Talk Talk

The Party's Over

Sui Talk Talk sono state scritte e dette migliaia di parole e pensieri: dagli storici evergreen inseriti nell’album “It’s My Life” alle complesse armonie che iniziarono a fare capolino nel sontuoso “The Colour Of Spring”, per non parlare dei tomi e dei fiumi di pagine web che si sono occupate di decifrare ogni anfratto del dittico composto da “Spirits Of Eden” e “Laughing Stock”, autentici capisaldi che, insieme all’omonimo di Mark Hollis, crearono importanti fondamenta per quello che fu poi identificato come genere post-rock.
In pochi, forse pochissimi, si sono occupati invece di dare il giusto spazio alla prima pagina ufficiale della loro storia, l’album “The Party’s Over”, che ebbe il fondamentale compito di segnare il loro esordio sulla scena synth-pop e new romantic dei primi anni Ottanta.
Il modo migliore per recuperare questo gap viene proposto dall’anniversario che proprio in questi giorni invita a spegnere la quarantesima candelina della sua storia, ricorrenza festeggiata dalla Parlophone con la riproposizione sulle piattaforme digitali di alcuni brani in versione rimasterizzata e con la ripubblicazione del vinile in svariate colorazioni.

 

Nonostante fosse un elaborato dalla spiccata sensibilità synth-pop, tra l’altro prodotto parzialmente proprio da quel Colin Thurston che segnò le prime glorie dei Duran Duran, l'album di debutto dei Talk Talk si connota di un'onestà e una profondità lirica rivelatesi quasi assenti nella maggior parte dei dischi in circolazione in quel periodo.
Al tempo i Talk Talk erano configurati in quartetto che oltre a Mark Hollis alla voce e pianoforte, Paul Webb al basso e Lee Harris alla batteria, comprendeva anche il tastierista e fondatore Simon Brenner, uscito dalla band poco dopo la pubblicazione dell’album per divergenze con Hollis sulla direzione stilistica da intraprendere - più conservatrice quella di Brenner, più sofisticata e sperimentale quella di Hollis, che, come noto, vincerà questa sfida.
Il tastierista, prima di lasciare il gruppo, fu però autore sempre insieme a Hollis di un’ultima gemma lasciata ai posteri, la splendida “My Foolish Friend” (1983) che non fu mai inserita in un album ufficiale (se non in raccolte successive) ma che diventò una dei brani più amati dai fan e dallo stesso Hollis, che ha sempre visto con occhio sinistro il repertorio di questa iniziale fase artistica.

"The Party's Over" si mostra una stuzzicante raccolta di brani al prelibato gusto di sintetizzatore, corroborata dalla tonante batteria Simmons, dal suono del basso fretless, scevra delle vibrazioni provenienti dalla chitarra e assolutamente figlia del sound tipico dell’epoca nella quale è stata concepita.
In questo contesto, il brano “Talk Talk” si palesa come l’ideale cartina di tornasole. Una canzone sofisticata, illuminata, intensa, il cui embrione nacque nel lontano 1977, quando i Talk Talk si chiamavano ancora Reaction, un duo punk composto dallo stesso Mark e dal fratello Ed, tra l’altro coautore del pezzo.
Sebbene abbia fallito la scalata al successo nel suo primo rilascio come singolo avvenuto nell'aprile 1982 (52° posto nelle chart inglesi), il brano si è poi conquistato un congruo successo qualche mese più tardi, grazie a un remix ideato da Rhett Davies, il produttore dei Roxy Music, che ne ha innalzato e potenziato le linee melodiche, portandolo a raggiungere la ben più decorosa 23° posizione delle classifiche di vendita.
“Talk Talk” possiede un'angoscia e una frustrazione latente, rivolta all’allerta sui pericoli che cercavano d’irrompere per modificare in modo incontrovertibile la società di quegli anni e che trova nell’inconfondibile voce nasale di Hollis, potente e allo stesso tempo vellutata, il canale fluttuante per entrare nei meandri di una delle testimonianze storiche migliori della band londinese. Tra l'altro, il brano fu ripescato negli anni 90 proprio dalla nostra Rai, per essere utilizzato come sigla dei mercoledì di Coppa. 
Se la deliziosa "It's So Serious" è un passaggio influenzato dal sound degli Omd, con fraseggi accattivanti e tecniche di produzione all'avanguardia, il primo singolo estratto dal novero e distribuito al pubblico fu "Mirror Man", un brano introverso che, pur manifestando i primi vagiti dell'oscuro ed ermetico lirismo di Hollis, non riuscì nell'intento di fare breccia tra gli appassionati.

La situazione migliorò sensibilmente con la lunatica "Today", dominata dal basso melodico di Webb e artefice dello sdoganamento del sound della band, portandolo ad avvicinarsi maggiormente alle premurose raffinatezze dei Japan, piuttosto che alle combo pop più canoniche à-la Duran Duran. “Today”, pur meritando con ogni probabilità una sorte ancor più felice, fu in grado di scalare le chart del Regno Unito fino al quattordicesimo posto.
Il citato modello caro a David Sylvian & C. è stato poi portato a un livello successivo dai Talk Talk per mezzo della title track, forse la miglior composizione presente in scaletta, caratterizzata dalle penetranti sfumature orientali e dall’epico sfondo gotico utilizzato in chiusura della traccia.

Il cosiddetto Lato B del disco, si apre in modo particolarmente aggressivo con "Hate", frenetica e intarsiata di afflati new wave, forse l’unico avamposto di questo tipo presente in scaletta, contraddistinto dalle riverberanti raffiche percussive di Lee Harris, un episodio che vide negli anni successivi - quelli del periodo "The Colour Of Springs" per intenderci - delle riproposizioni live particolarmente coinvolgenti, snaturate delle tessiture sintetiche dell'originale in luogo di inserimenti di chitarra elettrica e diverse altre soluzioni sonore che ne resero la fruzione ancor più appagante, anche per gli stessi artisti esecutori: uno dei pochi brani di questa fase iniziale di carriera che Hollis amava particolarmente presentare al pubblico in questa sua nuova e più regale veste.
La seria questione affrontata in “Have You Heard The News?”, una descrizione delle conseguenze sviluppate in seguito a un grave incidente d'auto, pur essendo annoverabile in contesti di stampo new romantic, dimostra come i Talk Talk, anche in questa prima fase di carriera, fossero impegnati nel volersi affrancare dalla frettolosa etichetta assegnata alla maggior parte di artisti contemporanei, che cercavano facili espedienti per fare colpo sul pubblico.

Paul Webb è l’autore di “Another Word”, unico brano della discografia dei Talk Talk da lui interamente scritto. Distintosi per la sua incalzante e cadenzata costruzione ritmica, il pezzo è stato pubblicato come singolo in Germania, dove ha ottenuto un inaspettato successo sfruttando anche il prestigioso utilizzo quale colonna sonora della serie poliziesca televisiva “ Ispettore Derrick”, famosissima anche dalle nostre parti.
Il pianoforte di Brenner è l’autentico protagonista di “Candy” brano introverso che chiude i battenti di un disco che merita un ascolto attento, più di quanto si immaginerebbe di primo acchito, e che lancia i primi segnali su alcune scelte strategiche e stilistiche che sarebbero diventate via via sempre più visibili nei dischi successivi.
Merita certamente una doverosa menzione il lavoro effettuato da James Marsh per l'evocativo disegno di copertina, la sua prima creazione per una pubblicazione dei Talk Talk, una collaborazione che li accompagnerà per tutta la carriera, nel corso della quale l'artista inglese regalerà vere e proprie gemme grafiche, diventate parte integrante di ogni loro opera.

 

Un paragone diretto con gli altri dischi pubblicati dai Talk Talk si presenterebbe oggettivamente forzato, ma sarebbe un grave errore non concedere il dovuto spazio e il meritato rispetto a un lavoro che, oltre a essere il capofila della loro epopea, cela già alcune avvisaglie della caratura artistica del gruppo e di quello che nel giro di una manciata di anni li farà entrare nell’olimpo della storia della musica.
I Talk Talk sono già in questo momento qualcosa di differente dal resto del firmamento. Tra i solchi di “The Party’s Over” si scorge agitazione, abissale riflessione, situazioni che hanno il pregio di lasciarsi ascoltare con estrema scioltezza e coinvolgimento, molto più di quanto proveniva dalla stragrande maggioranza di dischi analoghi pubblicati in quegli anni.