Le sinfonie di ferro

Guida all'ascolto di Glenn Branca

L’unica ragione per cui continuo a interessarmi di questo mondo è perché amo la musica e voglio che le persone ascoltino la musica. Per il resto, questo cazzo di mondo è una perdita di tempo.
(Glenn Branca)

Glenn Branca è una delle figure più controverse nate dalle influenze dell'avanguardia (minimalismo americano) e del rock (la scena no wave, post-punk). Portare le chitarre elettriche nel cuore dell'avanguardia non deve essere stato semplice, né tantomeno portare l'avanguardia in modo così spudorato all’interno del mondo della chitarra elettrica non doveva essere facilmente accettabile. L'universo sonoro ricreato da Branca è fondamentalmente un derivato della no wave e del noise-rock, che diventavano un tutt’uno con le ripetizioni di Terry Riley, Steve Reich e con i muri di suono di La Monte Young. In questa già anomala chimera, Branca ha avuto il coraggio di inserire il concetto tutto classico di sinfonia, compiendo un passo in avanti davvero inaudito.

Branca ha raggiunto i vertici della sua poetica nelle sue lunghe composizioni che rallentano e accelerano, nelle sue tragiche esplosioni di chitarra, nel suo caos catartico che diventa la colonna sonora del tormento interiore dell'autore, nel suo rumore estremo che lambisce il confine di una spiritualità laica, richiamando nitide visioni apocalittiche che partono da “The Ascension” (1981) sino al terzo movimento della prima sinfonia, alla percussività della seconda, al misticismo della terza, alla colossale avventura della sesta che evolve le idee degli esordi, sino alla violenza inarrestabile delle sinfonie 8, 10 e 13.

Glenn Branca è uno dei pochi motivi per non suicidarsi
(Steve Albini)

Le sinfonie di Branca sono il regno delle chitarre suonate con accordature alternative, degli strumenti modificati e iper-amplificati, dei volumi assordanti come mai nessuno aveva osato utilizzare sino a quel momento, della tecnica che potrebbe far inorridire un purista dello strumento, perché secondaria rispetto all’impatto sonoro che l’opera deve avere sul pubblico. E’ proprio l’impatto devastante delle sinfonie sull'ascoltatore, letteralmente aggredito da volumi inimmaginabili, a rendere l’esperienza live indimenticabile.
Un giovane musicista di conservatorio, il chitarrista Gisbert Watty, racconta: "Ricordo di aver assistito a una delle sinfonie di Branca a Dusseldorf, quelle piene di chitarre dove i decibel superano quelli del motore acceso di un aereo. Ricordo che non mi piacque, ma fu un'esperienza che mi colpì profondamente e mi fece riflettere molto, tanto che ricordo perfettamente tutto di quella serata". Il compositore John Adams ci dice: “Le cuffie non erano semplicemente consigliate, erano indispensabili”. Indipendentemente dai gusti l'esperienza live delle sinfonie di Branca rimane indimenticabile. 

Branca mi ha fatto tremare
(John Cage)

brancaglennusaIl legame con la musica classica, che farebbe intendere l'utilizzo della parola sinfonia è minimo, almeno nelle sinfonie per chitarre amplificate. Non è quindi possibile pensare a Branca come a un compositore rock che si avvicina alla musica classica, come fecero ad esempio alcuni esponenti del progressive-rock. Branca rimane sempre fermamente dentro il mondo del rock influenzato dall'avanguardia, in parte come fecero i Velvet Underground, dilatando al massimo le sonorità post-punk per arrivare a lunghissimi brani strumentali, spesso oltre i venti minuti, diventando di fatto un padre tutelare di varie band post-punk-noise (Swans, Sonic Youth) e di gran parte del post-rock strumentale (Godspeed You! Black Emperor). Le sue composizioni potrebbero quindi definirsi sinfonie (post)minimaliste post-punk.
Il volume è un elemento fondamentale, nonché il principale mezzo comunicativo con l'ascoltatore. Branca trasforma il minimalismo donandogli una potenza che sino a quel momento non aveva neppure immaginato di poter avere, in una parola trasforma il minimalismo in massimalismo. Prima di avventurarsi nella sua lunga serie di sinfonie, già con l'esordio di “The Ascension” (1981) mostrava idee chiarissime. Da quel momento l’ambizione di Branca lo spingerà ad andare sino in fondo al percorso che aveva appena iniziato.
L’accusa infamante di fascismo, che John Cage fece dopo aver assistito a una sinfonia, probabilmente dettata dal ritmo quasi militare di alcuni movimenti, non convince, anche se l’imponenza dei suoni raggiunta farebbe pensare a un'idea nietzschiana della musica, mostrando in vari momenti persino una vicinanza a certi mondi descritti da Wagner (il compositore classico preferito di Branca). L’idea di un “esercito” di chitarre non poteva che balenare nella sua mente da tempo. Nasce da qui la lunga stagione delle sinfonie, progetto ambizioso e proseguito con ostinazione, senza mai scendere a compromessi, nella convizione che nell'arte conti soltanto osare di più, andare sempre oltre.

Più la musica diventava oltraggiosa e più il pubblico cresceva. Capii che potevo fare quello che volevo
(Glenn Branca)

Le sinfonie possono dividersi un due tipi, quelle più innovative per chitarra e strumenti amplificati e quelle più tradizionali per orchestra sinfonica. Si contano ad oggi sedici sinfonie e la lunga composizione di musica per balletto “The World Upside Down” (1992), che pur non essendo inserita nella serie delle sinfonie, lo è di fatto. Purtroppo non tutte le registrazioni sono disponibili, ma tutte le sinfonie sono state eseguite dal vivo. In particolare quelle non amplificate sono state eseguite da prestigiose orchestre, quali la London Sinfonietta, la Minnesota Opera Orchestra, la Graz Orchestra e l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Radio Polacca. E’ probabile che le sinfonie mai pubblicate verranno rese disponibili postume nei prossimi anni.

Sinfonia No. 1, “Tonal Plexus”. Per tredici chitarre, tastiere, ottoni e percussioni. 
Registrata a New York il 18-19 luglio 1981, pubblicata nel 1983.



La prima sinfonia, registrata dal vivo nel luglio del 1981 presso il Performing Garage di New York, è il primo primo tentativo di Branca di approcciarsi all'idea di musica sinfonica per chitarre elettriche. E' divisa in quattro lunghi movimenti e vi suonano tredici chitarre, tra cui quelle dei due Sonic Youth, Lee Ranaldo e Thurston Moore. Il risultato è la creazione di travolgenti muri di suono che si formano e crescono di minuto in minuto, come ad esempio nel primo movimento, costruito su un Mi Maggiore che cresce sempre più con l’ausilio di trombe e corni per trovare fine nel devastante e impetuoso finale. La struttura è molto semplice e ripetitiva. Cercare legami con le sinfonie classiche è arduo, anche se in certi frangenti sembra raggiungere un'enfasi positiva che potrebbe rimandare alle maestose sonorità wagneriane.
Il secondo movimento è decisamente più noise, mentre il terzo (diciassette minuti), ancora in Mi maggiore, è un opprimente muro di suono debitore di La Monte Young, probabilmente l’evoluzione naturale di “The Ascension”, che raggiunge una tragicità e un senso di claustrofobia notevoli, in particolare nel finale percussivo, che si trasforma in una discesa agli inferi senza possibilità di salvezza.
Il quarto movimento non è altro che una revisione di “You Got Me”, brano figlio delle prime esperienze giovanili di Branca con i Theoretical Girls. Martellante e ossessivo, con una ripetizione violenta e costante, evolve sino al lungo finale con fiati che riprende il primo movimento.

Sinfonia No.2 - “The Peak Of The Sacred” (1982). Per undici chitarre modificate, basso, grancasse, percussioni metalliche e batteria.
Registrata il 14 maggio 1982 presso la St. Mark's Church di New York, pubblicata nel 1992.



La seconda sinfonia di Branca mette maggiormente a fuoco l’idea di sinfonia post-punk e potrebbe definirsi la sua sinfonia tribale o la sinfonia delle percussioni, costantemente impetuosa e carica di energia. Branca dirà orgogliosamente: "Non c'era una sola vera chitarra nel pezzo, tranne il basso", perché ogni chitarrista vi suona chitarre modificate in modo tale che ognuno potesse suonarne tre contemporaneamente. Le percussioni diventano preponderanti grazie alla collaborazione dell’eccentrico batterista Stefan Weisser (Z’ev) che in quegli anni creava suoni estremi e cacofonici con percussioni in metallo (nel suo album d’esordio “Salts Of Heavy Metal” del 1980 e soprattutto in “Elemental Music“ nel 1981). C’è un’epicità statica che ripercorre tutta la sinfonia, come nel nel primo movimento “Slow Mass” (ventidue minuti) che inizia con una batteria battuta con estrema violenza, per proseguire in un inarrestabile accelerando dall’andamento quasi militaresco che può dirsi un manuale di istruzioni per tanto post-rock futuro.
Il secondo movimento - “Radioactive Poltergeist Kitchen” (diciannove minuti) - è per la prima metà una grande composizione di musica concreta e musica industriale che starebbe benissimo in uno dei primi lavori degli Einstürzende Neubauten, poi con l’arrivo delle chitarre si giunge a una sorta di sinfonia metallurgica dove le note delle chitarre scordate e il caos di rumori metallici in sottofondo si alternano continuamente.
Il terzo movimento - “Melodrama And Nuclear Physics In The Global Theater” (diciotto minuti) - è quello più legato al muro di suono di La Monte Young, tutto giocato su timbri anomali e volumi assordanti. Dal minuto quattordici le percussioni martellanti cambiano radicalmente registro caricandosi di tensione e angoscia. Il quarto movimento, “Sacred Field” (11 minuti), è il più aggressivo e ripete idee già presenti nei movimenti precedenti.

Sinfonia No.3 - Gloria (1983). Per clavicembali modificati, basso, batteria.
Registrata il 16 gennaio 1983 presso l‘Accademia della musica di Brooklyn, pubblicata nel 1983.



La terza sinfonia di Branca rappresenta una doppia svolta: da una parte vira verso un sinfonismo tragico e sontuoso, dall’altro si apre a una versione ambientale tramite l’utilizzo di clavicembali modificati (stavolta non ci sono chitarre) che donano un aspetto quasi sacrale al suo rumorismo. Il primo movimento (22 minuti) è musica ambient tesa allo spasimo almeno sino al minuto quindici, sempre carico di tensione in tonalità maggiore, preludio al crescendo finale in cui la batteria detta i tempi. E’ un’esplosione di suoni tipicamente massimalista che coniuga volontà di potenza e moderne paure. Il secondo movimento (18 minuti) è uno dei più oscuri della sua carriera, un magma sonoro inestricabile di caos primordiale che raggiunge momenti francamente drammatici. E’ probabilmente la sinfonia più matura, almeno sino a questo momento, realizzata da Branca. C’è in queste note una religiosità per uomini laici che il compositore americano non aveva mai ottenuto, come se i mistici Popol Vuh suonassero con un’orchestra di chitarre elettriche.

Sinfonia No.5 - “Describing Planes Of An Expanding Hypersphere" (1984). Per chitarre, clavicembalo modificato, tastiera, violino, basso, batteria.
Registrata a New York nel novembre 1984, pubblicata nel 1995.



La quinta sinfonia segna il ritorno delle chitarre. Stavolta i movimenti sono più brevi e riprendono l’anima post-punk (secondo movimento), tentando la ricerca di sonorità cosmiche, come se i Tangerine Dream abbandonassero i sintetizzatori per le chitarre (primo movimento), trovando anche una via mezzo nel quinto movimento diviso in tre parti. Nonostante ciò, senza il sesto movimento la sinfonia perderebbe gran parte del suo interesse, in quanto Branca racchiude lì la potenza maggiore, con suoni alieni delle chitarre che richiamano tragicamente e magnificamente gli orridi spazi cosmici del compositore Ligeti.

Symphony No.6 - “Devil Choirs At The Gates Of Heaven” (1989). Per dieci chitarre, basso e batteria.
Registrata a New York nel 1989, pubblicata nel 1993.



La sesta sinfonia di Branca è una delle più avventurose del suo catalogo. Branca vi celebra la sua anima no wave portando alla massima evoluzione le intuizioni e le esperienze dei suoi primi anni da musicista, riducendo l’ensemble a solo chitarre (seppur dieci), basso e batteria. A differenza delle precedenti sinfonie, dove la costruzione dei movimenti procedeva lenta ma inesorabile, qui tutto è dato immediatamente, con la batteria che parte subito prepotentemente senza la consueta attesa nell’evoluzione del brano. Questa sorta di band rock rafforzata da un numero anomalo di chitarre ci porta proprio alle radici del rock col primo movimento, sedici minuti tra post-punk e no wave, con un andamento schizofrenico. Anche se i movimenti appaiono più scollegati tra loro ciò non compromette l’elevata potenza del loro impatto.
Dai ritmi martellanti del terzo movimento (un nuovo movimento che dal vivo doveva mettere in serio pericolo la resistenza dei timpani degli ascoltatori) alla ripetitiva fuga new wave del quarto (vicino a certe sonorità di “The Ascension”), alla nuova versione di musica cosmica sinfonica del secondo (un'evoluzione del finale della quinta sinfonia con riferimenti a Ligeti ancora più marcati), tutto rende al massimo le idee di Branca.
Il quinto movimento è ancora una volta il più complesso (sedici minuti). Partendo da una base simile al primo movimento, viene devastato da furiosi muri sonori che fanno da catarsi al cadavere putrescente del rock’n’roll.

Sinfonia No.7 (1989). Per orchestra sinfonica.
Registrata a Graz nel 1989, pubblicata nel 2010.



Nel 1989 Branca tenta una strada che a lui doveva apparire stimolante, ma di certo non comoda. Registra quindi la sua prima sinfonia per orchestra classica, senza alcun utilizzo né di chitarre né di strumenti amplificati. I cinque movimenti mostrano un’ambivalenza chiara tra due delle più grandi influenze del ventesimo secolo. Da una parte quella schiacciante del minimalismo americano di Philip Glass nel primo, secondo e quinto movimento, dall’altra quella della musica da cinema (terzo movimento e quarto movimento), quasi una citazione delle classiche colonne sonore per archi del cinema americano degli anni 50-60.
Il secondo movimento (dodici minuti), dal titolo che ne trasmette le intenzioni (“Freeform”), è il più complesso e ambizioso, un po’ una via di mezzo delle due maggiori influenze. Parte come una giocosa ritenzione che ricorda quasi calligraficamente Glass, per poi assume toni più epici e pomposi sempre con continue ripetizioni post-minimaliste. Se da una parte la settima sinfonia di Branca è apprezzabile per il coraggio del compositore di muoversi in terreni a lui poco congeniali, mostrando una certa versatilità, dall’altro può anche definirsi la meno rappresentativa della sua poetica musicale.

Sinfonie No.8 & 10 - “The Mysteries” (1992,1994). Per il Glenn Branca Ensemble (sestetto chitarra-basso-batteria).
Registrate a New York rispettivamente nel 1992 e 1994, pubblicate nel 1994.



L’ottava e la decima sinfonia, pur registrate in tempi diversi (1992 e 1994), sono una la continuazione dell'altra, conseguentemente sono pubblicate insieme. Con l’ottava sinfonia Branca torna alla potenza estrema delle chitarre, forse raggiungendo i suoi muri di suono più massicci. Se c’è un movimento che può indicare il significato assoluto della parola massimalismo, quello non può che essere il primo movimento (“The Passion”): diciannove minuti incessanti e senza tregua di chitarre che urlano a volume folle le paure di Branca alle prese con la passione del genere umano. E’ potenza assoluta che si celebra e si compiace di se stessa, ma allo stesso tempo diventa un requiem straziante che crolla in un assordante boato senza eguali.
Il secondo movimento (“Spiritual Anarchy”, altri diciannove minuti) è più percussivo, al limite del tribale, ma non si discosta molto dalla massiccia violenza precedente. Di certo l’ottava sinfonia è quella massimalista per eccellenza: l'ascolto dal vivo per i fortunati presenti dovette essere un'esperienza a metà tra il traumatico e il catartico.
Non è da meno la decima sinfonia con accordi di chitarra più acuti e quindi persino più laceranti per i timpani degli ascoltatori. Il primo movimento, "The Final Problem”, ricalca l’ottava sinfonia con chitarre tanto acute da ricordare le sonorità shoegaze, il secondo dal titolo emblematico (“The Horror”) apre a feedback e distorsioni inaudite, aprendo a un vortice sonoro estenuante, in cui le chitarre, più che suonare, sembrano urlare un orrore tangibile sin dalle prime note.

Sinfonia No.9 - “L'eve Future”. Per orchestra sinfonica e coro.
Registrata al Festival delle arti di Berlino il 13 luglio 1993, pubblicata nel 1995.



Giungere a comporre otto sinfonie in dieci anni è già un grande traguardo, ma confrontarsi con il numero nove, numero magico per quello che la nona sinfonia di Beethoven ha rappresentato per l’umanità deve essere a dir poco intimorente. Forse pensando a questo paragone, Branca cambia registro proponendo un'orchestra sinfonica (come nella settima sinfonia), aggiungendo un coro.
Suonata dall'Orchestra Sinfonica Nazionale della Radio Polacca, la sinfonia non è diretta da Branca ma dal direttore d’orchestra Christian Van Borries. Abbandonate le influenze (post)minimaliste di Glass, Branca compone “L’eve Future”, un lunghissimo movimento (quarantasette minuti) che è un enorme esperimento di sinfonia atonale, certamente più personale e matura della settima sinfonia. I lunghi minuti fluttuano costantemente senza mai variare, alla ricerca di un'imminente esplosione di suoni che non arriva mai. Tutto è stasi, senza crescendi o accelerazioni, una novità per Branca che su questi due elementi ha costruito gran parte della sua carriera.
La seconda parte (“Freeform”) è una versione alternativa, seppur molto simile, del movimento omonimo della settima sinfonia.

Sinfonia No.13 - “Hallucination City” (2008). Per cento chitarre.
Registrata il 28 febbraio 2008 all’Auditorium Parco della Musica di Roma, pubblicata nel 2016.


 

Se “The Ascension” è stato il manifesto fondativo di Glenn Branca e del massimalismo, la sinfonia 13 è il suo testamento, nonché il sogno di una vita finalmente realizzato. Passerà alla storia come la Sinfonia delle cento chitarre (in realtà ottanta chitarre e venti bassi) e il destino ha voluto che sia stata l’ultima pubblicata in vita da Branca (la 11, 12, 14, 15 e 16 si pensa verranno pubblicate in tempi successivi). “Hallucination City” non poteva essere testamento migliore per Branca, comprendendo infatti tutte le intuizioni della sua carriera, dalla potenza dei suoni all’andamento di marcia inarrestabile che hanno le sue composizioni più riuscite, superando di slancio persino la sinfonia 8, quello che fino a quel momento sembrava un limite invalicabile.
Il primo movimento ha quindi un titolo programmatico (“March”, diciannove minuti) e nella sua imponenza e variabilità coniuga la scorribande di chitarre di alcuni brani di “The Ascension” al tipico massimalismo branchiano. Movimenti come “Chant” (ventuno minuti), “Drive” e in particolare il finale di “Vengeance” sono invece energia pura, muri sonori che raggiungono vette difficili da immaginare, in pratica una vera aggressione all'ascoltatore. Insomma, il sogno di Branca che si realizza in ogni suo aspetto.

L'ultima sinfonia di Branca è la numero 16, "Orgasm", ancora una volta per cento chitarre, bassi e batteria. Non ancora disponibile su cd, è possibile ascoltarla in parte nei video YouTube della sua esibizione live del 2015 a Parigi.

Glenn Branca è morto prematuramente il 15 maggio 2018 a causa di una neoplasia alla gola. Aveva 69 anni.