Le migliori canzoni del 2020

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Senza pretese di completismo, ma neanche quella di dare voce in toto alle classifiche della redazione, abbiamo pensato di farvi ascoltare le playlist che meglio rappresentano l'"anno musicale" di ciascuno. Le canzoni che hanno spiccato all'interno di un certo genere, le canzoni-simbolo degli artisti-rivelazione o delle grandi conferme - o, più semplicemente, le canzoni che hanno significato qualcosa per noi che le abbiamo ascoltate.

Tommaso Benelli




Non sto impazzendo, sto solo sostenendo che la migliore canzone indie-rock italiana da anni a questa parte sia opera di un gruppo trap, e ne sono a tal punto convinto che l'ho scelta come canzone d'apertura di questa playlist confusissima e, probabilmente, mal riuscita. Sta di fatto che dentro ci sono alcune delle cose più belle che ho sentito quest'anno, ma per davvero, e che ho pescato un po' ovunque dallo spettro dell'ascoltabile - dal rock, dal pop, dal rap, dal reggaeton (solo una), dalla dance, ecc. A un certo punto ho messo anche una canzone di Sharon Van Etten che è uscita all'improvviso e non ha fatto molto rumore, ma si sa che c'è sempre bisogno di un po' di Sharon Van Etten in questa vita.

Gabriele Benzing



Le strade deserte, il silenzio irreale. In quanti film post-apocalittici le avevamo già viste? La realtà, invece, ci si è rivelata con un altro volto: la dissolvenza del genere umano, come in una pagina di Guido Morselli. Nelle cuffie, il sussurro di Matt Elliott suona come un monito: “Farewell To All We Know”, elegia per l’avvento di un tempo di incertezza.
Se c’è una colonna sonora naturale per il confinamento, però, è la bassa fedeltà. Il fai da te casalingo dei reclusi, la specialità dei Mountain Goats. Dopo vent’anni, John Darnielle ha colto l’occasione per riprendere in mano il vecchio registratore a cassette. E per a ripeterci con i suoi nastri della quarantena che ce la faremo ad arrivare in fondo anche a quest’anno.
Il fatto è che, alla fine del 2020, ci ritroviamo più soli che mai. Bill Callahan lo confessa con il suo baritono colloquiale: cerchiamo sempre di nasconderci dagli altri. Ci vorrebbe anche per noi un vicino come il vecchio Jack di “The Mackenzies”, qualcuno disposto a lasciarci entrare nella sua casa e nella sua vita. Qualcuno che ci faccia sentire di nuovo tutti parte della stessa famiglia: “And I wished that Jack would call me son again”.


Paolo Ciro



Mentre preparavo il personale resoconto musicale di questo accecante e mortifero 2020, mi sono domandato se i dischi che hanno ipotecato i miei ascolti, legati alle mille sfaccettature soul/jazz/afrobeat di una black music tornata militante e alla lunga, eterna, scia della ormai ventennale "nuova" scena post-punk, avessero un riscontro oggettivo negli eventi di questi mesi.
Se nel primo caso (Sault, Moses Boyd, Keleketla!, Shabaka Hutchings, Irreversible Entanglements, Makaya McCraven, Jeff Parker) era piuttosto facile osservare una più o meno velata risposta alle politiche contemporanee di discriminazione razziale americana e mondiale, con il "nuovo" post-punk (Protomartyr, Fontaines D.C., Idles, Porridge Radio) le cose si facevano più complicate, perché si poneva come di consueto il tema di un'assenza di specificità temporale.
Vero, il mio background adolescenziale guardava sicuramente in quella direzione, ma alla fine c'era qualcosa di più importante della semplice nostalgia in quelle chitarre nervose e in quelle voci burberamente insofferenti, qualcosa di spasmodicamente contemporaneo, perfetto per descrivere anche l'isteria figlia di una pandemia globale.
In mezzo a queste due correnti principali, nella Top 10 dei miei ascolti navigavano però placidi anche due rappresentanti piuttosto antitetici del cantautorato, quello tradizionalmente rootsy e primigenio di Bob Dylan (convincente come non accadeva da tempo), e quello poeticamente glitter-rock di Lucio Corsi.
Il consumato realismo del decano di tutti i cantastorie opposto alla fantasia come bene-rifugio del folletto maremmano.
Dal mio punto di vista, niente di meglio per tenere i piedi per terra in uno dei periodi più terribilmente sospesi per aria del nuovo millennio appena iniziato.


Michele Corrado

 

Tanti sono i generi musicali, le scene, globali e nazionali, che oggi è possibile seguire e tanti sono i tesori che ciascuno di questi ambiti serba, che ogni anno licenziare una playlist che sia concisa e soddisfacente diventa più difficile. L’unico modo per affrontare una missione del genere è imporsi regole stringenti. Nel mio caso, altrimenti non la finivo più, mi sono detto “okay Michele, 20 canzoni, 20 soltanto”. È nata così una prima infilata di brani scostante e disinibita, che se ne frega di generi e paletti, unita solo dalla bellezza e dalla "appiccicosità" dei brani; che difatti sono quelli che ho più ascoltato in questo anno di ascolti compulsivi e voraci e che certamente mi porterò dietro.
Non disperate però. Ho pensato anche a un Lato B della playlist: altrettanti brani, ma meno immediati, dagli sviluppi più lunghi e tortuosi, dai suoni in taluni casi meno accessibili. Anche qui la versatilità è la parola d’ordine, si passa difatti da spaziali partiture di jazz-rock cinese a spettrali visioni ambient dal Brasile, senza dimenticare però una capatina in anfratti post-metal o psych-stoner, in Finlandia e in Polonia. E tanto, tantissimo altro. Buon divertimento.


Valerio D'Onofrio



Marco De Baptistis




Una playlist fuori dal coro per accompagnare quello che è stato definito da qualcuno un "annus horribilis in decade malefica". Ecco le novità dal lato oscuro: dal "Kali Yuga Über Alles" di Rome al black metal di Paysage d'Hiver ("Im Winterwald"), passando per il folk nordico di Forndom ("Jakten") e Myrkur ("Leaves of Yggdrasil"). Abbiamo scalato le montagne norvegesi ascoltando l'affascinate brano dei Wardruna, "Lyfjaberg (Healing-mountain)" e ci siamo tuffati nel neofolk non conforme di artisti come Ostara e Orplid, senza dimenticare l'ottimo ritorno dell'americano Blood and Sun che con un brano come "Madrone" ci ha fatto sognare ancora la mitologia di un'America profonda che risuona di mistero e di antiche leggende. Tra i vari ascolti un posto particolare spetta al war metal estremo dei canadesi Revenge che con un brano come "Salvation Smothered (Genocide Of Flock)" segnano ferocemente questo 2020.


Giuliano Delli Paoli




“And if we're running towards a place, where we'll walk as one. Will the hardness of this life, be overcome?” canta Brandon Flowers in “Running Towards A Place”. Un monito, un grido di speranza, o più semplicemente un'altra motivazione con cui esorcizzare gli umori di un'annata complessa, difficile, indicibile. Il 2020 ha le fattezze di una cicatrice. Nell’annata più mesta, la musica è quindi crocerossina di uno stato d’animo costantemente agitato. Del resto, "le canzoni ti salvano la vita", come direbbe "qualcuno". Il 2020 è dunque dominato da cavalcate come quella dei ritrovati Killers, ascese futuristiche (James Blake), progressioni afro (Les Amazones d'Afrique), evoluzioni elettroniche (A.G. Cook), ballate pastorali (Agnes Obel), miracoli pop (Troye Sivan), ballate lunari (Thundercat), nenie per un jazz migliore (Moses Sumney), foto sbiadite sul comodino (Lana Del Rey) e indimenticabili amplessi mainstream (Weeknd).

Claudio Fabretti




È stato l'anno delle grandi uscite in campo black - dai Sault a Moses Boyd passando per The Weeeknd - ma anche della riscossa dance (nonostante le discoteche chiuse), come testimoniano i due bei dischi di Roisin Murphy e Jessie Ware. Un anno tuttavia difficile, angoscioso, come le canzoni della Agnes Obel di "Myopia" e del King Krule di "Man Alive!", o come le partiture desolate della Sofja Nomik di "Anomi". Eppure, non sono mancati raggi di pura luminosità pop a rischiarare l'orizzonte: dal formidabile ritorno di Erin Moran sotto l'insegna A Girl Called Eddy alle variopinte cromature etniche dei Khruangbin. E se il nuovo post-punk dei varie Fontaines D.C. e Protomartyr invade le classifiche della redazione, a me piace soprattutto ricordare gli strepitosi ritorni di maestri originari del genere come X e Psychedelic Furs. E a proposito di ritorni, dopo 13 anni di silenzio, Maria McKee riesce a emozionarci ancora. Tutto questo e molto di più in una playlist di fine anno, come al solito, all'insegna della varietà di generi e gusti.

Stefano Fiori



In un anno come quello appena trascorso la malinconia non poteva che farla da padrona; che fosse a tinte electro e glaciali (Woodkid e Sufjan Stevens), fumose e r’n’b (The Weeknd e Joji) o acustiche e rassicuranti (Troye Sivan e Jessie Reyez) è stata comunque una costante. Anche quando i ritmi si sono fatti paradossalmente più sostenuti, la patina nostalgica li ha resi eleganti e mai dozzinali (Jessie Ware, Róisín Murphy e Christine And The Queens) o, per reazione, visceralmente propulsivi (Perfume Genius, Fiona Apple e Nadine Shah).

Fabio Guastalla



Vassilios Karagiannis



Piuttosto che optare per una selezione dei migliori pezzi tratti dagli album che rientrano nella mia classifica 2020, ho deciso di stilare una playlist incentrata su uno dei generi che hanno realmente contraddistinto l'annata passata, nel bene e nel male indimenticabile. Il k-pop, con la sua freschezza, la sua grinta elettrica, i suoi ritornelli d'acciaio, mi ha accompagnato pressoché ogni giorno dell'anno, fornendomi momenti di puro escapismo. Dall'epica pop-metal delle Dreamcatcher alla follia compositiva delle WJSN (Cosmic Girls), dalle pieghe future-house di "Stay Tonight" di Chungha (il brano coreano dell'anno) alle fattezze synthwave di una stella indie quale Eyedi, quanto di meglio ha saputo fornire la Corea in materia di pop durante l'anno. In coda, 5 pezzi v-pop: perché il Vietnam è il futuro e la sua scena è tutt'altro che povera. 

Claudio Lancia



Un anno trascorso per gran parte in isolamento. Niente concerti, niente Festival, ma tanto tempo a disposizione per ascoltare in modalità casalinga ancor più musica del solito. Un anno costellato da dischi jazz belli e importanti, che stanno contribuendo a ridefinire un genere. Un anno che ha visto sugli scudi il movimento black, specie dopo i fattacci di Minneapolis; un anno con numerose validissime proposte in ambito electro, nonostante la chiusura di qualsiasi spazio per ballare. Un anno con dischi dal vivo, utili a lenire la nostalgia dei grandi eventi; un anno che conferma la strategia commerciale di puntare su reissue e deluxe edition sempre più ricche, per rilanciare i classici del passato.
Ma alla fine dei conti, ciò che più mi ha entusiasmato sono state le care vecchie chitarre, in grado di assicurarmi la colonna sonora più idonea a contrastare questi mesi complicati, quasi avessi bisogno di un supporto confortevolmente familiare per alleviare il malessere accumulato. Energia liberatoria, che ha visto come portabandiera una triade composta da Fontaines D.C., Idles e Protomartyr. Nella mia playlist ho selezionato venti canzoni (più una bonus track) estratte da alcuni degli album che ho ascoltato di più durante questo maledetto 2020. L'anno è da dimenticare, ma la musica che ha prodotto no. Buon ascolto, e Buon Anno a tutti voi...

Alessandro Mattedi



La mia playlist come al solito dà rappresentanza a generi diversi nella selezione delle singole canzoni che più mi hanno catturato durante l'anno, stavolta con qualche predilezione pop-oriented. In cima a tutto piazzerei il singolo "Hypnotized", salito alla ribalta nella tarda estate, e il remake di "Mad About You" degli Hooverphonic, uscito a sorpresa a novembre in concomitanza con l'annuncio del rientro della cantante storica Geike Arnaert. Album già recensiti tra quelli rappresentati: Clan of XymoxAnnalisaThe Weeknd10 YearsGarmarnaNothingAmarantheFantastic NegritoJessie WareTriangulo de Amor BizarroPuscifer.

Daniel Moor




Francesco Nunziata



Cristiano Orlando

 

Il 2020, un anno che verrà ricordato per sempre. Il 20 ripetuto due volte, il numero che rappresenta il periodo che precede quello del vero completamento e che richiede grande pazienza e attesa. Il numero che rappresenta nella numerologia la dualità, l’inferno o il paradiso. Paura, speranza e un ritorno obbligato alla ricerca delle cose più semplici, quelle più vere. Un intero universo annientato e messo in evidente difficoltà. Così è stato per me. Il 2020 ha regalato grandi dischi, diversi, oscuri, riflessivi anche nella loro sfaccettatura più slanciata e spensierata, ma lo ha fatto andando sempre nel profondo del sentimento. La playlist coinvolge un po' tutto questo scenario e ricollegandomi a quanto citato in apertura, sono tutte canzoni che non potrò mai dimenticare perché saranno sempre legate a momenti vissuti con fortissima intensità.


Francesco Pandini



"We see you. We love you. Stay beautiful."
(Damon Locks)

Damiano Pandolfini



Hanno iniziato loro: Elettra LamborghiniM¥SS KETA, le due Oche Onorarie del 2020 che hanno trattato il palco dell'Ariston come la ghiaia nel parcheggio della sagra del tortello. Trash? A palate. Ma è anche stato il momento più gioiosamente scanzonato di un anno zeppo di pesanti strascichi emotivi, quindi non si può che dire: grazie davvero di cuore, ragazze. Anche Zebra Katz ha dato tanto alla causa del trash talking quest'anno, soprattutto quando in coppia con Shygirl, ovvero la più pertinente problem solving bitch attualmente in circolo. Un grazie anche a Populous & Emmanuelle per gli oltre otto minuti di "Flores no mar", diafana e stilosissima colonna sonora di un'estate nata troncata. Da lì in poi, dramma e nostalgia: l'intensissimo MorMor, la decadenza adolescenziale di 070 Shake, un drammatico Mahmood. Speranze per 2021 migliore riposte nelle voci sempre impossibilmente cool di Jorja Smith e Sabrina Claudio.


Roberto Rizzo



Dall'ennesima primavera creativa di Jon Hassell, il cui realismo magico è ora quantomai ritornato in auge, al beat secco e senza preliminari di Omar S, ormai un'istituzione dell'house "profonda", la mia playlist è come al solito non intesa come una lista di canzoni ma come una selezione-flusso da ascoltare in sequenza. Nel trip ho incluso alcune tra le sonorità contemporanee più interessanti, alcune già note come il denso percorso di Elysia Crampton o il ritorno in pista dell'enigmatico Actress, altre decisamente meno evidenziate, che sia il gqom semi-industriale del collettivo Mafia Boyz/Citizen Boy o i rimandi noise-arabeggianti di Maral, tra Muslimgauze e Cabaret Voltaire. Senza dimenticare il groove, con l'ultimo colpo di classe di una Roisin Murphy in stato di grazia e le nuove frontiere dell'house newyorkese condensate nel progetto AceMoMa.


Federico Romagnoli




Ho scelto brani che non fanno parte degli album inseriti nella mia personale top 10 (consultabile nella pagina della classifica di OndaRock, in cui è confluita). Così facendo, ho puntato l'attenzione su artisti che nel corso dell'anno hanno pubblicato solo singoli, o che non ho approfondito a tal punto da metterli nella lista degli album, o ancora che ho scoperto troppo tardi, come nel caso dei due brani datati dicembre.

Mac Miller - Woods (Stati Uniti, 17 gennaio)
Madrigal - Seni Dert Etmeler (Turchia, 26 marzo)
Emman - Kung Pwede Lang (Filippine, 5 aprile)
Hua Chenyu - Dou niu (Cina, 8 aprile)
Mantra Vutura & Hindia - Percakapan Pt. I (Indonesia, 7 maggio) 
Bar Tzabary - Johnny (Israele, 3 luglio)
Çağatay Akman - Bul Beni Çıkar Bu Çukurdan (Turchia, 11 settembre)
Mabel Matiz - Toy (Turchia, 15 ottobre)
Dino Brandão, Faber & Sophie Hunger - Derfi di hebe (Svizzera, 11 dicembre)
Omnipotent Youth Society - Hebei Mo Qilin (Cina, 22 dicembre) 

Gioele Sforza




Il 2020, complice l’infinita quantità di tempo spesa a casa, è stato l’anno che mi ha riportato ad avere un rapporto con la musica intimo e diretto come da un po’ non mi succedeva. Lo smart working è stato il contesto ideale per ascoltare ore e ore di album e playlist, che nelle lunghe giornate di lockdown erano l’unico modo per evadere, mentalmente se non altro, da quel grigiore monotono. E’ stato l’anno in cui ogni giorno spulciavo per puro piacere classifiche e playlist da altre nazioni, mosso da una viva curiosità di scoprire cose nuove, trovando grandi canzoni nella scena polacca (Mata ha realizzato il mio disco dell’anno), turca (con una scena di pop-rock atmosferico di gran livello, rappresentata qui dai Madrigal), ma anche russa e giapponese. E’ stato anche l’anno in cui la vaporwave e la synthwave mi hanno creato un immaginario inedito, che ho ritrovato poi in forme nuove nei dischi di Sewerslvt e The Weeknd. In Bad Bunny ho trovato il modo di immaginare feste non fatte durante l’anno, mentre Troye Sivan e Emman (R.I.P.) hanno reso in modo perfetto il mood umbratile da quarantena. La mia playlist vuole offrire un bignami delle mie scoperte più felici, in un anno che, chiudendoci al mondo esterno, ci ha forse fatto scoprire un universo interiore che non conoscevamo.


Marco Sgrignoli



Ho pensato a questa playlist come un flusso, un viaggio di un'oretta in cui stili e suoni scorrono l'uno nell'altro e gradualmente conducono in territori diversi — quelli che più hanno caratterizzato le mie esplorazioni musicali quest'anno. Il nu jazz (presente con Richard SpavenOtis SandsjöLunch Money Life), le nuove direzioni del folk tradizionale e dei suoni world (Stick in the WheelClap! Clap!Cosmo Sheldrake), l'elettronica astratta dagli influssi deconstructed club (Arrsalendo, Charli XCX). Non mancano però riferimenti incrociati e frequenti intrecci con approcci progressivi: su tutti, il jazz-rock funambolico dell'armeno Tigran Hamasyan o quello quasi folktronico del francese Chassol, ma anche l'avant-prog dei Watchdog o l'eclettica Idm "da camera" di Chapelier Fou, sfruttata come preludio per la conclusiva e urbanissima "From The Mouth", dall'album-capolavoro dei Melt Yourself Down uscito quest'anno. 


Maria Teresa Soldani



Massimiliano Speri



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