Diodato

Ritorno ai live con il vincitore di Sanremo

Ah, che vita meravigliosa

Diodato live a RomaÈ un’estate particolare per gli artisti, quelli per cui lo smart working è complicato e che, fra le tante categorie in sofferenza, per ultimi sono tornati in pista. Ma con cautela, rispettando distanziamenti che, lo sappiamo, sono il contrario di quell’abbraccio che c’è - ideale e non - fra il palco e la platea.
Antonio Diodato ha vissuto davvero un inverno/primavera insolito e irripetibile. Appena vinto un Sanremo con una canzone bellissima e dolceamara, “Fai rumore”, perfetta sintesi fra canzone d’autore e il Festival, si è chiuso tutto. Il rumore e il silenzio, il successo e l’isolamento. Niente tour, niente abbraccio dai fan che lo hanno visto passare nel giro di una notte da seguito di culto a volto popolare, chiuso in casa a Milano a chiedersi, immagino, un perché e un che si fa. Solo un’eccezione, ma clamorosa: il suo “Fai rumore”, urlato nel silenzio assoluto in un’Arena di Verona vuota la notte dell’Eurofestival, una scena laica che per drammaticità e simbolismo evocava quella di Piazza San Pietro altrettanto vuota, solo i gesti le parole e la lenta camminata di Papa Francesco a parlare al mondo. La solitudine del capo, dell’uomo di fede, e dell’artista. “Quel vuoto però non ampliava la solitudine: la raccontavo, ma non mi sono sentito solo. Era una strana sensazione di sospensione, un viaggio temporale. Sentivo la voce che mi tornava indietro, sentivo l’essenza di un luogo che si è riempito di emozioni per migliaia di anni, un altare delle emozioni umane”. E chiude, con humour: “Chi pensava che ci sarei arrivato così presto all’Arena?”.

Nei mesi passati in casa, il ragazzo tarantino “confinato” a Milano ha continuato a fare il suo, scrivere canzoni innanzitutto: “Un’altra estate” arriva quasi subito in scaletta, nuovo singolo inciso “a distanza” con i suoi musicisti (e prodotto sempre da Tommaso Colliva, bel viaggio dal Golfo di La Spezia ai Calibro 35 al Grammy per il lavoro coi Muse, e che è ora richiesto ovunque), riflettendo proprio su quello che a primavera era un miraggio: la spiaggia, “terra di confine che ti insegna a respirare e a confrontarti con la libertà” e il mare, con il suo profumo e la sua energia.“ È stato buio l’inverno/ troppo duro, un inferno/ E così immobile la primavera… Vediamo se questo tempo ci rincuora/ se questa estate ci consola”.
L’estate è arrivata, il breve tour inizia da Roma, dove sobrietà vuole che sul fondale non ci sia il classico e colorato “Auditorium - Estate 2020”, dove i posti sono distanziati (per nuclei), dove ci si può alzare nei momenti clou ma non correre verso il palco, ma dove l’affetto non è interruptus: quando viene chiamato da un microfono girato verso la Cavea il coro parte con una naturalezza sorprendente. E ci si applaude a vicenda, condividendo un momento imprevisto ed epocale. Che un giorno ricorderemo, chissà con quali sensazioni. In molti abbiamo pensato che un’irruzione così potente nelle nostre vite avrebbe dovuto lasciarci con una riflessione sulle traiettorie future per non riprendere uguali a prima, come se la vecchia normalità fosse tornata. Ecco, Antonio è uno che dà la sensazione che sia così: “Ne avevo bisogno, ci tenevo proprio a ricominciare dal vivo, a fare qualcosa di speciale perché se ci facciamo fregare dalla paura il futuro ci farà anch’esso paura”. La parola “abbraccio” ritorna più volte nelle sue parole: “È quello che dà senso al tutto. Scrivi per esigenze personali, quasi un atto egoistico, tiri fuori cose che pensi siano lontane dagli altri, poi ti rendi conto che più vai in profondità per raccontare te stesso, più crei un ponte. E senti tornare le tue canzoni in un modo diverso”.

Diodato non ha ancora familiarità con grandi spazi, ma per l’occasione ha formato una superband, in cui il violino di Rodrigo D’Erasmo e il sax di Beppe Scardino hanno un ruolo che spicca. Due strumenti insoliti per un cantautore in scena, che insieme alla voce di Greta Zuccoli creano atmosfere raffinate e allo stesso tempo forti, d’impatto. Rivestono con gusto canzoni mai banali, in cui c’è sempre un’intuizione che ti porta oltre, parole cesellate che fotografano un pensiero o uno sguardo sul circostante. I suoi inizi sono stati delicati, viene in mente quella versione sussurrata e melanconica di “Amore che vieni amore che vai” di De André, quando reinterpretava in due minuti a Che tempo che fa il nostro canzoniere più nobile. Ma dal vivo la canzone diventa tutt’altra cosa, quasi alla Nick Cave, anche perché quando apre il turbo, la voce è come una Ferrari che raggiunge i 100 in un attimo.

Diodato live a RomaMusicalmente Diodato è un pop d'autore italiano aperto alle sonorità inglesi, Blur e Coldplay sopra tutti. C’è ancora vulnerabilità e gentilezza nel suo porgersi - la sua qualità più evidente - ma ora ci sono anche “i muscoli del capitano” in azione, i pianissimi possono esplodere, sul palco si muove in modo disinvolto: spesso lascia la chitarra e col microfono in mano va da un estremo all’altro, in una canzone scende senza enfasi, quasi bussando, in platea. Il linguaggio del corpo è vivo, si contrae e si libera, rotea su se stesso a braccia aperte, sul twist di “Essere semplice” balla (avete mai visto un cantautore ballare?!). È una sorpresa anche per me, che lo ho ospitato sei anni fa a Ghiaccio Bollente per un set acustico di quelli che ti ipnotizzano, e che lo scorso inverno, in una serata di storytelling sugli anni 70 a Bitonto in una chiesetta sconsacrata, ci aveva deliziato con una serie di cover (“Heroes”, “Across The Universe”, Dalla, Endrigo, ma anche una rarefatta versione di “Wish You Were Here” dei Pink Floyd), dimostrazione di cultura pop e registri diversi dalla comoda comfort zone.
Quella sera interpretò con profondità “Il vino” del nostro poeta maudit, Piero Ciampi, e la cosa mi risale quando interpreta “Un ubriaco”: potente, struggente, tormentata. Lì per lì penso a un’altra cover di Ciampi e invece è sua, e prende alla gola: “Quando la luna spuntò, ero già un fiasco di vino/ E non mi accorsi che era un angelo che chiedeva aiuto/ Ma ero ubriaco, ubriaco/ Ubriaco di me”. Lì il concerto decolla, alternando intimità e grandi melodie, ospitando Dotan (con cui, dopo una “No Words” ascoltata alla radio, è diventato amico per sms) sul suo hit e condividendo poi “Perfect Day” di Lou Reed. “Out Of Time” dei Blur a doppia voce con Greta (anche lei ascoltata in radio e poi contattata su Instagram) è veramente bella, e dopo è tutto in discesa, fino al “Ciao, ci vediamo” che chiude, musicisti che se ne vanno uno alla volta fino a lasciarlo solo a godersi un applauso lunghissimo.

Ora il momento è arrivato e la crescita è stata, fortunatamente per tutti, organica, come una pianta che ha richiesto il suo tempo, acqua e dedizione per crescere: “Ho sempre pensato di fare un passo alla volta, questo è un lavoro che ho scelto per la vita, avrei continuato comunque, anche da solo con una chitarra e venti persone davanti. La percezione del cambiamento ce l’ho adesso che vedo ingrandirsi la mia squadra, il furgone più grosso e nuovi musicisti che posso permettermi. Però sul palco mi sento ancora fra amici, anche se sono di più e magari qualcuno della prima ora deve rinunciare a quella sensazione di esclusività che hai con un cantante ancora non famoso. Ma io non sento il distacco” e, scherzando sul paragone, “non sento ‘The Wall’ (citazione floydiana) fra me e la platea, non vedo un cambiamento radicale, ma lento, graduale. Un’accelerazione senza distorsione”.

Una vita meravigliosa” davvero, come l’ultima canzone in questa notte discreta e affettuosa, in lyp-sync a braccia spalancate come un altro pugliese, Mimmo Modugno, in quel Festival del ’59, portato sull’onda del coro che arriva forte dalla platea: “Ah, che vita meravigliosa/ Questa vita dolorosa, seducente, miracolosa/ Vita che mi spingi in mezzo al mare/ Mi fai piangere e ballare, come un pazzo insieme a te”.
Arrivare tardi e in punta di piedi, a volte, è arrivare meglio. “Make some noise!”, dicono i rapper americani quando vogliono eccitare la folla. “Fai rumore”, traduzione letterale, nasce con tutt’altri intenti ma, credetemi, questo ragazzo adulto e consapevole è destinato a farne tanto, di rumore, nella canzone italiana.
Estate 2020, what next?