che si alternano, e sovente si sovrappongono, atmosfere sensuali, inquadramento soft indie-pop con venature electro. Avvincente l’increspatura sul finale di “Moth”, il miglior brano della raccolta, altrettanto quella che valorizza “Crowns”. Altrove la vena si fa più prossima al cantautorato malinconico figlio delle introspezioni dei Girls In Hawaii (“Green Silk Cloth”). In cabina di regia c’è Giacomo Fiorenza. Con la spinta di un singolo come “IX” i ragazzi possono permettersi anche di puntare a qualche passaggio sui network che contano… (Claudio Lancia  6,5/10)


laterzaclasseLA TERZA CLASSE – La Terza Classe (2018, Polosud)
bluegrass

A Napoli non è mai mancata la contaminazione, quella voglia di mescolare tradizioni lontanissime. Se pensiamo al cosiddetto naepolitan power, da Pino Daniele a Enzo Avitabile, di commistioni jazz, blues, e funk d’oltreoceano ne ritroviamo a iosa. E le ritroviamo anche quando scendiamo dentro certe nicchie del passato, vedi gli Osanna con il prog anglofono. Tuttavia, nessun partenopeo ha mai pensato di tuffarsi totalmente nel bluegrass. E’ difatti un genere davvero distante dagli umori popolari che solitamente esplodono in una città calda e passionale come Napoli. Eppure, La Terza Classe dal 2012 ha ben pensato di (ri)proporre uno stile estremamente poco trattato dalle sue parti, ritrovandosi presto in giro per gli States, dove fra una data e l'altra incontra Jim Lauderdale, artista country/soul pluripremiato ai Grammy Awards che decide di invitare la giovane band a esibirsi al noto show televisivo americano Music City Roots a Nashville; un’apparizione che consentirà alla formazione campana di calcare di lì a poco i palchi del Big Ears Festival in Tennessee e del Rockwood Music Hall di New York, a conferma della bontà di una proposta singolare e a suo modo coraggiosa. I cinque brani di questo terzo Ep omonimo sono stati prodotti in collaborazione con Massimo De Vita (Blindur) e masterizzati da Andrea Suriani (Cosmo, Calcutta, Coez). Pierpaolo Provenzano (chitarra, voce), Rolando "Gallo" Maraviglia (contrabbasso, voce), Enrico Catanzariti (percussioni, voce) - con l'ormai consolidata collaborazione dei musicisti Corrado Ciervo (violino, keyboard) e Alfredo D'Ecclesiis (voce), si muovono tra una ballata folk e un trotto acustico in perfetto stile appalachiano, con il seme del country a donare linfa tra un accordo e l’altro, un coro e un violino in festa. Si prenda da esempio la briosa “Smile”, che trasporta l’ascoltatore nella fatidica casa nella prateria (!), o la più intensa “Stuck In My Mind”, con tanto di stop&go e calda ripartenza perfetta per una sorta di far west 3.0. Certo, non sarà una novità, ma c’è tanta anima. E di questi tempi non è affatto poco (Giuliano Delli Paoli 6,5/10)


saffelliSAFFELLI – Ossitocina (2019, Oyez)
it-pop, electro

Una chitarra, una voce, poi tappeti electro e tanta melodia, per quattro tracce che definiscono il mondo di Saffelli: quadretti generazionali con sullo sfondo una Milano fatta di tangenziali, master e beauty center, di foto ingannevoli postate sui social e di domande infinite (dov’è finita la nebbia / che nascondeva le stelle?). In “Alaska”, il brano che apre l’Ep, il giovane cantautore dimostra la capacità di guardare tanto a Francesco Bianconi quanto a Edoardo Calcutta: non male. Partito dal rap, e qualcosa se ne ritrova nell’approccio di “Amore miope”, Saffelli si è presto convertito alle dinamiche “indie”, sia in termini di suono che di atteggiamento. Puntando su un songwriting descrittivo-introspettivo, ha già diffuso diversi singoli nelle ultime settimane. L’hype si sta ingrossando: probabile stia progettando un primo album che li raccolga tutti. Nel frattempo cerca di caratterizzarsi nell’affollata cerchia dei nuovi cantautori italiani, fra quelli che nel tempo potrebbero riuscire a restare… (Claudio Lancia  6,5/10)


iltipodijesiIL TIPO DI JESI – Pranzo Rock in Via Trieste (2018, autoprodotto)
alt-rock, indie-pop

Un po’ gli anni 90 dei Verdena, un po’ gli anni Dieci dell’it-pop, “Pranzo Rock in Via Trieste“ è l’album che raccoglie il materiale scritto negli anni da Tommaso Sampaolesi, classe 1986, già cantante, chitarrista e compositore dei .cora. Nella sua voce tracce di grunge, i canoni dell’alt-rock contaminati con sonorità indie-pop e qualche base electro. L’iniziale title track è uno strano ibrido che fonde l’approccio sonico dei Marlene Kuntz (nell’incipit strumentale) con i contemporanei racconti metropolitani de I Cani. La successiva title track è Alberto Ferrari allo stato puro, con ogni probabilità il maggior punto di riferimento di Tommaso. Acustico in “In fondo al letto”, elegante in “Tione, la nebbia, le montagne, tu”, iper incazzato in “Tutto a posto Land’s End”, rotondo in “Caos a colazione”, Il Tipo di Jesi è davvero di Jesi, Ancona, e racconta il calore e lo squallore della provincia cronica. Acuto e graffiante, si impone come una delle più belle novità del 2018, con dentro ancora così tanto di quegli anni 90 che non riusciamo proprio a dimenticare (Claudio Lancia  6,5/10)


officinebukoskiOFFICINE BUKOWSKI – Il primo giorno d’inverno (2018, Alka)
dance-punk

Di Bergamo, gli Officine Bukowski, quattro elementi, debuttano con “Il primo giorno d’inverno”. Il prologo, “Anime”, acustico e ascetico, tutto mandola e voci gregoriane e declamate, non potrebbe essere più fuorviante. Quanto segue è un’incursione ad ariete nel kitsch italico con una scrittura sloganistica quando non sciocchina, da “Chi era viola” (quasi ruba la melodia a “Guilt” di Marianne Faithfull) a “Giardino di tulipani”, da “Neve” che ricalca spudoratamente tanto la “What I Am” di Edie Brickell quanto l’“Emozione” dei Cattivi Pensieri, ma anche una più memorabile “Parlami ora” con una strofa potentemente rappata alla Jo Squillo. Finalmente il complesso cambia marcia, o meglio l’ingrana anziché girare a vuoto, con la doppietta “Renèe”-“Sabbie mobili”, due ritornelli di forza titanica, quasi di heavy-metal industriale il primo, altamente passionale il secondo. Sono canzoni al vetriolo che, oltre a salvare l’intera operazione, rendono i capolavori della voce, Debora Chiera, e di certo della chitarra del leader Paolo “The Pheudys” De Feudis, che li ha anche scritti. La vena felice impronta anche il prefinale “Solo te” e non si spinge, ahimè, fino alla chiusa di “Zingara” (carino e inutile il rap di “Element” Preziosa). L’ambito estetico-stilistico è anche quello dei migliori Prozac+, e infatti Gian Maria Accusani in “Renèe” ci mette lo zampino, e che zampino (Michele Saran 6/10)


pashmak_01PASHMAK – Atlantic Thoughts (2018, Manita Dischi)
electro-pop, art-rock, songwriting

Giunge al secondo album la formazione milanese guidata da Damon Arabsolgar, frontman di origini persiane che conferisce un senso di multietnicità al progetto. Già incontrati su queste pagine nel 2013 con l’autoprodotto “Desquamation”, i Pashmak continuano a proporre stratificazioni musicali dense di influenze che si muovono dall’electro-pop all’art-rock, senza disdegnare suggestioni balcaniche (sono stati diverse volte in tour da quelle parti) e derive simil dub. In molte tracce si ripete il canovaccio della partenza soffusa, ma le composizioni si arricchiscono quasi sempre di quei beat che le rendono uptempo. Fra le orchestrazioni di “Laguna” e gli svolazzi pianistici di “Bronzo” i ragazzi si cimentano anche con l’italiano, affinando l’aspetto cantautorale della loro proposta: un’opzione che potrebbe aprire interessanti scenari futuri (Claudio Lancia  6/10)


ilterzoistante_02IL TERZO ISTANTE – Estraneo (2019, Phonarchia)
alt-rock

Seguito di “La fine giustifica i mezzi” (2016) per i torinesi Il Terzo Istante: “Estraneo”. La formazione a quattro è riconfermata, Lorenzo De Masi, Fabio Casalegno, Luca Sbaragli, Carlo Bellavia, anche se sembra un disco solista dell’ideatore De Masi, a partire dal primo singolo “Dissolversi”, poi “Sei dicembre” e altre ballate via via sempre più convenzionali. La chiusa, “Luna di sangue”, comunque rifulge, con il suo inizio elettronico di stillicidi, ronzii e ululati, il continuo arpeggio di piano, la sua impennata isterica e sincopata, il suo ritorno alla quiete metafisica dell’inizio: non è distante dalle visioni del post-rock britannico di Talk Talk e Bark Psychosis. Questo buon equilibrio non si ripete né nell’arringa politica di “Scegliere”, pur severa e instabile, né nell’atmosferica “Materia grigia”. Confezionato con due synth, Maurizio Borgna e Andrea Franchi, anche co-arrangiatore: tante le tastiere e poche, e distanti, le chitarre (peraltro le parti più evocative, quando si odono). Ma questo passi. Il tallone d’Achille sta nella concezione, in brani complessi, cervellotici pure, e irrisolti, e poi in brani soltanto ammorbanti. Nelle intenzioni del complesso “Estraneo” sta nell’autoimposta estraneità alla musica commerciale, un orgoglio che muta in prigionia e sclerotizzazione. Nel disco si tasta con mano, onore al merito, ma non è un complimento. Cameo di Paolo Benvegnù (“Materia grigia”). Edizione digitale a cura di Routenote (Michele Saran  5,5/10)


arcano16ARCANO16 – XVI (2018, autoproduzione)
alt-pop

Il paroliere d’origine piemontese Alessandro Spadafina è appassionato di tarocchi, precisamente degli arcani maggiori e del sedicesimo in particolare, La Torre, quando ancora nel 2010 concepisce, un nome un programma, gli Arcano16, da far battezzare ovviamente nel 2016 con un primo album intitolato, com’è intuibile, “XVI” (anche se uscito solo nel tardo 2018). Ad affiancarlo e affrancarlo c’è un normale trittico chitarra-basso-batteria (Alessandro Luison, Simone Rubinato, Marcello Borsano) più tastiere (Daniel Bestonzo). Detto combo ci dà dentro più che può e ottiene, in “Ok ci sto”, una versione strepitata e nevrastenica del Beck più passatista. Su tutto regna però un barocchismo sconclusionato, se non proprio disordinato (“Camminerò”, “Strani giochi”, “Prigione luna”), che funziona solo quando si aggancia a un refrain elementare alla Vasco Rossi, e soprattutto si aggiusta di sintesi in una durata breve, cioè in “Il vizio del re”. Questa generale sbracatezza permette loro comunque di ottenere, in “Migliorerà”, un (breve) assolo creativo distribuito in più parti strumentali. Definito “psichedelico all’italiana”: è invece un pop progressivo non abbastanza inusuale che sa molto di terra d’Albione. Fronzoli, effetti, cambi di tempo a iosa: bella la prova tecnica, anche se tra tutti convince di meno proprio il canto di Spadafina, parecchio ripetitivo e fanciullesco. Rimane un disco di canzoni solo malfunzionante, non artisticamente disgiunto, senza le canzoni. Uscito anche in ghost-release (Michele Saran  5/10)

 

Discografia

LAI DELLE NUBI – Tueri (2019, MiaCameretta Records)
TREROSE – Pop Noir (2018, A Buzz Supreme)
MÓN – Guadalupe (2019; Urtovox)
LA TERZA CLASSE – La Terza Classe (2018, Polosud)
SAFFELLI – Ossitocina (2019, Oyez)
IL TIPO DI JESI – Masturnazione (2018, autoprodotto)
OFFICINE BUKOWSKI – Il primo giorno d’inverno (2018, Alka)
PASHMAK – Atlantic Thoughts (2018, Manita Dischi)
IL TERZO ISTANTE – Estraneo (2019, Phonarchia)
ARCANO16 – XVI (2018, autoproduzione)
Pietra miliare
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