Michael Jackson - Thriller

Quarant'anni mozzafiato

Da “Starlight” a “Thriller”: a quarant’anni dall’uscita del disco più venduto della storia, gli arcani restituiscono un sorriso ancora più grande, e non si può fare altro che ringraziare quel genio di Quincy Jones. La sua lungimiranza, portata avanti tra nomignoli, marchette e pacche sulla spalla, fu decisiva per Rob Temperton, disperso a poche ore dal lancio come una boa in mare aperto che ha smarrito la corda, in balia del titolo perfetto che rimbalzasse in eterno come un passetto di Michael. Prima di venirne a capo con “Thriller”, al buon Rob mancava infatti il quid definitivo che gli consentisse di lanciare nel cestino le sciatterie della prima ora, tutte poco in linea con la grandezza dell'album, con il suo sentimento, la sua stessa "pelle". A cominciare da "Midnight Man", che suonava ancora peggio di “Starlight”, il quale, sia detto di passata, sembrava comunque uscito da un camerino dello Studio 54 e finiva per restituire alle orecchie attente di Jones anche la percezione del ripiego a buon mercato. “La mattina dopo mi sono svegliato con questa parola in testa - dichiarò Temperton - e ho immaginato tutto: dalle classifiche di Billboard al merchandising”.

 

Di questa e altre curiosità la storia della genesi di “Thriller”, celebrato per l'occasione con una versione deluxe in cui non mancano le solite b-side, ne è piena. E non potrebbe essere altrimenti: i miracoli non avvengono quasi mai per caso. “Thriller” però sovrasta il prodigio, supera a destra il divino con un moonwalk andante moderato e il Fedora inclinato. “Thriller” è un oggetto alieno nel cielo che continua a brillare di luce propria, sfuggendo alle leggi della fisica e anche a qualcos'altro. Perché il ghigno spettrale di Vincent Price aleggia ancora sulle notti di Halloween. E la mistica di Van Halen è sempre lì, sospesa sulle corde elettriche del tempo. Mentre gli abbracci scambiati con Paul, Steve e Greg risplendono in eterno dalle cornici appese sui muri dello studio A dei Westlake Audio in Beverly Boulevard a Hollywood. Amplessi sinceri che con Manu Dibango nascono musica e vertono all’ancestrale attraverso un campione di “Soul Makossa”, marchiato come una cartolina da spedire alle prossime duemila generazioni in “Wanna Be Startin' Somethin'”. E si potrebbe continuare così, per ore e ore, ad esempio eccitandosi all’infinito con il basso di Louis Johnson che ci proietta sulle vetrine degli anni 80.

 


Quarant'anni dopo dai milioni si è passati ai miliardi. Asticelle che per quanto virtuali spaventerebbero parecchi spettri, di certo non il fantasma di Jackson che, tra una comparsa e l'altra, marcia e racimola oltre un miliardo sul tubo con la sola “Billie Jean”.
Al netto di tutta la tecnologia del mondo, gli album, va da sé, non si scartocciano certamente con un clic. E recarsi in un negozio di dischi, per quanto sempre più rari, non è esattamente fare scrolling. C’è una proporzione all’orizzonte fisiologica, che si staglia lungo tutta la linea. Che intasa il panorama, la vista, l’udito, gli altri sensi fino a formare un'onda. Quella di “Thriller” è peraltro la più grande di tutta la costa oceanica e di tutti i mari del mondo; si infrange ovunque, dividendosi a sua volta in altre centocinquantadue ondine, come i sample utilizzati da una pletora di musicisti nel corso degli anni. Altri quarantotto campionamenti e si arriverebbe a duecento, quanti i demo che Jackson spiattellò nel salotto di Quincy prima di afferrare il setaccio.

 

Insomma quarant’anni dopo si è detta praticamente ogni cosa. Sul conto di Jacko e sui numeri del capolavoro. Sull'uomo e sul talento. Sulla vita e sulla musica. Il mito intanto prova a riemergere tra il male e il bene, tra un documentario di denuncia e un altro di famiglia. Di eredi, in musica s’intende, nemmeno l’ombra. Che sia al Superbowl o in un’arena qualunque, nessuno ha ancora avuto il coraggio di salire sul palco indossando sia i panni di Fred Astaire che quelli di James Brown. Quarant’anni dopo “Thriller” resta quindi l’oltre-disco. L’opera indiscutibile. Non c’è fenomeno che tenga, appunto, il passo. Non c'è rivalsa digitale o liquida che possa intaccarne il peso. Il cambiamento ammutolisce e gira i tacchi: “Thriller” è la perfezione. "Lo show super lucido" stampato per sempre nei cuori di miliardi di persone, per usare la risposta di Jennifer Batten a una mia domanda. Proprio lei che era e resterà nell'immaginario di tanti fan l'estensione a mo' di chitarra di Michael sul palco durante i suoi tour mondiali, come amava definirla lui stesso.
“Thriller” elude il boomerismo, irride chi contempla le lancette con lo sguardo inchiodato al muro, chi ha ancora il coraggio di rimanere immobile sull’entrata in scena del Re del Pop. Più che un album, “Thriller” è l'avvento di una dimensione immanente, dove tutto è possibile. Anche convincere la paura a darci un taglio e ballare per sempre. In giro, con gli zombie, mentre il mondo ulula con Michael. Ieri, oggi e domani.