Antonio Puglia

Antonio Puglia - Depeche Mode, Touch Faith

Autore: Antonio Puglia
Titolo: Depeche Mode - Touch Faith. Testi commentati
Editore: Arcana
Pagine: 506
Prezzo: Euro 19,50

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Due sono gli approcci normalmente utilizzati per descrivere un fenomeno musicale di massa. Uno, in particolare, torna molto utile per vendere libri: analisi critica come accessorio quando non assente, ampio ricorso all'aneddotica spiccia, gossip ove possibile, forte propensione a lisciare il pelo del lettore. Insomma, tutto il necessaire  per garantire la riuscita di quello che è il corrispondente editoriale del cibo precotto. Roba che  bastano cinque minuti nel microonde per masticare esattamente quanto è raffigurato sull'involucro ma - questo è il comune denominatore fra  Beatles e Stones, Vasco e Liga, Britney e Gaga - con quel  gusto vagamente plasticoso che accomuna le tagliatelle al minestrone, il merluzzo all'abbacchio, lo spezzatino alle crocchette di patate.

Poi ce n'è un altro che non si pone l'obiettivo di finire in libreria, ma che spopola su riviste specializzate e, soprattutto, nel web. Che consiste nella preventiva lucidatura del piedistallo grazie a premesse di carattere sociologico, quando non antropologico, e nel successivo atto di montarvici sopra con imperiosa sicumera, per compiere la meritevole operazione di divisione fra ciò che è Bene (l'Arte-sopra-a-tutto), e ciò che è Male (la prostituzione intellettuale, la mercificazione, la musica venduta come un qualsiasi detersivo per i piatti ecc.). E per additare la mai abbastanza biasimata muzak per ascensori e doccia.

Succede invece che ogni tanto ci si smarchi dallo sterile bisticcio dialettico, che si riesca a prendere la giusta distanza fra la propensione a genuflettersi sull'inginocchiatoio del fan club e quella di dispensare non richieste e molto presunte verità, spesso contagiate dal virus subdolo dato dal pregiudizio. Succede che "Touch Faith" rientri in quest'ultima categoria.
Certo, non possiamo dirci sorpresi della circostanza allorché l’autore è Antonio Puglia, giornalista musicale da diversi anni tra le firme di riferimento per chi è incline a una visione laica del pop, quella che non si perde in troppi distinguo fra ciò che è politically correct e cosa no, ma che non vuole comunque rinunciare a una prospettiva critica autorevole e coerente. 
Non possiamo nemmeno affermare che il nostro si sia scelto un compito agevole. Passi se il focus fosse una generica biografia sui Depeche Mode - stiamo parlando di una delle band più famose del globo e di carne al fuoco ce ne sarebbe a iosa - ma quello del testo è un terreno scivoloso, dal momento che il cuore della band inglese pulsa forte sul colpo vincente, sul ritornello che si appiccica, su un irresistibile appeal stilistico di cui la componente testuale non è certo l'elemento portante. E anche quando lo diventa nelle intenzioni, non viene percepito come tale dalla gran parte dei fruitori. Insomma, alla voce parole non è esattamente come occuparsi di Leonard Cohen o di Bob Dylan.

Soltanto che Puglia ne è consapevole, così le liriche diventano il deltaplano per volarvici sopra, per attraversarle, e attraverso le parole disegnare l'identikit dei protagonisti. Non solo, anzi molto altro. Perché dietro alle arcinote icone degli eroi pop (finalmente anche quella di un Vince Clarke restituito alla luce di nobile alchimista delle note) vengono fuori gli imprescindibili contesti entro cui si svolge la storia. Perché in fin dei conti di storia si tratta, dai circospetti e al contempo sfrontati esordi - col  poco voluto dualismo Clarke-Gore che mai si sarebbe immaginato veder pendere dalla parte di quest'ultimo - fino alla perfetta consacrazione di "Personal Jesus" e "Enjoy The Silence", il cui commento dell'autore è delegato al solo titolo della canzone che, futuristicamente, si prende tre pagine bianche (!) del libro (ma attenzione alla ghost track in coda). 
Ma poi anche chiamare le ingenuità di talune liriche col loro nome, senza gettare con l'acqua sporca il bambino (leggasi le canzoni) e, udite, trattare gli anni 80 senza cadere nella tremenda e ormai insopportabile dicotomia fra periodo in cui tutto era possibile ed epoca spregiativamente di plastica, che da sempre attiene a qualsiasi argomento riconducibile a quel decennio. 

E dire che l'impianto narrativo esporrebbe al rischio di uscire dal seminato, di eludere il tema che rimane comunque l’analisi del testo. Però la divagazione - se presente - si preoccupa soprattutto di riannodare i fili entro cui avvengono i mutamenti semantici nella band britannica. Quali sono i motivi che segnano il passaggio dalle strofe in troppi casi cuore/amore di "Speak And Spell" e "A Broken Frame" a quelle socialmente impegnate di "Construction Time Again"? Come mai Gore e soci, pur mantenendo dritta la barra di una neonata e inattesa attenzione al sociale, rifiutano la facile deriva militante? Dove e perché nasce la parziale correzione di rotta in chiave nichilista del successivo "Some Great Reward" che declina nell'umbratile esistenzialismo di "Black Celebration"? Si potrebbe continuare, di movimento in movimento, sino alle fasi cruciali della "perfezione più dolce" e intimista di "Violator", che prepara il campo al tormentato misticismo di "Songs Of Faith And Devotion".  Ma le risposte le troverete tutte, attraversando tesi e riscontri. E miriadi di intrecci che, pur non rinunciando a informare, tengono ben desto l'interesse.

Una storia, si diceva, ma lunga trent'anni. E' per questo che "Touch Faith" finisce col rivelarsi una sorta di romanzo di formazione. Il cantante teenager che diventa tossico e si salva per il rotto della cuffia, il tastierista monosillabico che negli anni trasmuta nell'uomo che chiede pubblicamente perdono ai figli per il dolore causato dal suo divorzio sono vicende di individui di cui siamo abituati a cogliere il lato ludico o, nella migliore delle ipotesi, quello emotivo. Se conservate quel po' di sana curiosità utile per andare oltre, ecco il minuzioso compendio che fa per voi.
 
(12/10/2011)
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