Dream Theater

The Dance Of Eternity

Dream Theater - The Dance Of Eternity
(inclusa nell'album "Metropolis Pt. 2: Scenes From A Memory", Elektra, 1999)



Il 1999 è un anno fondamentale per la storia dei Dream Theater. Dopo la defezione del tastierista Kevin Moore e l'arrivo di Derek Sherinian, pubblicano l'imperdibile Ep “A Change Of Seasons” (1995) con una fenomenale suite progressive vecchio stile (la title track) e “Falling Into Infinity”, Lp che ha tendenzialmente diviso gran parte dei fan pur contenendo tante buone idee. E’ un momento di pausa della band, periodo in cui Portnoy e Petrucci cercano di realizzare le loro idee più estreme nei Liquid Tension Experiment, progetto strumentale e ultra-tecnico formato insieme a Tony Levin (King Crimson) al basso e al tastierista Jordan Rudess. Ci vuol poco a capire che Rudess è il tastierista perfetto per creare un nuovo corso per una band che rischiava di trovarsi di fronte a un binario morto.

Funambolico, dotato di una tecnica estrema, capace di conciliare melodia e virtuosismo - in pratica un alter ego di Petrucci alla tastiera - Rudess è di fatto il tassello che mancava ai Dream Theater per affrontare il nuovo millennio, tanto perfetto che dopo ventidue anni è ancora oggi elemento insostituibile nel nuovo corso della band. L’ingresso di Rudess porta a “Metropolis Pt. 2: Scenes From A Memory” (1999), concept-album amato da tutti i fan, punto di arrivo dei loro anni 90, ma anche momento di slancio per una nuova stagione. Melodia, tecnica e testi di altissimo livello trovano una nuova sintesi.

In questa fase spicca il brano strumentale “The Dance Of Eternity”, punto di equilibrio e di arrivo di una forma davvero estrema di intendere il progressive metal, una sorta di super-progressive in cui i tempi dispari si alternano in modo convulso e velocissimo, dove la chitarra speed si collega a sonorità classicheggianti, dove ritmi ragtime di piano si incrociano a distorsioni metal. “The Dance Of Eternity” è davvero un volo pindarico per la carriera della band di Petrucci e Portnoy, il momento in cui le idee di base vengono portate alle loro estreme conseguenze. Persino il timido Myung trova uno degli assoli più importanti della sua carriera, trovandosi uno spazio all'interno di un caos così meticolosamente organizzato.

E’ una sorta di manifesto anti-melodico, il brano più anti-radiofonico che si possa immaginare, ma anche un inno alla libertà compositiva del musicista che non cerca melodie facili per cercare il consenso del pubblico, né rumorismi sperimentali che ammiccano alla critica. E’ curioso che un tale punto di equilibrio tra le tre anime della band (Petrucci, Rudess e Portnoy) sia stato raggiunto già nel primo album. “The Dance Of Eternity” è per certi versi il coronamento di una carriera e allo stesso tempo la sua prematura fine, sia dei Dream Theater ma forse persino dell'idea di quel tipo di progressive metal. E' un po’ la lunga coda di quelle che erano state le tre pallottole che avevano colpito al cuore il progressive rock. Da “Red” dei King Crimson a “Tales From Topographic Oceans” degli Yes sino al canto del cigno degli Elp, "Fanfare For The Common Man".

Ponendo la domanda "Cosa si può fare di più adesso?", “The Dance Of Eternity” è a suo modo la quarta e definitiva ferita mortale. Si tratta solo dell'inizio di una nuova stagione della band dalla lunga storia, con più di vent’anni vissuti tra alti e bassi. Ma nonostante i vari tentativi, poche volte il quintetto di Long Island riuscirà ad avvicinarsi a tanta bellezza.