Musica di ricerca

Antonello Cresti - Solchi Sperimentali Italia

Autore: Antonello Cresti
Titolo: Solchi Sperimentali Italia, 50 anni di italiche musiche altre
Editore: Crac Edizioni
Pagine: 487
Prezzo: 28 euro

Antonello Cresti - Solchi sperimentaliDa pochi mesi è stato pubblicato il secondo volume di "Solchi Sperimentali", dedicato interamente alle musiche "altre" italiane. Abbiamo chiesto al suo autore, l'ormai noto saggista e musicista Antonello Cresti, le sue idee, le sue aspettative e i riscontri avuti in questi mesi dopo la pubblicazione. Ricordiamo che Antonello Cresti è autore di vari saggi di approfondimento musicale tra cui "Fairest Isle" (2009), "Lucifer over London" (2010), "Come to the Sabbat" (2011), "Solchi sperimentali" (2014), è collaboratore di giornali come Il Manifesto, Rockerilla, Il Garantista, e che con il collettivo Nihil Project ha contribuito in prima persona, tra il 2001 e il 2006, a scrivere una piccola ma significativa pagina della sperimentazione musicale in Italia. 

Ciao, Antonello. Inizierei parlando del titolo; questo è il secondo libro che intitoli "Solchi Sperimentali". Puoi darci una definizione di cosa, secondo te, può definirsi davvero sperimentale?
Il titolo nasce da un'esigenza di comunicazione; la parola sperimentazione o anche avanguardia sono termini che non amo particolarmente, amo semmai termini come ricerca, musica "altra", come dico nel sottotitolo del libro. Questo perché mi fanno pensare - più che a un genere musicale, a uno stile o a una serie di procedimenti tecnici - più a un'attitudine, a un approccio, a uno spirito. Quindi, da questo punto di vista, mi piace pensare che "sperimentale" sia un modo per approcciare il suono, la materia sonora, non tanto un determinato numero di procedimenti. Penso che una visone alternativa del far musica si saldi bene a un approccio differente anche all'esistente, alle proprie scelte esistenziali, di vita, spirituali e politiche.

Pensando alla definizione di sperimentale, mi è sembrato encomiabile il tuo tentativo di dare voce a tutti quei musicisti fuori dal coro, che non hanno guardato al profitto o al successo, bensì alla musica intesa come arte e innovazione. Se questi musicisti rimangono di nicchia, di chi è la responsabilità; delle case discografiche, degli ascoltatori distratti dal mainstream?
Ricorda che nel termine di musica di ricerca non mi riduco a un genere, il mio discorso è il più inclusivo possibile, cerco di far ritrovare musicisti appartenenti a generi molto differenti. Questo perché penso che l'input di ricerca e di sperimentazione si possa ritrovare un po ovunque, non è detto che debba essere ristretto ad alcuni generi. Il discorso che facevi sulla musica fatta per profitto, per garantirsi un guadagno o una visibilità, è più complesso: vale certamente per la maggioranza degli artisti di cui mi sono occupato, ma vale anche per altri ambiti; ci sono tantissimi artisti propriamente rock o pop, che fanno musica solo per passione, è appunto un discorso di attitudine e di qualità.
Da questo punto di vista credo che la volontà di massificazione e trascinamento verso il basso sia in qualche maniera strategica da parte della discografia - intesa come un braccio operativo di un sistema più vasto - e mi sembra che in ogni maniera il sistema politico e culturale abbia interesse ad avere a che fare con individui consumatori al minimo livello, senza spinta o slancio verso qualcosa di più alto, perché persino una canzone può creare un slancio identificativo che in qualche modo può essere visto come pericoloso dai detentori del potere rispetto all'idea di società che prevale al giorno d'oggi. Vivere la propria creatività è un ottimo atto di ibridazione, di identificazione e di alterità nei confronti di questa volgarità di massa.

In questi anni vedo tantissimi giovani attratti dai nuovi talent, più alla ricerca dell'apparire secondo un cliché gradevole alla tv che essere se stessi e liberare - come dicevi - la propria creatività. Cosa vorresti dire a un giovane musicista attratto dai talent in voga negli ultimi anni?
Io non criminalizzo la volontà di avere successo, anzi, penso che il successo abbia tanti aspetti positivi e affascinanti. Direi due cose; innanzitutto che questa massificazione non paga, quindi nel momento in cui un musicista o un cantante ha una passione, gli direi di ascoltare il più possibile e cercare di identificarsi per differenze, non pensare che quello che è di moda sia più facile da far ascoltare; lì per lì si pensa che possa servire, ma dopo ci si rende conto che ad avere l'onda lunga, una vita artistica duratura, non sono quelli che bruciano le tappe immediatamente, ma quelli che esprimono qualcosa di proprio.
Da questo punto di vista quello che mi balza all'occhio è l'incredibile incapacità di differenziarsi, di personalizzarsi anche attraverso uno stile canoro. Io sento voci che sono incredibilmente tutte uguali, mi sembra che questo vada bene per un piano-bar da crociera, ma non per un vero artista. In base a questo ragionamento, non avremmo mai avuto Bob Dylan, Leonard Cohen, ma nessuno dei grandi interpreti della canzone pop di massa ha questo stile così poco identificativo.

Cominciamo a parlare del tuo libro: nella copertina troviamo riferimenti all'autore meno alla moda possibile, Luigi Russolo, che potrebbe definirsi il primo sperimentatore italiano di musica che non sia musica classica, ovviamente. Vuoi dirci due parole su Russolo?
Russolo mi serviva in copertina anche se nel libro non si parla di futurismo musicale, bensì di artisti che - musicalmente parlando - sono venuti molto dopo. Mi serviva per dare un riferimento immediato di una avventura che parte da lontano e forse inizia proprio in Italia. Russolo può essere immaginato, in qualche modo, come una sorta di progenitore di tutta la scena "altra" italiana.

E' possibile dire che l'Italia sia stato un paese più sperimentale di altri? Rispetto a paesi ritenuti all'avanguardia riguardo la musica, potremmo dire, giovanile. Parlo di Inghilterra, Germania, Usa e altri.
L'Italia è un paese dove convivono due opposti. Da una parte abbiamo una tradizione pop e rock generalmente di basso livello, soprattutto perché fortemente imitativa della tradizione anglofona. Dall'altra parte, forse per questa povertà, si è sempre sviluppata parallelamente una scena sperimentale di qualità, che da un punto di vista qualitativo non penso abbia nulla da invidiare ad altre scene di livello internazionale. Lo vediamo nella musica progressive, soprattutto quel prog che ha cercato di crearsi una propria personalità, al di là dei modelli anglosassoni. Lo vediamo nella scena industrial, che è sempre stata di primo livello. Lo vediamo in una interpretazione italiana molto personale della new wave. Recentemente lo vediamo per esempio nell'effervescenza di una scena di sperimentazione elettroacustica che è notevolissima, sia in termini di musicisti che di etichette. Quindi la scena italiana - pur godendo di scarsa visibilità - penso possa vantare un notevole interesse non solo per noi italiani ma anche per chi vive all'estero.

Tu sei stato, in un certo senso, uno strumento per fare emergere centinaia di musicisti (170 interviste esclusive) che chiedevano solo di trovare la possibilità di farlo e con te hanno trovato lo strumento adatto. In qualche modo hai aperto una porta che appassionati, nuovi ascoltatori e musicisti potranno attraversare alla scoperta di nuove esperienze. Senti questo orgoglio, questa responsabilità?
Senza dubbio è un piacere da parte mia. Io parlo spesso di un piacevole gesto di militanza e di servizio. Sono anche consapevole del fatto di non aver scritto la parola fine sull'argomento, ma di avere, come dicevi tu, aperto una porta. Questa porta che ho aperto, vorrei sottolineare, viste le energie che vedo in giro, che percepisco ogni giorno, credo possa essere varcata non solo dagli addetti ai lavori o dai cosiddetti iniziati, cioè tutti coloro che già conoscono gli artisti di cui parlo e che hanno una conoscenza abbastanza approfondita. Penso che questa porta possa essere varcata anche da ascoltatori che conoscono poco o nulla della musica trattata nel mio libro. E' giunto il momento di un approfondimento di ascolto da parte di un numero sempre più vasto di ascoltatori; forse per quello che dicevo prima, è come se da un lato si andasse così tanto verso una volgarità, una piattezza e una banalità insostenibili, che fatalmente dall'altra parte si possono aprire spazi di comunicazione più profondi, che credo sia giunto il momento di sfruttare per creare un'alternativa, per dare un segnale che ci differenzi da questa volgarità di massa.

Questo è il primo libro italiano del genere; sarebbe stato possibile scriverlo senza i social odierni e senza la diffusione degli mp3?
Devo dirti che i social network, soprattutto per le interviste e per i contatti con i musicisti, sono stati essenziali per me, mi hanno risolto tantissimo lavoro. In alcuni casi ho dovuto fare una ricerca supplementare, certamente, però nella maggior parte dei casi Facebook è stato sufficiente. Devo aggiungere che il ruolo dei social network è stato importante anche nella promozione di questo lavoro. La mia idea sarebbe quella di creare una iperattività a più livelli tra me, musicisti, appassionati e ascoltatori e devo dire che - attraverso la formazione del gruppo del mio libro - si è creato un luogo di comunicazione e discussioni di grande qualità, che è uno di fenomeni che segnalerei per la grande ricettività di messaggi che altrimenti andrebbero perduti.

Per promuovere "Solchi Sperimentali Italia" stai girando dal Nord al Sud, che accoglienza trovi in giro?
Ho ancora tantissimi appuntamenti, la maggior parte deve ancora venire. Sabato scorso ero a Perugia, ieri a Firenze e ci sono state presentazioni di grande partecipazione e interesse, cosa che mi fa immenso piacere. Quello che cerco di realizzare nelle presentazioni di "Solchi Sperimentali Italia" è che queste non si riducano alla classica situazione ingessata da cattedratici. Il libro deve essere un pretesto, uno spunto per creare delle situazioni formative a più livelli. Quindi in ogni luogo dove mi troverò cercherò di creare un contenitore ideale per far sì che gli artisti di cui parlo nel testo, ma non solo, possano esibirsi, magari collaborare tra loro per la prima volta, quindi creare qualcosa di nuovo, possibili nuovi sbocchi creativi. Questo è avvenuto nelle prime due date e avverrà nella quasi totalità degli incontri.

Vedi un interessamento anche di giovani o sono nella maggior parte dei casi appassionati di musica che hanno vissuto in prima persona gli anni Settanta e Ottanta?
Devo dire che sto vedendo una recentissima mutazione. Avendo già pubblicato vari libri, avendo fatto varie presentazioni in passato, notavo che il pubblico che mi trovavo davanti era spesso - mi passi il termine - un po' reducistico. Un pubblico di gente che ha vissuto gli anni Settanta, cioè un pubblico maturo. Negli ultimi mesi, anche le ultime date me lo hanno confermato, questo pubblico non è scomparso, ma è affiancato da un numero sempre crescente di ragazzi, anche ventenni. Si va dai venti ai settant'anni, e ci sono un numero sempre maggiore di donne; questi eventi erano sempre frequentati più da un pubblico maschile, credo che si stia aprendo anche quella porta. Sono tutti aspetti di una vitalità che sono molto felice di poter testimoniare.

Cosa farai dopo le presentazioni di "Solchi Sperimentali"?
Sarò impegnato sino a giugno 2016, devono accadere ancora molte cose e probabilmente e molte neanche le immagino. Posso dirti due cose certe; una che verso la primavera-estate ci sarà un mio nuovo libro, completamente diverso da questo, sia come argomento che come approccio: sarà una pausa da questi temi di approfondimento musicale. Poi anticipo che - se il libro continuerà ad andare bene - potrebbe esserci una chiusura della trilogia di "Solchi Sperimentali". Immagino un volume che, per ovviare alle mancanze di questo presente, si concentri in maniera molto approfondita sugli ultimi 10-20 anni di musica sperimentale in Italia.

Antonello Cresti su OndaRock

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